Televisione

La rivincita autunnale della serialità europea

Dal Geneva International Film Festival, conclusosi nel fine settimana, la conferma di come sia sulle reti tradizionali sia sulle piattaforme in streaming le produzioni «Made in Europe» stiano conquistando spazi sempre più importanti in un settore che fino a qualche tempo fa era quasi un monopolio degli USA
Max Borg
14.11.2022 12:33

Quando si parla di serie televisive si tende a pensare soprattutto agli Stati Uniti anche se realtà come Netflix da qualche anno stanno democratizzando il settore arricchendo la propria piattaforma con successi provenienti da ogni angolo del mondo (basti pensare al fenomeno Squid Game, originario della Corea del Sud, ma anche al tedesco Dark e Love & Anarchy prodotto in Svezia o al fortunatissimo Lupin con Omar Sy la cui terza parte è attesa a giorni). Non mancano insomma i grandi titoli europei: un elemento tra l’altro messo in evidenza dal Geneva International Film Festival, conclusosi ieri. Al netto di quel «film» nel proprio nome, la kermesse ginevrina, dall’anno scorso in mano ad Anaïs Emery, co-fondatrice del NIFFF ( Neuchâtel International Fantastic Film Festival), ha infatti sempre avuto un interesse per l’intero spettro dell’audiovisivo. Ce lo ha ricordato, per esempio, con l’apertura, affidata ai primi due episodi di The Kingdom: Exodus, terza e ultima parte del progetto catodico di Lars von Trier e, forse, anche la sua fatica finale, dato che l’enfant terrible del cinema scandinavo contemporaneo ha recentemente annunciato di essere affetto dal morbo di Parkinson. Danimarca a non finire anche in Copenhagen Cowboy, proiettato per intero in attesa dell’arrivo su Netflix l’8 dicembre. Già visto a Venezia e al Festival Lumière di Lione, si tratta della seconda opera per lo streaming a firma di Nicolas Winding Refn, che qualche anno fa ha realizzato Too Old to Die Young per Amazon Prime Video. E a Ginevra - con aggiuntiva opzione online per chi non aveva modo di partecipare fisicamente al festival - il respiro scandinavo era forte anche con Headhunters, che arriva dalla Norvegia e porta sul piccolo schermo il best-seller di Jo Nesbø, celeberrimo creatore del poliziotto Harry Hole. È la seconda volta, tra l’altro, che un festival svizzero ospita un adattamento di quel romanzo: nel 2011 la piazza Grande di Locarno accolse la versione cinematografica, con un certo Nikolaj Coster-Waldau - il Jaime Lannister de Il trono di spade - nei panni del cattivo.

Altro evento importante e molto atteso del GIFF è stata la prima elvetica di Esterno notte, che il pubblico ticinese potrà vedere su Rai Uno da oggi, per tre serate consecutive (vedi box). A quasi vent’anni di distanza si ripete l’iter de La meglio gioventù: anteprima mondiale a Cannes (allora in «Un Certain Regard», questa volta fuori concorso nella sezione «Cannes Premiere»), uscita in sala in Italia in due parti (con alcune proiezioni speciali dove era possibile vedere tutto in una volta sola, con breve pausa dopo il terzo dei sei capitoli) e ora messa in onda sul piccolo schermo. Da Marco Tullio Giordana, che raccontò uno spaccato di Italia del Novecento, quasi un seguito ideale del film di Bertolucci, si passa a Marco Bellocchio, che ritorna sulla questione Aldo Moro, messa in scena tramite punti di vista differenti, quasi due decenni dopo aver portato il sequestro al cinema.

«Boris» sbarca su Disney+

Anche su Disney+ si respira di questi tempi un’aria molto italiana, come direbbe uno dei protagonisti di Boris, la «fuori serie» di culto che tra il 2007 e il 2010 deliziò gli abbonati di Sky e nel 2011 arrivò in sala con un lungometraggio sulle nuove disavventure di René Ferretti (Francesco Pannofino, noto soprattutto come doppiatore di George Clooney e Denzel Washington), regista costretto suo malgrado a girare materiale dallo scarso valore artistico (nel film si parla di una pellicola di denuncia sulla mafia che, per esigenze commerciali, diventa un cinepanettone da far uscire nel periodo festivo di fine anno). A undici anni di distanza, complice la sezione Star della piattaforma disneyana, René torna con tutta la banda (o quasi, causa morte di una delle attrici nella vita reale) e questa volta il bersaglio satirico è lo streaming, con la mentalità italiana che si scontra con quella americana sul set di una serie sulla vita di Gesù, ovviamente interpretato dal divo Stanis Larochelle (Pietro Sermonti), sempre più megalomane e proporzionalmente privo di talento. I tempi comici sono sempre gli stessi e seppure con testo nuovo c’è anche la mitica canzone a cura di Elio e le Storie Tese e ci sono già dei momenti divenuti tormentoni fra gli appassionati: pensiamo al ritorno di Corrado Guzzanti nei panni del complessato attore Mariano (quello che nella serie originale diceva «Mi sembra che l’unico tra noi due che sta facendo uno sforzo per evitare che ti meni sono sempre io, la stessa persona che prima o poi ti menerà»), oppure alla battuta «O dimo», gergo romanesco per indicare una scena i cui eventi, per risparmiare sul budget, vengono solo raccontati anziché mostrati. Ma c’è anche un velo di malinconia, dettato principalmente dalla morte di uno dei tre creatori della serie, Mattia Torre, a cui questa quarta stagione rende ripetutamente, sentitamente omaggio. 

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