L'intervista

«Trent’anni di rock’n’roll costruiti passo dopo passo»

Leo Leoni si racconta in occasione dello showcase RSI di mercoledì 12 ottobre
L’attuale formazione dei Gotthard e, sotto, il chitarrista e leader del gruppo Leo Leoni. © Manuel Schütz/Gabriele Putzu
Mauro Rossi
10.10.2022 22:00

Sono passati trent’anni da quel 1992 in cui nelle radio e nelle classifiche elvetiche faceva capolino il rock di una band ticinese che pur proponendo un «hard» all’epoca forse un po’ demodé, fece quasi immediatamente presa grazie all’energia della suo sound e alla timbrica del suo frontman. Trent’anni durante i quali i Gotthard sono cresciuti conquistando le platee nazionali e internazionali, mutando assetto dopo la tragica scomparsa del cantante Steve Lee e leggermente modificando il loro stile ma senza mai abbandonare la loro anima profondamente rock. Trent’anni di carriera che domani, mercoledì 12 ottobre, verranno festeggiati alla RSI e dei quali parliamo con il leader del gruppo Leo Leoni.

Trent’anni di attività sono un traguardo importante per qualsiasi ensemble. Si aspettava all’inizio dell’avventura dei Gotthard di arrivare così lontano?
«No, anche perché non abbiamo mai fatto programmi a lunga scadenza, preferendo procedere un passo alla volta, concentrandoci sui singoli obiettivi da raggiungere. Che all’inizio erano ottenere un contratto discografico, poi realizzare un disco con tutti i crismi, poi conquistare un disco d’oro, proporre uno show più ricco, e così via... Procedendo in questo modo sono passati i primi cinque anni, che poi sono diventati dieci, venti fino ad arrivare a oggi e al prossimo obiettivo che, a questo punto (ride...), è arrivare alla pensione. Il nostro percorso, insomma, è il continuo proseguimento di un sogno che si è avverato e che ogni giorno, senza guardare troppo in là, ci sforziamo di far durare più a lungo possibile».

Provando però a sfogliare l’album dei ricordi, quali sono, a suo avviso, i momenti salienti di questi trent’anni della band?
«Di momenti da ricordare ce ne sono stati tanti, tutti ugualmente fondamentali. A partire dagli inizi, quando c’era in tutti noi la determinazione, la caparbietà e anche una sorta di positiva incoscienza nel voler fare qualcosa di importante: una tenacia che ci ha portato a incrociare il nostro cammino con alcune persone che ci hanno aiutato a raggiungere i primi obiettivi e ad alzare sempre più l’asticella delle aspettative. Poi c’è stato il periodo di D-Frosted, disco dopo il quale è cambiata un po’ la nostra direzione musicale, ma anche quello in cui siamo tornati a una musica un po’ più sanguigna. Cruciale è stata anche la tragica dipartita di Steve, un momento drammatico dal quale però abbiamo tirato fuori la forza di continuare, di andare avanti e dal quale sono passati ormai 11 anni, tanti sono quelli in cui Nic Maeder è con noi. Anche il suo arrivo è stato un momento importante che ha portato altri obiettivi da raggiungere, altri traguardi cui mirare...»

Tre decenni molto intensi e caratterizzati da una profonda coerenza artistica: pur con qualche deviazione, il vostro percorso è sempre stato legato all’hard rock più tradizionale. Quanto è stato difficile resistere alla tentazione di cambiare rotta?
«Se guardiamo ai grandi mutamenti subiti dal mercato e ai condizionamenti che anche inconsciamente subisci, qualche difficoltà c’è stata. Però se ci pensi bene, tutti i gruppi che sono riusciti a resistere a lungo sono quelli che, pur cercando il più possibile di non ripetersi, sono sempre rimasti fedeli al loro spirito originale. Cosa che abbiamo fatto anche noi che nel mantenere questo comportamento siamo stati “avvantaggiati” da un fatto: quando abbiamo iniziato la nostra avventura, l’hard rock che proponevamo era infatti già in una fase calante: dunque siamo partiti andando subito controcorrente. E abbiamo continuato così anche in mezzo a tutti i mutamenti nel frattempo intervenuti: dall’arrivo dei nuovi supporti fonografici e di una tecnologia sempre più raffinata all’esplosione di Internet fino all’era di Spotify. L’averlo fatto ritengo sia stato pagante: credo che sia stata proprio questa volontà di non correre troppo dietro alle mode a permetterci di arrivare dove siamo oggi».

La nascita dei Core Leoni è stata comunque importante sia per i Gotthard con cui si continua a lavorare seguendo un precisa linea senza le discussioni stilistiche del passato, sia per il sottoscritto che ha con questo gruppo una piacevole valvola di sfogo

All’interno del percorso di Gotthard, a un certo punto è tuttavia spuntato il progetto Core Leoni, sicuramente anomalo rispetto alle abituali dinamiche di una band, visto che ruota essenzialmente attorno alla riproposizione di vecchio materiale del gruppo. Che incidenza ha avuto la sua creazione?
«In realtà era un progetto che avevo in mente da tanto tempo e che avrebbe dovuto partire già dopo la pubblicazione di Open, nel 1999. Era un periodo in cui – e la cosa è ampiamente nota – avevo espresso il desiderio di tornare alla musica delle origini dei Gotthard, a un genere musicale un po’ più da “giacca di pelle”, più energico e sanguigno. Poi per uno motivo o per l’altro ho sempre posticipato la sua attuazione che era a un passo dal concretizzarsi quando è scomparso Steve, nel 2010. Dopo quella tragedia, sono tornato sui miei passi perché la band doveva andare avanti...»

Ma, per curiosità, cosa ne pensava Lee di questo sua idea?
«La capiva, per certi versi la condivideva ma non era intenzionato a farne parte in quanto avrebbe significato creare un imbarazzante doppione. La nascita dei Core Leoni è stata comunque importante sia per i Gotthard con cui si continua a lavorare seguendo un precisa linea senza le discussioni stilistiche del passato, sia per il sottoscritto che ha con questo gruppo una piacevole valvola di sfogo: mi sento come un giocatore di Super League al quale viene concesso ogni tanto di andare al campetto a divertirsi un po’ con gli amici: è un bel divertimento per il tempo libero durante il quale suonare quella musica che per varie ragioni con i Gotthard non posso proporre».

Guardiamo ora al futuro dei Gotthard: l’obiettivo è davvero mirare all’età della pensione (anche se per gli storici rocker – Rolling Stones docet – la stessa significa non abbandonare mai il palco)?
«Ricordo che qualche anno fa quando suonammo a Praga con gli Stones qualcuno mi chiese: adesso che avete condiviso il palco con loro, qual è il prossimo traguardo? Io risposi “Seguire gli Stones”, ovvero provare ad andare avanti come loro: l’energia c’è, la volontà di proseguire anche. Dunque per parecchi anni, se non interverranno cause di forza maggiore, sentirete ancora parlare di noi».

Anche discograficamente?
«Su quel fronte al momento siamo fermi: abbiamo avuto un biennio di blocco totale dell’attività che ci ha costretti quest’anno a recuperare i tutti i tour e i concerti saltati a causa pandemia. Nel frattempo però ognuno di noi sta raccogliendo idee sulle quali inizieremo a confrontarci l’anno prossimo. Cosa salterà fuori ancora non lo so, forse un nuovo album (cosa da valutare visto come il mercato si sta muovendo) forse una serie di singoli: comunque sia della musica nuova targata Gotthard non tarderà ad arrivare...».

Una serata-evento all’Auditorio RSI in radio e streaming

Domani, 12 ottobre ore 20.30

Formatisi quale evoluzione di una precedente band chiamata Krak, i Gotthard hanno fatto il loro esordio discografico nel marzo del 1992 anno con un album titolato come la band contenente tra le varie canzoni una personale versione di Hush, già cavallo di battaglia dei Deep Purple e arrivato al quinto posto della classifica di vendita nazionale. A quel fortunato esordio l’ensemble ha fatto seguire, ad oggi tredici album registrati in studio, cinque dischi «live» e svariate antologie che oltre ad aver dominato le chart nazionali dell’ultimo ventennio, hanno venduto milioni di copie in tutto il mondo facendo di loro una delle band di maggior successo del pop svizzero. I trent’anni di carriera del gruppo ticinese verranno celebrati nel corso di una serata evento in programma domani, mercoledì 12 ottobre, 20.00, all’Auditorio Stelio Molo di Lugano-Besso, condotta da Sandy Altermatt e Gian Luca Verga e che verrà diffusa in diretta radiofonica su Rete Tre e sulla piattaforma www.rsi.ch/livestreaming. I biglietti d’ingresso dell’evento non sono in vendita ma ottenibili esclusivamente ascoltando i programmi di Rete Uno e Rete Tre oppure attraverso i canali social delle due emittenti della RSI.