L'intervista

«Tutto è politica, ma il cinema è soprattutto spettacolo»

A tu per tu con il grande regista francese di origine greca Costa-Gavras (autore, tra gli altri, di Z, Missing e Amen), insignito ieri sera in piazza Grande del Pardo alla carriera
Antonio Mariotti
12.08.2022 06:00

Il cinema, o l’arte in generale, aiuta a mantenersi giovani? Incontrando il grande regista francese di origine greca Costa-Gavras (classe 1933), insignito ieri sera in piazza Grande del Pardo alla carriera, non vi sono assolutamente dubbi in proposito. Lucidissimo, vivace, proteso verso il futuro (sta preparando una serie per una piattaforma di streaming), ecco quel che ci ha raccontato l’autore - tra gli altri - di Z, Missing e Amen.

I suoi due primi film che vengono mostrati a Locarno75 (Compartiment tueurs e Un homme de trop) sono considerati dei thriller polizieschi: è d’accordo con questa definizione?
«I film polizieschi, come quelli mostrati qui, sono sempre stati considerati delle eccezionali occasioni per lo spettacolo cinematografico, perché danno la possibilità di parlare - direttamente o indirettamente - della società attraverso i personaggi e il modo di agire della giustizia e della polizia. Dietro la realizzazione del mio primo film, Compartiment tueurs, si cela molta fortuna: ero stato attratto dal titolo e dalla trama del libro di Sébastien Japrisot e ho scritto la sceneggiatura come se si trattasse di un esercizio scolastico aspettando di lavorare come assistente sul nuovo film di René Clément e avendo quindi un po’ di tempo libero. Ho consegnato il manoscritto a una segretaria degli studi di Parigi per cui lavoravo affinché lo ricopiasse alla macchina per scrivere e - a mia insaputa - lei ne passò una copia al direttore dello studio che mi contattò inviandomi un telegramma per dirmi che la trovava una buona storia e che voleva che dirigessi io il film. Una storia incredibile, anche perché dei grandi attori come Yves Montand e Simone Signoret accettarono di interpretarlo. Ho sempre ammirato i thriller americani, proprio perché parlano indirettamente della società in cui sono ambientati. È quindi un genere che offre infinite possibilità narrative. Mi sono così ritrovato a dirigere il mio primo film provando un senso di totale sorpresa ma anche di angoscia perché se il film fosse stato un flop sarebbe stata una catastrofe e la mia carriera da regista si sarebbe conclusa immediatamente. Fortunatamente, il film ebbe grande successo, non solo in Francia ma anche negli Stati Uniti, da dove iniziarono subito a giungermi delle proposte di lavoro, che rifiutai perché non avevo intenzione di emigrare ancora una volta».

Ho sempre ammirato i thriller americani, parlano indirettamente della società in cui sono ambientati
Costa-Gravas

Lei però è conosciuto soprattutto come un autore di thriller politici, è una definizione che la soddisfa? 
«No, per nulla. Il termine thriller politico non significa nulla per me: li considero film e basta, film su persone che vivono situazioni particolari. Lo schema drammaturgico del thriller in tre parti è rimasto praticamente lo stesso fin dall’inizio della storia del cinema. Chiamarli “film politici” è un errore perché tutto è politica, non nel senso delle persone per cui si vota, ma nel senso delle relazioni che intratteniamo con la polis, della città in greco antico. Quando hanno iniziato ad affibbiarmi questa etichetta di “regista politico”, mi ricordo che i distributori continuavano a ripetermi: “Soprattutto non parlare di politica!” ma è un problema che per me non è mai esistito, perché non ho mai avuto alcun potere politico».

A questo proposito, spesso al centro dei suoi film ci sono uomini comuni in un contesto politico disperato. Tematiche che ha sviluppato anche nei suoi film più recenti parlando di migranti o della crisi finanziaria greca: nulla è cambiato quindi dagli anni Settanta a oggi? 
«Purtroppo no e anche oggi è fondamentale parlare di questi problemi al cinema rimanendo nell’ambito dello spettacolo e non facendo dichiarazioni politiche. Il cinema è spettacolo, deve trasmettere sensazioni, emozioni e poi tocca allo spettatore farne qualcosa o non farne nulla. Oggi ad essere in crisi è semmai il concetto di democrazia, viviamo in democrazie dimezzate: basti vedere cosa è riuscito a fare Donald Trump durante la sua presidenza. E anche altrove le cose non sono tanto diverse. La più grande difficoltà del cinema consiste nel trovare la storia giusta per raccontare queste situazioni e naturalmente il meglio è quando si tratta di una storia vera. Penso ad esempio al mio film La confessione (del 1970, ndr) sul sistema stalinista: c’erano già stati molti film contro il comunismo, ma questa storia vera spinse molti militanti comunisti a porsi delle domande circa il loro partito e ne nacque una grande dibattito. Un risultato che oggi sarebbe molto più difficile da raggiungere».

Sono consapevole che le piattaforme di streaming hanno uno scopo economico e non culturale
Costa-Gravas

E quindi per lei iniziare a lavorare negli Stati Uniti all’inizio degli anni Ottanta non è stato un problema? 
«No, continuavo a ricevere richieste dagli USA, addirittura a un certo punto mi proposero di girare cinque film collaborando con cinque scrittori diversi, ma rifiutai perché non mi sembrava un modo corretto di fare film. Del resto, anche per i tre-quattro film che ho girato in America ho sempre previsto la post produzione in Francia. Per me si trattava di una condizione sine qua non. È stata comunque un’esperienza eccezionale perché sono sempre stato libero di fare ciò che volevo e non mi dispiacerebbe continuare... ma oggi le cose sono cambiate».

Ora sta preparando una serie per una piattaforma di streaming: anche questa la considera una scelta politica o creativa? 
«Sto scrivendo la sceneggiatura di una serie perché m’interessa questa nuova forma di spettacolo, ma ciò non significa che non mi ponga delle domande. Da un punto di vista artistico, sono abituato a lavorare a opere che hanno un inizio e una fine, mentre nelle serie si ragiona per episodi, uno dopo l’altro, e si rischia di non arrivare mai alla fine. D’altra parte però una serie ti permette di toccare un pubblico enorme, soprattutto quello che non va più al cinema perché non può permetterselo o perché le sale sono scomparse. Quindi ci sto lavorando ma non ho ancora tutte le risposte alle mie domande. Sono però ben cosciente che le piattaforme hanno soprattutto preoccupazioni economiche e non culturali, nonostante le loro collaborazioni con registi conosciuti. Ed è chiaro che quando si punta ai grandi numeri il livello delle proposte tenda ad abbassarsi».

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