Cent'anni fa

Un anno di carcere per il sedicente capo indiano Tewanna Ray

Le notizie del 2 luglio 1925
Edgar Laplante nei panni del capo pellerossa per il quale si era spacciato in Ticino e non solo. © Web
Nicola Bottani
Nicola Bottani
02.07.2025 06:00

Cronaca Giudiziaria
La sentenza nel processo contro Laplante

La Corte, ritirandosi alle 14, si è presentata oggi alle 17,30 per il verdetto (nota di 100 anni dopo: nella sua edizione del 25 giugno 1925 il «Corriere del Ticino», che successivamente scrisse diffusamente e dettagliatamente dei dibattimenti, aveva iniziato così l’articolo riguardante il processo in questione: «Edgardo Arturo La Plante, nato nel 1886 a Pawtucket (Canadà), di professione commerciate in oli di serpente e, più tardi, sedicente Capo di Tribù pellerossa col fino nome di Tavanna Ray o di White Eilch, è comparso stamane davanti al Tribunale di Lugano, costituito in Assise correzionale per inaugurare la sua tournée di processi»). Viene introdotto Edgardo Laplante il quale prende posto sulla panca degli imputati. Ha un accentuato tremito nelle mani, le pulsazioni alle tempia sono di una rapidità impressionante.

Il presidente dottor Gatti dà lettura della sentenza, elegantemente elaborata. La sentenza, premesso un rapido istoriato della attività impiegata dal Laplante dopo il suo arrivo in Isvizzera, munito di un lasciapassare citato dal Console svizzero di Torino, passa all’esame dei capi di accusa, accettando l’intero atto di accusa. Non entra in linea di conto materiale per le imputazioni a danno di Ferri, Wysshaar e Joppini perchè, tacitate le parti, le denuncie vennero ritirate e mantiene solo quella di franchi 6.400 a danno della contessa Melania Khewenuller.

La Corte non crede di accettare la tesi di incompetenza del Tribunale ticinese a giudicare il Laplante sostenuta dalla difesa. Basandosi sulla giurisprudenza, ritiene invece stabilita e provata la tesi della competenza già sostenuta dal Procuratore pubblico nella sua serrata requisitoria.

Entrando nel merito della causa, la Corte ritiene che la frode commessa dal Laplante nel Ticino non può essere illustrata nella sua portata penale se non inquadrandola nella attività spiegata dal Laplante dalla partenza dall’America fino alle sue imprese europee. E qui la sentenza rifà tutta la storia delle truffe commesse dal Laplante in Inghilterra, nel Belgio, in Francia e in Italia. L’esistenza del dolo nelle frodi del Laplante non è discutibile, come è discutibile che dalle sue frodi abbia ritratto lucro.

Passando ai rapporti fra il Laplante e le contesse Khewenhuller, la sentenza ha parole molto severe contro lo scroccone. Il Laplante, dice la sentenza, ha dimenticato i suoi doveri: lui, sfruttatore di donne, ingannatore nella sua bruttura morale, ha tentato di inzozzare il nome delle sue maggiori vittime. Ma la Corte ritiene suo dovere di dichiarare che dagli atti nulla risulta che possa adombrare la onorabilità della contessa e della contessina Khewenhuller, le quali furono vittime di una dabbenaggine che hanno poi duramente scontata.

La sentenza passa ad esaminare la questione della semiresponsabilità del Laplante sostenuta dalla perizia e dice che pur non potendo accettare tutte le conclusioni della perizia, la Corte ha ritenuto nel Laplante una alterazione di spirito di qualche gravità, onde ha creduto di concedergli le attenuanti di parziale infermità di mente. La commedia, conclude la sentenza, di Laplante è finita; se egli, subìta la pena, crederà di ridersi delle sue vittime, non potrà certamente ridere della giustizia ticinese.

Ammesso l’atto di accusa per quanto riguarda la frode a danno della contessa Khewenhuller, accettata in parte la tesi della parziale infermità di mente, negata la buona condotta essendo risultato che il Laplante ha sposato e poi piantato due donne ed è sospetto di pratiche omosessuali, ritenuto il diritto alla contessa Khewenhuller di risarcimento della somma frodata, la Corte condanna Edgardo Laplante di Arturo a un anno di detenzione, a 500 franchi di tassa di giustizia, a 200 franchi di multa, a un franco di indennizzo di patrocinio per la Parte civile e alla restituzione di fr. 6550 alla contessa Khewenhuller e alla espulsione dal Cantone.

Letta la sentenza, il Presidente chiede al Laplante se ha capito. Egli si fa ripetere in francese le conclusioni, poi non riesce a capire la clausola che gli dà otto giorni di tempo per ricorrere in Cassazione e mormora: «Me la farò spiegare dal mio difensore». Poi si alza e dice: «Signor Presidente, posso parlare?» Presidente: «No, la legge non ve lo consente». «Peut-être – dice allargando le braccia – c’est trop tard» e se ne va mentre il pubblico, che ha accolto in silenzio la sentenza, sfolla lentamente. Il Laplante pare intenda ricorrere in Cassazione. Appena comunicata la sentenza, vestirà la casacca del prigioniero.

Il processo del cosidetto principe pellerossa è terminato; Edgardo Laplante, ex artista cinematografico trasformatosi poi in capo di tribù pellerossa e divenuto per sei mesi l’idolo delle folle e oggetto di ammirazioni, di onori e di esaltazione da parte di personalità e di popolazioni, è stato gettato dal suo piedestallo e chiamato davanti alla giustizia a rendere conto forse non tanto dello scrocco di onori fatto a spese della dabbenaggine e della piccola vanità umana che mai, forse, furono così severamente punte, quanto della frode volgare commessa a danno delle sue vittime.

La Giustizia ticinese, in un processo condotto con serietà e con dignità, ha condannato il Laplante ad un anno di detenzione. Così, ha ben detto il Presidente, il Laplante potrà ridere delle sue vittime ma non potrà ridere della Giustizia ticinese. È stato detto che sarebbe stato meglio, anche per ragioni di economia, non fare il processo o ridurre la condanna del pellerossa, in modo che egli non più a pesare sulle finanze dello Stato. Con questi criteri tanto varrebbe chiudere il tempio della giustizia. Se un reato è stato commesso, è giusto che venga giudicato e punito. Se tutti i truffatori che sono caduti nelle mani della giustizia sono stati processati, perchè si sarebbe dovuto fare una eccezione per il Laplante, il cui reato supera di gran lunga quello ddi tanti modesti truffatori colpiti dalla sanzione della legge?

La pagina ticinese dell’avventuriero Laplante è chiusa. Ed onorevolmente per la giustizia del nostro Cantone.

Clicca qui per l'edizione completa del Corriere del Ticino del 2 luglio 1925 disponibile nell'Archivio Storico del CdT.

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