Un viaggiatore scorticato tra l'amara Italia e il Ticino

Quegli spiriti tristi ma vitali che amano Guido Ceronetti solitamente tolgono dallo scaffale, quando sentono il bisogno del caratteristico conforto etico rilasciato da questo scrittore, i suoi titoli meno frequentati: i due vecchi Adelphi La carta è stanca e La vita apparente (1976 e 1982), quel paio di raccolte di articoli che gli pubblicò l'editore de La Stampa, Briciole di colonna e Lo scrittore inesistente, ormai recuperabili solo in modernariato, o l'anti-romanzo Aquilegia, bel titolo del lontano 1973, riscritto nel 1988.
Ci sono poi i Deliri disarmati, le traduzioni dall'ebraico e dal latino (ogni tanto un po' troppo «violente», come nel caso di Catullo) e quello scorticato, memorabile «viaggio in Italia» che è La pazienza dell'arrostito, del 1990. È a quest'ultimo che più somiglia Per le strade della Vergine, in libreria da pochi giorni: un testo in cui lampeggiano – nerissimi – bagliori di lucidità metafisica e di sconsolato, fulminante umanesimo (innervato di sana misantropia, a sua volta sostenuta da una stranissima mondanità, intesa come passione per il cammino e per le affinità elettive).
Tecnicamente (ma che senso ha tale avverbio, in letteratura?) è uno zibaldone che copre la vita dell'autore tra il gennaio 1988 e l'aprile del 1998: vi troviamo pensieri sparsi, incontri, treni, stazioni, camere d'albergo, trattorie, graffiti, agonie e morti di amici (Cioran) e amiche, le varie e nascostamente smisurate catastrofi dell'industrializzazione, e poi ancora delitti, solitudini, attese di pioggia, citazioni e commenti a sceltissimi stralci da poeti e filosofi, Heidegger, ad esempio. Lo stile è quello veloce ma densissimo di Ceronetti: ricorda America di Majakovskij e altri febbrili reportage di poeti. Paradossalmente, è a libri come questo, e non alla valanga di fuffa dei «tromboni», che si rivolgeranno in futuro i cercatori di un ritratto spiritualmente preciso, al millimetro, degli ultimi tre ottenebrati decenni, specie italiani.
La ragione è semplice. Ceronetti ha macinato chilometri quanto un inviato speciale ma con una differenza: s'è fatto capace di cogliere, per dirla con Kafka, i «mostri invisibili nell'aria intorno a noi», i reali rapporti di forza, di crudeltà, di potere, mentre parecchi altri suoi colleghi si sono limitati, negli stessi anni, ai fatterelli di giornata, con un occhio al mainstream e l'altro alla pensione. Il Ceronetti «politico» - che non ha paura di tradire il veto giornalistico sull'uso del pronome «io», diventando così qualcuno che ha finalmente qualcosa da dire - è tutto da rivalutare. Tra l'altro, è tra i pochi europei che possano criticare le porte aperte all'immigrazione «di ogni colore» senza passare per un pavido e piagnucoloso conservatore.
Si trovano a proposito, nel libro, passaggi che potrebbero bene esser riscritti sull'oggi: «Il Mediterraneo (con poli di spavento nel Sud d'Italia e in Israele-Palestina) come triste, torva, ribollente, minacciosa prigione d'anime. Si nasce sulle sue sponde per espiare e soffrire di più e per sfregiare di più la figura umana. Città marittime, tutte più dentro nella cancrena. Napoli, puro inferno, Bari, Palermo, Genova...». Temi difficili, inaggirabili.
Ma intanto godiamoci Per le strade della Vergine, dove c'è pure molto Ticino e molta Svizzera. Spassose (con lacrime) le pagine sull'Istituto Macrobiotico a Kiental, nell'Oberland: «Spesso il cibo così sacralizzato è immangiabile. Ognuno di questi pranzi buttati ci costa quanto un ristorante raccomandato dalle guide». E quelle sul Goetheanum a Dornach: «Gnosi paranoide, a sfondo ferocemente ottimistico (sempre ascende l'Uomo, mai finisce di ascendere), brutalmente antropocentrica, che sfrutta il bisogno dell'Alto, della Luce per far precipitare e mettere il cappuccio».
Gustose, ancora, le note ticinesi e grigionesi, che solleticheranno la curiosità dei nostri lettori per nomi e luoghi. Eccone alcune.
---
«Dice il cardiologo illustre Giorgio Noseda di Mendrisio che si può dire mehr Licht anche morendo sul cesso, purché ci sia finestrino».
---
«Roveredo, nei Grigioni di lingua italiana. Questo torrente è il Moesa che va a gettarsi nel Ticino. Vedo un appartamento brutto e misero affittabile da proprietari veramente deliziosi. Ma con i miei modesti mezzi è assurdo cercare casa in Svizzera, e Michèle certo qui non ci verrebbe. Puntuale nel grembo piovoso arriva la diligenza che mi riporta a Bellinzona... Peccato..., non c'è che la Svizzera per vivere decentemente...».
---
«Andiamo in scena con Per un pugno di yogurt il 1. ottobre al Teatro Grande di Locarno, poi il 2 e il 3 nell'ex manicomio di Mendrisio e allo studio Foce di Lugano. Qui non funzionano le luci, si va in scena avventurosamente, il pubblico vede la difficioltà e ci sostiene con generosità. Cena al Ronchetto di Comano con la compagnia. Voce flebile e lontana di michèle, che certamente sta male. Il 4 ottobre replica dello Yogurt a Lugano. Il 5 a Casciago di Varese lunga intervista (registrata) con Dante Isella».