Graphic Novel

«Vi racconto cosa succede quando un dramma non fa più notizia»

Zerocalcare torna a parlare di una parte del mondo che gli sta a cuore, il Kurdistan iracheno
Viviana Viri
05.10.2022 14:30

Dopo il successo della serie animata Netflix Strappare lungo i bordi (2021) che ci ha permesso ti tirare un sospiro di sollievo durante la pandemia e il suo ultimo volume Niente di nuovo sul fronte di Rebibbia (Bao Publishing, 2021), Zerocalcare torna a raccontarci una parte di mondo che gli sta a cuore, continuando quello che aveva iniziato nel 2016 con Kobane Calling. Il nuovo lavoro del fumettista romano No Sleep Till Shengal (Bao Publishing, 2022) ripercorre il viaggio compiuto nella primavera del 2021 in Iraq, per far visita alla comunità ezida di Shengal, minacciata dalle tensioni internazionali e protetta dalle milizie curde, gli abbiamo chiesto perché ha scelto di raccontarlo.

«No Sleep Till Shengal è una specie di diario di viaggio che ho fatto a giugno dell’anno scorso nel nord dell’Iraq, in particolare in una regione che si chiama Shengal di cui sono originari gli Ezidi, una popolazione che fa parte del Kurdistan, ma sono di una religione preislamica. Per questo gli Ezidi sono scappati da quella regione e poi, aiutati dai curdi, l’hanno ripresa e da allora hanno una specie di autonomia in quella zona. Quell’autonomia che si basa sui principi della rivoluzione curda, quindi sulla liberazione della donna, la convivenza tra tutti i popoli e l’autodifesa, che in questo momento è minacciata dallo Stato iracheno che si vuole riprendere quel territorio e dalla Turchia che incessantemente li bombarda da un anno, uccidendo la popolazione civile ma anche i rappresentanti dell’autonomia e dell’amministrazione autonoma perché non vuole che esista questa enclave legata ai curdi. Siccome era ed è ancora una situazione particolarmente grave, nel senso che da un momento all’altro quell’autonomia rischia di essere spazzata via da queste forze che non la vogliono, il mio libro racconta cosa succede quando si spengono i riflettori su un territorio perché all’improvviso non fa più notizia».

Un graphic novel che, già dal titolo, è la continuazione ideale di Kobane Calling, che si chiamava così citando la canzone dei Clash London Calling. «Mi piaceva l’idea di continuare su questo filone, anche se per No Sleep Till Shengal sono poi saltate fuori diverse interpretazioni a cui non avevo pensato. In verità quando l’ho scelto ho cercato qualcosa che cogliesse la profonda impossibilità di dormire che mi ha accompagnato per tutto il viaggio e ho pensato alla canzone di un altro gruppo punk ma questa volta irlandese, gli Stiff Little Fingers, No Sleep Till Belfast, scoprendo in seguito che era una cover di No Sleep Till Brooklyn dei Beastie Boys».

Un titolo che fa inoltre riferimento alla cittadina nel nord-ovest dell’Iraq al confine con la Siria, conosciuta anche coi nomi di Sinjar o Shingal, che subito ci rimanda alle storie delle donne ezide violentate e rese schiave dall’Isis. «Sì, è la cosa più drammatica che ho dovuto affrontare: anche in Rojava le persone hanno vissuto situazioni terribili, ma in questa zona si è consumato un trauma collettivo che io non avevo mai percepito altrove, come un fantasma che aleggia su tutti. La percezione di chi va in questi luoghi per dieci giorni è molto diversa da quella di chi ci abita. L’impressione che ho avuto non è stata quella di una situazione che potesse detonare da un momento all’altro ma - e adesso dico una cosa brutta che non ha nemmeno a che vedere con lo scopo del mio libro che nasce con l’idea di supportare l’esperienza del confederalismo democratico e di farla conoscere con la speranza che si espanda sempre di più e trovi un punto di stabilità - di fatalismo e di grande mancanza di speranza nella voce delle persone. Il trauma del genocidio del 2014 è così forte al punto in cui è impossibile svicolare in qualsiasi conversazione. Credo non si tratti più di un trauma individuale, ma di qualcosa che ha cambiato il DNA di quella gente. Mi è sembrato che qualunque cosa succeda ci si trovi davanti questo macigno gigantesco che è comunque più grande di qualsiasi cambiamento che si riesca a fare. Questo mi ha impressionato molto».

Un viaggio che si è rivelato difficile perché la delegazione italiana è stata più volte respinta ai check point controllati dalle diverse forze politiche e militari che si spartiscono il controllo del suolo iracheno. «Sono partito per l’Iraq con molta tranquillità rispetto al precedente viaggio in Siria, ma ero decisamente impreparato a tutto questa infinita parcellizzazione del territorio iracheno. La situazione è molto complessa, in apparenza ci sono solo due schieramenti, ma in realtà c’è un sottobosco di spie, di interessi contrapposti, di influenze straniere difficile da capire. Non avevo chiarissima questa cosa e a un certo punto abbiamo capito che una delle persone che doveva essere il garante del nostro arrivo fino a Shengal era una spia».