L'intervista

«Vogliamo riuscire a rompere i cliché per sprigionare la giusta energia»

Abbiamo chiacchierato con Lorenzo Buccella, autore e conduttore di "Cliché", il nuovo magazine culturale della RSI
Dimitri Loringett
25.05.2022 14:04

Stereotipi, frasi fatte, luoghi comuni... molti li evitano per non sembrare banali, per distinguersi dagli altri, per essere unici. Tuttavia, nelle cose banali si possono trovare dei sensi più profondi. La banalità è il tema scelto per inaugurare «Cliché», il nuovo magazine culturale di RSI, in onda domani sera alle 23.10. Ne parliamo con l’autore e conduttore, Lorenzo Buccella.

Dalle promo si intuisce il carattere innovativo della sua nuova trasmissione. Ci parli del format: è un talk show?

«No, non è un talk show. In estrema sintesi, Cliché è un contenitore di racconti fatto con un impianto teatrale con tre ospiti che intervengono in ogni puntata. Non c’è alcuna traccia di salotto, non c’è alcun divano, piantina, libreria, o altro. Siamo in una sorta di spazio industriale, molto suggestivo, con una cascata di televisori catodici che ti rimandano continuamente tutte le immagini. Una scenografia con spirito underground. Si svolge con un certo ritmo, puntellato da clip d’archivio, spezzoni di interviste e altro ancora. Cliché è magazine culturale immaginario dove alle interlocutrici e agli interlocutori viene lasciato maggior spazio per parlare, per esprimersi. Non è un talk show di opinioni a confronto. Giochiamo piuttosto sui contrasti, le mettiamo su un altro campo. Altra cosa importante che fa capire la differenza sostanziale è che le puntate sono interamente “clippabili”, si potranno estrarre dei singoli passaggi brevi e diffonderli su altri canali, tipicamente quelli in Rete».

Quindi, se non c’è un «salotto», come si svolge lo show?

«Si parte con una sigla-copertina, non con il classico sommario, nella quale intavoliamo il tema con un breve monologo, poi si passa subito a uno degli ospiti, tre per puntata, che in un minuto dice qualcosa legato al tema, e poi si rimbalza l’argomento su un altro ospite, e così via. Il discorso viene però puntellato da brevi filmati video, delle “virgole sonore” come mi piace chiamarle, ovvero delle piccole provocazioni, frutto anche della collaborazione con i colleghi di Cult+ e di Spam. Questi rimbalzi servono per dare ritmo e spezzare, da una parte, ma soprattutto per “raccontare” qualcosa legato al tema. Avremo anche l’inserimento di pezzetti presi dal vasto archivio della RSI, con degli ospiti prestigiosissimi, quali ad esempio Umberto Eco tratto da una trasmissione del ’76, Italo Calvino, Jean Tinguely... E infine, ma non da ultimo, c’è tutta una serie di persone del territorio, artisti locali che intervengono. In particolare, avremo l’accompagnamento musicale di Camilla Sparksss, che punteggia tutta la trasmissione, così come avremo ospite fisso lo scrittore ticinese Tommaso Soldini».

Mi viene in mente Blob di Rai3...

«Sono molto amico di Enrico Ghezzi, e in Cliché c’è sicuramente qualcosa della sua leggendaria trasmissione, come il mettere assieme frammenti in modo strutturato seguendo un filo logico. Ma Ghezzi a suo tempo lo ha fatto in modo estremo e sperimentale, sovrapponendo le cose. In Cliché invece i frammenti sono parte di un percorso, di un racconto. È molto più discorsivo, narrativo. Blob è la poesia secca, iper-sperimentale, ed è molto legato all’attualità del giorno. Ma il senso è quello, in Cliché si spazia dai disegni animati all’intervista di Tinguely, con la differenza che prima spieghiamo le cose intavolando il tema, che di fatto rimane poi un pretesto».

Il tema della prima puntata è la banalità. In che senso?

«Con Cliché vogliamo entrare negli stereotipi dei vari racconti ma poi intervistiamo personaggi che quegli stereotipi li hanno rotti. Questo è uno dei “giochi” che proponiamo. Il cliché è il cavallo di troia, o la password d’accesso, nel senso che è il luogo comune a cui tutti possono accedere. La cultura, in questo modo, trova nel luogo comune, nel cliché, nello stereotipo, nelle rime baciate, nelle frasi fatte una possibilità d’entrata ma poi ovviamente tutto questo viene distrutto, rotto, liberando altri sensi e lì puoi andare ovunque. Vogliamo riuscire a rompere i cliché per poter sprigionare la giusta energia. Un esempio: con l’ambasciatrice svizzera a Roma Monica Schmutz Kirgöz, che sarà ospite della prima puntata, siamo partiti parlando di quanto sia difficile essere donna nel mondo della diplomazia, ma poi lei ci racconta la sua storia di ambasciatrice nei Paesi mediorientali con degli aneddoti molto divertenti, come quando le è capitata di parlare con le sue omologhe in Turchia dicendo di essere nata senza diritto di voto, un diritto arrivato solo nel 1971, mentre in Turchia il suffragio femminile si era affermato molto prima. Ci sono situazioni per cui la banalità significa anche, a volte, avere successo: la banalità in Rete, ad esempio, consiste nel fatto che tutti cercano di essere originali, ma poi tutti partecipano allo stesso social network. Ecco, in Cliché cerchiamo di mettere in relazione queste cose, naturalmente con un processo di decontestualizzazione. Un altro esempio è Jovanotti, l’ospite centrale della puntata, che afferma di voler evitare i cliché musicali, ma che quando sente passare un suo brano a un matrimonio o cantato a squarciagola su Instagram si sente incredibilmente felice. Eppure, il brano è entrato nella banalità della vita quotidiana. In questo senso la banalità è un concetto intermittente: quando una cosa innovativa viene fatta da tutti inevitabilmente diventa banale».

Al giorno d’oggi, c’è ancora spazio per la critica culturale?

«Sì, c’è. Riguardo alla nostra trasmissione, posso dire, per esempio, che i monologhi di Tommaso Soldini sono capaci di andare a rileggere un caposaldo letterario come Anna Karenina nel contesto odierno. La critica alla società di oggi è fatta usando il capolavoro di Tolstoj come sponda. Più in generale, lo spazio per la critica c’è, nel senso soprattutto della libertà d’espressione. E poi ci sono io dall’altra parte, che ribatto, conversando con gli interlocutori. Ma ciò che vorrei sottolineare è che nella trasmissione non c’è spazio per la promozione. Infatti, uso sempre lo slogan per cui Cliché “vuole essere lontano dalla polvere così come dal cellophane”. Dalla polvere perché da una parte non vuole essere quel tipo di trasmissione didascalica che segue un sommario, un’agenda culturale precisa, e dall’altra non vuole essere nemmeno il posto dove chi arriva rompe il cellophane del suo ultimo libro e parla solo di quello».