I record, le coppe e il sopracciglio: «Carlo, un allenatore gentiluomo»
Un’altra rimonta. L’ennesima, in questa pazza edizione della Champions League, andata in scena al Santiago Bernabéu. Teatro non dei sogni, bensì dell’impossibile. Il Real Madrid, incollando al televisore gli appassionati del mondo intero, si è preso la scena continentale. Emozionando, coinvolgendo. Offuscando tutte le rivali, a cominciare da quelle regolate lungo il cammino nella fase a eliminazione diretta. Prima il Paris Saint-Germain del tridente Neymar-Mbappé-Messi, poi il Chelsea campione in carica. E infine, è storia recentissima, il Manchester City di Pep Guardiola.
La giusta minestra riscaldata
Exploit che resteranno negli annali del calcio, e che - secondo i più - sono da attribuire a chi un paio di sere fa sedeva a pochi metri dal disperato tecnico catalano. Quel Carlo Ancelotti tornato da una decina di mesi sulla panchina dei Blancos, a sei anni dall’epilogo della sua prima esperienza madrilena. «Sì, su queste rimonte vedo la firma di Carlo. Ma non solo - analizza Luca Serafini, giornalista sportivo, scrittore e amico del tecnico italiano -. In determinati frangenti, tattiche e sistemi vengono a cadere. È la testa, la preparazione mentale a prendere il sopravvento. Servono dunque elementi di spessore, con carattere e qualità, che il Real vanta sia tra i “veterani” come Benzema e Modric, sia tra i giovani talenti come Vinícius Júnior e Rodrygo. L’impronta di Ancelotti è data dalla sua serenità, che infonde convinzione e aumenta l’autostima dei suoi calciatori, permettendo loro di giocarsela fino all’ultimo. Sfociando, per certi versi, quasi in una sana presunzione. Ma il confine tra i meriti dell’allenatore e quelli della squadra, quando vanno in scena rimonte così spettacolari, è molto sottile».


Eppure, di fronte alla scelta del Real di riportare Carlo Ancelotti al Bernabéu una volta certificato l’addio di Zinédine Zidane, in molti - tifosi Blancos e non - avevano storto il naso. Le ultime esperienze di «Carletto» infatti, specialmente sulle panchine di Napoli ed Everton, prestavano il fianco a più di una perplessità. «Possiamo tranquillamente dire che in quelle occasioni, ma anche in precedenza a Monaco di Baviera con il Bayern, aveva parzialmente toppato - rileva Serafini -. Di fatto Ancelotti è stato esonerato da tre dei suoi ultimi quattro datori di lavoro, seppur con motivazioni differenti. La sua prima esperienza a Madrid si era conclusa anticipatamente perché si era giunti alla fine di un ciclo. A Monaco erano invece sorti dei problemi con alcuni dei senatori, protetti dalla società. La parentesi a Napoli fa dal canto suo storia a sé, perché il presidente Aurelio De Laurentiis spesso non si rende conto della qualità del “materiale umano” che ha a disposizione. Insomma, dopo queste esperienze in chiaroscuro - e nonostante i titoli comunque conquistati - in molti lo davano già per bollito e pronto al ritiro, affermando peraltro che le cosiddette minestre riscaldate nel calcio non vanno mai lontane. Eppure il Real ci ha visto lungo, perché all’Everton - pur mancando la tanto auspicata qualificazione alla Champions League - Carlo aveva svolto un ottimo lavoro. Prova ne è che i Toffees stanno tuttora lottando per non retrocedere, mentre Ancelotti - una volta inserito nella solida organizzazione di una grande squadra - ha saputo rilanciarsi grazie alle sue enormi qualità. Ci tengo inoltre a sottolineare che parte di questi successi sono frutto di una sua maturazione in quanto tecnico. In passato, ad esempio quando sedeva sulla panchina del Milan, si sarebbe affidato molto meno ai giovani talenti. Oggi invece non ha timore di gettarli nella mischia se li ritiene all’altezza, come abbiamo potuto constatare nelle ultime settimane».
L'orgoglio contadino
Una cosa, però, sembra non cambiare mai. Intramontabile e indifferente all’incedere del tempo. La capacità del 62.enne originario di Reggiolo di sollevare trofei e infrangere record. Al netto di una finale di Champions tutta da vivere, dal suo ritorno sulla panchina dei Blancos Ancelotti ha già messo in cassaforte due coppe: quelle destinate ai vincitori di Liga e Supercoppa spagnola. Entrando, di fatto, nella leggenda. «Carlo è diventato il primo allenatore della storia a vincere un titolo in ognuna delle cinque migliori leghe europee (Premier League, Liga, Bundesliga, Serie A e Ligue 1, ndr). È un record che durerà decenni, la definitiva consacrazione nell’Olimpo del calcio europeo. Non credo che io vedrò il prossimo tecnico in grado di compiere un simile exploit. E, forse, nemmeno i miei nipoti». Ma Ancelotti, nel suo intimo, quanto tiene a questi traguardi personali? «Non lasciatevi ingannare dalla sua umiltà e dal suo essere gentiluomo, qualità indiscusse che derivano dalle sue origini contadine, e che in pubblico lo spingono a ridimensionare determinati risultati. La gente di campagna è concreta. Sa che se il raccolto stagionale è molto ricco, è merito della bravura nel coltivarlo, ma anche del clima favorevole. E viceversa. In cuor suo, però, Carlo tiene moltissimo a questi record, che ama festeggiare con i suoi cari. Ed è normale e giusto che sia così. La grande differenza rispetto ad altri suoi colleghi è che nonostante l’orgoglio e la fierezza che prova verso certi traguardi, non ama ostentarli».


Non è come John Belushi
Proprio per questa sua consueta pacatezza, i piccoli - ed estemporanei - eccessi balzano subito all’occhio. Come quello che si è concesso in occasione dei recenti festeggiamenti per la conquista della Liga, ritratto in una foto che nelle ultime ore ha fatto il giro del mondo. Nello specifico, Ancelotti ha posato con un sigaro in bocca in compagnia di Vinícius Jr., Militão, Alaba e Rodrygo. Suoi «amici», e non giocatori, come ha in seguito affermato ai microfoni dei media spagnoli commentando l’episodio. «Carlo nutre grande affetto nei confronti dei giocatori che allena, nonché per il suo staff. Quasi una devozione. Ma la sua era certamente una battuta. Sappiamo tutti che allenatore e calciatori non possono essere davvero amici. Il rapporto può essere leale, schietto, di confidenza. Ma non di amicizia. Ci sono infatti scelte da effettuare e gerarchie da stabilire».
In chiusura, una domanda a bruciapelo sull’alzata di sopracciglio, ormai marchio di fabbrica del 62.enne emiliano. Quanto ci gioca «Carletto», su questa sua caratteristica? «È una sua peculiarità, come il fatto di sbuffare o serrare le labbra durante le partite. Ma sono riflessi incondizionati e naturali. Nulla a che vedere, insomma, con il famoso sopracciglio alzato di John Belushi (ride, ndr)».