Il cerchio di Giotto Morandi: dal Ticino al Grasshopper, per restarci

Avere vent’anni e giocare nel Grasshopper, il club più titolato del Paese. Un sogno, sì. E pazienza se le cavallette arrancano in Challenge League. Giotto Morandi guarda avanti, forte di un contratto appena prolungato: sarà biancoblù fino al giugno del 2023. «Sono contentissimo» afferma.
Un pareggio a Chiasso, due sconfitte, l’allontanamento di Uli Forte e l’immancabile coro di polemiche a mezzo stampa. Il 2020 del Grasshopper non è esattamente tutto rose e fiori. Anzi. Eppure, c’è chi sorride. Parliamo di Giotto Morandi, trequartista ticinese dai piedi vellutati e dall’ottima visione. Lui, il suo, l’ha sempre fatto. Tant’è che si è guadagnato l’estensione del contratto: a Zurigo fino al 2023, con tanto di foto ricordo assieme ad una leggenda come Fredy Bickel, il direttore sportivo, poco dopo l’agognata firma. «Un segnale di fiducia» racconta l’ex Team Ticino. «E uno stimolo, anche. Voglio lavorare ancora di più per ripagare la dirigenza». Di sicuro, Giotto la sua decisione l’ha presa al volo. «Ho detto sì al prolungamento. Subito. Il Grasshopper ha mantenuto il suo fascino. Resta un grande club. E sarebbe il massimo, per me, tornare in Super League con questa maglia».
«Un 2020 inimmaginabile»
Già, peccato però che ad oggi la classifica sia deficitaria. Uli Forte non è riuscito a dare la spinta giusta, per vari motivi. E così la patata bollente, ora, è nelle mani di Goran Djuricin. «Sapevamo che la Challenge sarebbe stata dura» prosegue Morandi. «Certo, nessuno si sarebbe immaginato un 2020 del genere. Non dopo la bella preparazione invernale. Per fortuna il campionato è lungo, c’è ancora tutto il tempo per blindare il secondo posto e, se caso, per tentare l’assalto al primo. Il cambio di allenatore? Quando le cose non vanno, gli aspetti negativi solitamente ricadono sul mister. Detto ciò, anche noi giocatori non siamo esenti da colpe. Al contrario, dobbiamo farci un esame di coscienza. E questo perché in tante situazioni se non sono arrivati i punti è colpa nostra».
Giotto, fra l’altro, era molto legato a Forte. «È vero, gli devo molto se non tutto. Fu lui, ad esempio, a volermi in squadra dopo il prestito a Sciaffusa. L’estate scorsa sembrava che le porte del Grasshopper, per me, si fossero chiuse. Uli però con insistenza fece in modo che si riaprissero. Se adesso ho in mano un rinnovo è anche merito suo, perché ha saputo valorizzarmi e darmi spazio». E imporsi al Letzigrund, con quei colori addosso, non è una passeggiata. «Non a caso il GC è il club più titolato del Paese. Qui la pressione è elevata. Se sbagli mezza partita finisci sei già in discussione».
Al di là dei demeriti sportivi, fa strano effetto ritrovare una nobile in Challenge. «La retrocessione l’ho vissuta da lontano, visto che la passata stagione sono stato prestato allo Sciaffusa per gli ultimi mesi. Però, ecco, non è stato facile digerire un boccone così amaro. Un club del genere in B, ai miei occhi non era e non è normale. Ma le qualità per tornare lassù non ci mancano».
A livello personale, Giotto è contento del suo contributo (19 presenze fra campionato e Coppa, 2 gol) anche se «uno può sempre fare meglio». In ogni caso, spiega, «il passato è passato, ora assieme al nuovo allenatore è tempo di rialzare la testa. Stiamo lavorando con Djurucin da pochi giorni, ma le prime impressioni sono buone». Morandi era arrivato giovanissimo a Zurigo, nel 2016, spinto dall’idea che un ticinese potesse sfondare solo oltre San Gottardo. «Lasciai il Team Ticino dopo un anno di Under 18, avevo questa cosa in testa. Ne ero convinto. A suo tempo ero felicissimo di aver trovato un accordo con il club più blasonato della Svizzera. Lo sono tuttora, ovviamente. Se tornassi indietro rifarei ogni cosa».
«Le lezioni di papà»
Giotto è figlio di Davide, già calciatore in Lega Nazionale B negli anni Ottanta e Novanta nonché allenatore di Locarno e Lugano. Quanto è difficile, per lui, evitare che il ruolo di papà si confonda con quello di esperto di pallone? «In realtà, ha sempre cercato di dividere le due sfere» racconta divertito Morandi Junior. «Di più, è il primo a supportarmi. Certo, se una partita mi va storta lui, sapendola leggere, può darmi un feedback importante. Ma in primis papà è un aiuto, un supporto appunto. Qualcuno cui rivolgermi nei momenti più complicati».
Di momenti difficili Giotto ne ha già vissuti parecchi da quando si è affacciato al calcio dei grandi. «E mio padre c’era. Sempre. Quando mi allenavo in prima squadra ma finivo in Under 21, o quando il club per darmi minuti aveva deciso di spedirmi a Sciaffusa, di fatto retrocedendomi. E dire che avevo appena esordito in Super League, contro il Basilea. Papà c’era, dicevo, ed è stato di grande aiuto. Mi ha insegnato a passare sopra le cose».
«Fra Super League e Kakà»
È passato poco più di un anno dall’esordio di Morandi nel massimo campionato. Era il 3 febbraio 2019 e il Grasshopper affrontava il Basilea. Uno dei classici del nostro calcio. Che ricordi ha Giotto di quel pomeriggio? «Non felicissimi, ad onor del vero. La partita non si mise affatto bene per noi, alla fine arrivò un secco 4-0 per i renani. Io giocai solo il primo tempo: eravamo rimasti in dieci, così l’allenatore decise di sacrificarmi alla pausa. Il mio obiettivo, ora più che mai, è tornare in Super League. Per giocarne altre, di partite. E per crearmi ricordi migliori».
A livello tecnico, il ricordo che Giotto si trascina appresso è quello del primo Kakà. «Il fenomeno ammirato con la maglia del Milan, club di cui sono diventato tifoso» precisa il trequartista delle cavallette. «In campo giostro nella sua stessa posizione, con i dovuti paragoni. Mi ci rivedo. Kakà è qualcuno che mi ha ispirato sin da quando ero piccino».