“Il mio Brasile non è soltanto Neymar”

Da Italia '90 a Cornaredo. Impossibile. Anzi no, perché Mauro Geraldo Galvao la maglia del Lugano l'ha indossata davvero. Fino al 1996, vincendo una storica Coppa Svizzera nel 1993. Oggi l'ex difensore della nazionale verdeoro ha 56 anni, vive a Rio de Janeiro e aspetta un'occasione per rientrare nel giro: «Ero in ballo con una cordata per rilevare il Vasco, ma non se n'è fatto nulla» dice. Nell'attesa, lo abbiamo intervistato. Russia 2018, Neymar, la filosofia di Tite e soprattutto l'attesissima sfida a Rostov sul Don fra Svizzera e Brasile.
Signor Galvao, cominciamo con una domanda scontata: come sta il Brasile?«Io dico bene. La squadra ha dominato le qualificazioni sudamericane, un esercizio che in passato non sempre ci riusciva. Con l'arrivo di Tite sono tornate la voglia e l'allegria, elementi tipici del nostro calcio. Il selezionatore ha capito che il problema non era in campo, ma fuori. Ha toccato le corde giuste e come per magia i giocatori sono tornati ad essere motivati, interessati e partecipi. Certo, il mister è stato bravissimo anche sul piano tattico. Tuttavia il grosso lo ha fatto agendo sulla testa dei calciatori».
Lei e Tite aveve la stessa età. Di più, in passato Mauro Galvao è stato allenato proprio dall'attuale selezionatore verdeoro. Ci dica: che tipo è?«Ci incrociammo al Gremio, poco prima che mi ritirassi dal calcio giocato. Già allora era un allenatore molto bravo. E proprio al Gremio cominciò il suo percorso con i grandi club del Paese. A Tite piace delegare e coinvolgere l'intero staff. Non è un accentratore, al contrario: distribuisce compiti e responsabilità, anche fra i giocatori. A mio parere ha un grande vantaggio. Ovvero, è stato un calciatore e quindi sa come ragiona uno spogliatoio. Purtroppo fu costretto a smettere per i troppi infortuni. L'esperienza sui due fronti può soltanto aiutarlo in Russia».
Quattro anni fa il Brasile sciupò la possibilità di vincere il Mondiale casalingo nel peggiore dei modi, perdendo la semifinale con la Germania con un sonoro e incredibile 7-1. L'Olimpiade vinta due anni fa a Rio ha aiutato a rimarginare quella ferita o no?«Due anni fa battemmo proprio la Germania, con Neymar grande protagonista. Ma le due partite sono difficilmente paragonabili, considerando che la selezione olimpica tedesca era un'altra cosa rispetto a quella che ci umiliò a Belo Horizonte. Il Paese intero subì uno shock pazzesco. Fu qualcosa di anormale: loro non erano affatto così forti e parallelamente il Brasile non era così debole. Tant'è che in finale un'Argentina senza acuti e con un Messi in tono minore sfiorò il colpaccio. Insomma, se il Brasile avesse fatto il Brasile quella semifinale non sarebbe mai finita 7-1. L'importante, ora, è provare a dimenticare il passato. C'è un altro Mondiale alle porte, bisognerà essere pronti tanto con il fisico quanto con la testa».