Calcio e politica

Imbarazzo Premier, tra sangue e potere

Le sanzioni a carico di Roman Abramovich e il «sequestro» del Chelsea da parte del governo di Boris Johnson hanno acceso i riflettori su altre proprietà controverse
Massimo Solari
16.03.2022 20:10

Sabato l’Arabia Saudita annunciava una delle più grandi esecuzioni di condanne a morte della sua storia: 81 uomini uccisi in un solo giorno. Tra i quali ribelli houthi e yemeniti accusati di terrorismo. Il giorno dopo andava in scena la sfida tra Chelsea a Newcastle, da molti definita il derby dello sportwashing. E cioè la strategia che prevede lo sfruttamento dello sport per ripulirsi l’immagine e far distogliere lo sguardo dalla pessima situazione dei diritti umani nel proprio Paese. L’invasione russa dell’Ucraina, è noto, ha inguaiato l’oligarca degli oligarchi Roman Abramovich, travolto dalle sanzioni del governo britannico e privato del suo giocattolino. I Blues, appunto, «sequestrati» da Downing Street dopo che il sodale compagno di Vladimir Putin si era affrettato a metterli in vendita. Ora la società londinese vive alla giornata, impossibilitata a vendere biglietti e costretta a dosare ogni centesimo speso: ieri - per il ritorno degli ottavi di Champions a Lille - si è optato per l’aereo; la trasferta di sabato a Middlesbrough - nel quadro della FA Cup - sarà invece possibile solo in torpedone. «Autobus o aereo non è un problema. Pagherei di tasca mia» ha dichiarato Kai Havertz, facendo buon viso a cattiva sorte. Proprio il tedesco ha deciso l’incontro del weekend contro il Newcastle. Il club, e qui ci riallacciamo alle prime righe, che pochi mesi fa è finito sotto il controllo del fondo sovrano dell’Arabia Saudita. Il cosiddetto Pif (Public investment fund), benedetto dalla FA inglese e presieduto nientemeno che dal principe ereditario Mohammed bin Salman. Sì, quello dell’efferato omicidio del dissidente saudita Jamal Khashoggi. Nonché figura chiave e controversa di un regime che nel 2015 invadeva a sua volta uno Stato limitrofo - lo Yemen -, assumendo la guida di una coalizione che in sette anni ha contribuito alla morte di 200 mila persone.

E allo Yemen chi pensa?
Certo, la guerra che sta insanguinando l’est dell’Europa ha le sue peculiarità geopolitiche e le sue ombre. Ma allo stesso tempo ha tanto in comune con gli incessanti bombardamenti che interessano l’estremità meridionale della penisola araba. Una zona, per intenderci, che secondo «Human Rights Watch» ha prestato il fianco a crimini di guerra. Beninteso, da parte di tutti gli attori in gioco. Sauditi compresi. Ai piani alti della Premier, va da sé, cresce l’imbarazzo. E, indirettamente, gli interrogativi ammantano Boris Johnson e il suo Esecutivo. Come mai - si chiedono i media oltremanica - ci si indigna e si cala la scure sul Chelsea ma non sui padroni del Newcastle? Forse perché il Regno Unito ha contribuito ad armare l’aviazione saudita? O magari dal momento che BoJo - proprio in queste ore - è in missione a Riad per cercare di abbassare il prezzo del petrolio, riducendo la dipendenza dalla Russia? Per dire: sentito da una commissione parlamentare, martedì il ministro dello sport Nigel Huddleston ha ammesso a denti stretti che i sauditi sono un «partner importante» del Regno Unito. Rifiutando di criticare la cessione del Newcastle al Pif, ma riconoscendo «che è necessario un ulteriore perfezionamento e un test più rigido per proprietari e direttori» dei club di Premier League. «Ci sono valide preoccupazioni al riguardo». Il vento, insomma, potrebbe cambiare. «Presto anche lo sport dovrà fare tesoro del principio, prettamente economico, della “diversificazione del rischio”» sottolinea il giornalista Lorenzo Longhi, attento osservatore degli aspetti politici dello sport e collaboratore dell’Enciclopedia Treccani. L’obiettivo, per il co-fondatore della newsletter settimanale di approfondimento «The SpoRt Light», dev’essere chiaro: «Va ritrovato un equilibrio. Un equilibrio che non obblighi club e istituzioni sportive a doversi consegnare a regimi autoritari, dipendendo dai loro capitali».

Le istituzioni sportive hanno un'evidente responsabilità nella legittimazione di certi regimi autoritari
Lorenzo Longhi, giornalista

Il futuro è a stelle e strisce
La cessione del Chelsea, in tal senso, assomiglia a un saggio suggerimento. «Se dovessi fare una previsione, immagino che il futuro delle proprietà e sponsorizzazioni calcistiche - per i Paesi atlantisti - sarà vieppiù a stelle e strisce. Cosa che per altro ha ancora più senso considerando i Mondiali americani del 2026». Sin qui, al contrario, «l’evoluzione della specie, o meglio il suo arretramento, ha portato altrove» osserva Longhi. «Lo scontro russo-ucraino può essere il punto di svolta di una sensibilità rimasta sopita per vent’anni. In questo periodo la prospettiva eurocentrica si è tradotta nella sottovalutazione di tanti conflitti. Ora, invece, la vicinanza e la pericolosità della guerra promossa da Putin rende urgenti diverse riflessioni. Anche sul piano della governance sportiva. Come dicevo, è evidente la responsabilità delle sue principali istituzioni nella legittimazione di determinati regimi. Regimi, fra i quali la Russia, che erano considerati alleati economici. Basti pensare a Gazprom e alla datata collaborazione con la UEFA, interrotta nel totale imbarazzo di Nyon dopo essere stata rinnovata nel maggio del 2021. Un partner finanziario che si riteneva strategico e affidabile si è di colpo rivelato l’esatto opposto a causa di equilibri geopolitici instabili».

A fronte della controffensiva che ha punito la Russia e alcuni dei suoi grimaldelli nel mondo dello sport, ci si può dunque attendere che altre situazioni problematiche possano precipitare. Il Newcastle ne è l’esempio lampante. «Se ne era parlato anche in autunno, quando si era consumato il passaggio di proprietà al St James’ Park» ricorda Longhi. «Ma, ripeto, ora il livello d’attenzione è schizzato alle stelle. Faccio un esempio: negli scorsi giorni la leggenda dei Magpies Alan Shearer aveva criticato aspramente Abramovich. Ebbene, poche ore dopo il Guardian lo ha attaccato in modo altrettanto feroce, invitandolo a riflettere sul suo vecchio club, l’Arabia Saudita e lo Yemen». Longhi va però oltre: «Non dimentichiamoci che in quella zona di guerra agiscono pure il Qatar, che ospiterà i Mondiali del 2022 e controlla il PSG, o gli Emirati Arabi Uniti dello sceicco di Abu-Dhabi Mansur bin Zayd Al Nahyan, proprietario del City e del City Group». Guai tuttavia a parlare di «politiche miopi. A questi capitali, oggi legittimamente contestati, ci si è affidati consapevolmente». E a farlo notare con la consueta lucidità è stato il tecnico del Liverpool Jürgen Klopp.

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