La donna che ha trasformato una passione in una comunità
Ancora oggi il volto di Angelo Renzetti, quando viene menzionato il suo nome, si illumina. «Alona Barkat? Non ho che belle parole per lei». Già. Nel 2017, quando il Lugano fece il suo ritorno sulla scena continentale esordendo a Be’er Sheva, il patron conobbe in prima persona la proprietaria del club israeliano e il suo entourage. Un’esperienza che lasciò un segno indelebile nella memoria e nel cuore dell’ex presidente bianconero. «Furono di una gentilezza immensa, fuori dal comune. Ci riservarono un bellissimo trattamento, sia nei giorni precedenti il nostro esordio in Europa League, sia in quello della partita. Barkat si premurò di avermi al suo fianco nella tribuna d’onore del Turner Stadium, in un momento storico ed emozionante per il nostro club. Peccato solo che alla fine a sorridere, sul piano sportivo, fu lei (ride, ndr)».
Una figura carismatica
Quella sera di metà settembre, con i sottocenerini a fungere da sfortunati attori non protagonisti, la società dello Stato ebraico scrisse un’altra importante pagina della sua storia. L’ennesima sotto la guida di una figura carismatica e per certi versi iconica, unica nel panorama calcistico locale. Capace non solo di diventare la prima donna israeliana a possedere un club, ma anche in grado di cambiarne - un passo dopo l’altro - la cultura sportiva. «Penso che le persone debbano fare ciò in cui credono - dichiarava la stessa Barkat, in un’intervista rilasciata anni fa -. Non importa se sei uomo o donna. Devi solo seguire il tuo istinto, le tue convinzioni, e tutto si sistemerà di conseguenza». Un mantra quasi profetico, considerando le vette raggiunte dall’Hapoel Be’er Sheva negli ultimi quindici anni. Ovvero da quell’estate del 2007 in cui l’imprenditrice classe 1969 decise di acquistare il club, precedentemente presieduto da Eli Zino.
Quindici anni ricchi di successi
Una mossa che all’epoca suscitò un certo scalpore, considerando che l’oggi 53.enne - di rientro in Israele dopo otto anni trascorsi nella Silicon Valley (California) assieme al marito e uomo d’affari Eli Barkat - aveva legami più stretti con città più rinomate come Tel Aviv e Gerusalemme. Ma pur essendosi temporaneamente avvicinata alle società locali, non ha mai ceduto al fascino - economico e non solo - di investire in realtà più consolidate. «Assumere le redini del Be’erSheva rappresentava per me una sfida unica nel suo genere, speciale - si legge in un’altra intervista alla Barkat, più recente -. Quando ho deciso di lanciarmi in questo progetto, l’ho fatto perché volevo dimostrare che chiunque in questo Paese, indipendentemente da quale regione provenga, con impegno e dedizione può realizzare i propri sogni. Anche nel deserto del Negev».
Quindici anni più tardi, i risultati parlano per lei. L’Hapoel, che al momento del suo insediamento militava in seconda divisione, crogiolandosi in un passato vincente ma ormai ingiallito, è oggi una delle realtà calcistiche più affermate dell’intero Stato ebraico. Capace di collezionare - dal 2007 - qualcosa come tre campionati, due coppe nazionali, tre supercoppe e un paio di altri trofei minori. Brillando non soltanto in patria, ma anche in ambito europeo. Per conferme basta chiedere all’Inter e ai suoi tifosi, usciti con le ossa rotte da entrambi gli scontri diretti andati in scena nella fase a gironi dell’Europa League 2016-17. Ma nel corso degli anni, tra Champions, Europa e ora anche Conference League, più e più club blasonati hanno pagato dazio al cospetto di una società piccola ma estremamente fiera.
La vittoria più importante
L’orgoglio, collante che lega squadra e piazza rendendo estremamente ardua la trasferta al Turner Stadium, non è frutto del caso. Nel corso degli anni è stato infatti dapprima trasformato, e poi alimentato dalla stessa Barkat. Che, come si diceva in precedenza, è riuscita a ricalibrare quella che una volta era una passione genuina, ma di tanto in tanto sfociante in azioni indesiderate e anche violente da parte del tifo organizzato. Adirato in più occasioni per la conduzione sportiva del club. «Ci siamo avvicinati alla popolazione - ha spiegato la Barkat, nella già citata intervista -. Investendo nel settore giovanile, nelle infrastrutture e in progetti di inclusione a 360 gradi. Permettendo al club di progredire in ogni ambito, dalla prima squadra ai più piccoli. I tifosi hanno compreso la bontà della nostra visione e hanno agito di conseguenza. Si è creata una splendida comunità, la cui coesione è evidente quando si respira l’atmosfera che c’è allo stadio». Al netto dei trofei conquistati, forse la vittoria più importante della 53.enne israeliana. Che nel 2019 ha anche tentato - lì sì senza particolari acuti - la carriera politica. E che per qualche mese, a cavallo tra il 2020 e il 2021, aveva temporaneamente lasciato la guida del club in seguito a un mancato accordo con i giocatori in merito a una riduzione degli stipendi, in risposta alla crisi pandemica. Ma l’amore per la sua «creatura» l’ha spinta a ritornare presto sui suoi passi. Per la gioia di un’intera comunità.