Italia

La festa del Milan contro Calhanoglu

I festeggiamenti dei rossoneri per lo scudetto hanno ricordato che il calcio è diverso dal mero intrattenimento o da un prodotto commerciale
Stefano Olivari
24.05.2022 14:30

I festeggiamenti per lo scudetto del Milan, durati due giorni e culminati con l’arrivo del pullman della squadra ieri sera in Piazza Duomo a Milano, hanno una volta di più ricordato che il calcio è qualcosa di ben diverso dal mero intrattenimento o da un prodotto commerciale. Merito, si fa per dire, non soltanto dei tifosi ma anche di giocatori come Ibrahimovic che hanno gridato al mondo tutta la differenza fra i tweet da ufficio stampa, i finti complimenti ‘corporate’, per non dire della retorica giornalistica, e la gente reale, quella che fa la fortuna del calcio.

«Calha» e la psicologia del tifoso

Nella psicologia del tifoso, del Milan o delle altre squadre, laureato ad Harvard o senza licenza elementare, milionario o con il reddito di cittadinanza (a volte percepito anche da milionari, ma è un altro discorso), vecchio o giovane, esistono soltanto tre categorie di giocatori: i ‘nostri’, sempre da esaltare e giustificare, quelli degli altri, sempre da criticare e sfottere, e i traditori, gli ex andati via volontariamente, che non hanno compreso le bellezza di giocare in questo caso nel Milan. Ecco, i presunti traditori sono il demonio: perché per alcune menti malate il club può mandar via un giocatore che non gli piace più, mentre il giocatore ha il dovere di amare per l’eternità il club. Per questo il bersaglio numero uno dei cori e degli striscioni è stato Hakan Calhanoglu, andato via l’estate scorsa in scadenza di contratto e quindi facendo incassare zero euro al Milan, ma soprattutto andato all’Inter. Meno astio per Donnarumma, andato al PSG, o per il partente (Barcellona) Kessié, situazioni del tutto analoghe ma con la lontananza a smorzare il tutto.

L'invito di Ibrahimovic

Fin qui siamo nella tradizione italiana, per quanto le tradizioni possano anche migliorare, mentre la novità è stata introdotta da Ibrahimovic, che sul pullman, microfono in mano, ha aizzato la folla: «Mandate un messaggio ad Hakan…». Prevedibile la risposta, mentre lo era meno che lo svedese rompesse un tabù: perché entro certi limiti (razzismo, sessismo, eccetera) i tifosi possono dire ciò che vogliono, ma un calciatore che invita la folla ad insultare un collega non si era mai visto. Ibrahimovic, poi, con tutte le maglie cambiate per seguire (giustamente) il miglior offerente. Cose che lui sa benissimo, però a 41 anni non può più far parlare il campo: il suo futuro è incerto, potrebbe anche continuare ma certo Paolo Maldini e l’amministratore delegato Gazidis non gli offriranno 7 milioni netti a stagione soltanto per fare l’uomo immagine. Ibrahimovic è quindi di fronte ad una scelta di marketing: rimanere un ex campione trasversale, senza maglia e senza bandiera, amato-odiato da tutti, o fare la vecchia gloria milanista? Lo scomparso Mino Raiola gli avrebbe consigliato la prima strada, perché il Milan è uno e i grandi ex sono tanti.

Quella volta di Ambrosini

Quasi una citazione del passato è invece lo striscione ‘La Coppa Italia mettila nel c….’ (nello striscione non c’erano i puntini) fatto da anonimi tifosi ma esibito dai giocatori del Milan, Maignan e Krunic su tutti, ma anche Giroud e Rebic (che poi ne ha mostrato uno riferito a Simone Inzaghi). Riferimento alla Coppa Italia di recente vinta dall’Inter in finale sulla Juventus e allo striscione che dopo la vittoria del Milan nella Champions League 2007 Massimo Ambrosini raccolse anche in quel caso da tifosi e che si riferiva al fresco scudetto interista con Mancini allenatore. Anche all’epoca l’episodio fece discutere mezza Italia e mezzo web, con Ambrosini che fu obbligato dal Milan a scrivere una lettera di scuse sul sito del club, visto che Berlusconi (ieri presente alla festa, in attesa di celebrare la promozione in A del Monza) non tollerava simili cadute di stile. Il famoso ‘Lo scudetto mettilo nel c…’ ebbe una risposta ufficiosa da Marco Materazzi due anni dopo, dopo il primo degli scudetti di Mourinho, con un altro striscione, ‘Ambrosini, nel mio c… c’è ancora posto’. Non esattamente quei falsi complimenti da ufficio stampa che oggi vanno di moda, ma l’interpretazione dei sentimenti più beceri dei tifosi.

L'attesa

È chiaro che il basso numero di vittorie renda più esagerati i festeggiamenti di quelle poche: difficile che Andrea Agnelli ricordi un episodio simile per il nono scudetto di fila della Juventus, ma forse nemmeno per il secondo. Di sicuro pochi fra i centomila che hanno accompagnato la squadra da Casa Milan, la sede del Milan in zona Fiera, al centro di Milano, nella loro vita reale esporrebbero striscioni di questo genere contro un’azienda rivale della loro o contro un collega. Non c’è una soluzione, perché la fortuna del calcio è quella di basarsi sul tifo, che a volte porta ad episodi spiacevoli ma più spesso porta ad un sano attaccamento alla maglia, l’unica cosa nella vita che non si tradisce perché rappresenta i nostri sogni di bambini. Intanto la procura della Federcalcio ha aperto un’inchiesta per la presunta violazione dell’articolo 4 del Codice di Giustizia Sportiva, quello riguardante lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto riferibile all’attività sportiva. Inchiesta che ovviamente finirà in niente, perché il tifo calcistico è questo: oggi a me, domani a te. Non si può riformare, ma soltanto limitare e tollerare. 

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