Lo psicodramma e il disincanto attorno all'Italia

Era andata a dormire con un commissario tecnico fantasma, Luciano Spalletti, privato di mansione e missione, e tuttavia costretto a balbettare pure contro la Moldova. Quantomeno, si era coricata con una promessa in grado di lenire l’imbarazzo generato da una situazione assurda. «Cara Italia, prova a consolarti con Ranieri». E cioè il sostituto più degno e per certi versi inattaccabile, complice la rettitudine e una morbidezza mediatica plasmata negli anni. Ebbene, l’investitura di «sir Claudio» non ha superato la mattinata e la magniloquenza di titoloni e paginate «invecchiate male». Lo psicodramma azzurro perdura, così come la ricerca di una guida per una selezione allo sbando. Okay, ma chi? Dal panico sono emersi profili differenti, ciascuno dei quali accompagnato da pro e contro. Da Stefano Pioli al pentito Roberto Mancini, passando per gli eroi del 2006, Gattuso, Cannavaro, De Rossi, simboli di un Mondiale che rischia di negarsi ancora. Ci sono loro e poi ci sono tutti gli altri allenatori, felici di prendere il sopravvento e sentenziare alle porte di un’estate che - calcisticamente parlando - doveva essere di passaggio. Vale un po’ tutto e il contrario di tutto. Inevitabili le accuse al cittì uscente; incerte quelle al presidente federale Gabriele Gravina, in febbraio rieletto alla testa della Federcalcio con il 98,7%; doverose quelle ai giocatori, nella maggior parte dei casi non all’altezza più che logorati da una stagione che mica risparmia gli avversari. E così, senza per forza scomodare altri «lestofanti», a sintetizzare il caos del movimento ci pensa Silvio Baldini, forse l’unico grande vincitore del lungo weekend di Pentecoste: «Il problema non è Spalletti, il problema è che si è creata una generazione di persone che non sanno più cos’è la bandiera italiana, cosa vuol dire indossare la maglia azzurra. La Nazionale vera è quella dell’82».
«Un’Apocalisse permanente»
La sensazione, insomma, è quello di uno scollamento. «Anche se l’immagine del Paese che si straccia le vesti, a mio avviso, è figlia di un riflesso mediatico, più che di un interesse e di un coinvolgimento manifesti» evidenzia Corrado Del Bò, professore ordinario di filosofia del diritto al Dipartimento di giurisprudenza dell’Università di Bergamo. In tempi non sospetti - correva il 2017 e l’Italia aveva appena mancato la qualificazione al Mondiale russo -, Del Bò scrisse uno stuzzicante volumetto insieme a Alessandro Pagnini e Emilio Becheri: Dove va il calcio italiano. Filosofeggiando prima e dopo l’Apocalisse. E a rifletterci oggi, l’autore riconosce come «l’Apocalisse - in chiave Coppa del Mondo - sia oramai diventata permanente, tenuto conto dell’edizione mancata del 2022 e pure delle delusioni nel 2010 e 2014. Detto altrimenti, il tabù si è cristallizzato. Ed è proprio per questa ragione che sarebbe buona cosa prenderne atto serenamente».
Suggerivamo, non è ciò che sta accadendo oltreconfine. «E quindi mi permetto di citare Ennio Flaiano e la celebre frase “la situazione è grave, ma non è seria”» rincara Del Bò, alludendo anche all’incredibile uscita di scena - nei modi e nei risvolti - di Spalletti. «La soluzione Ranieri, e più in generale la ricerca del successore, stava e sta alimentando l’idea dell’eroe taumaturgo, in grado di compiere miracoli. La verità, però, è che nessun tecnico di grido guarda con particolare slancio alla panchina della Nazionale. E nel caso dell’Italia è comprensibile, soppesata la qualità e l’ardore dei convocabili, vieppiù esordienti».
Se i giocatori non fanno litigare
Il materiale umano utilizzato per fronteggiare Norvegia e Moldava, in effetti, ha suscitato non pochi interrogativi. E pure fatto tenerezza. «In queste condizioni, l’oggetto di discussione e del contendere diventa ovviamente l’allenatore» indica Del Bò. «È più semplice. Come è stato più semplice puntare il dito contro Simone Inzaghi, invece che verso i suoi uomini, dopo la finale di Champions persa dall’Inter. D’altronde, il dibattito su chi scende in campo appassiona e accende in presenza di dualismi degni di questo nome. Ma qui non si tratta di Baggio o Del Piero. Oppure, tornando a un’epoca in cui la Nazionale contava davvero molto, all’esclusione di Beccalossi per Antognoni e di Pruzzo per Rossi». Baldini e l’82, appunto.


Il nostro interlocutore invita dunque ad alzare lo sguardo e a osservare anche l’inerzia dei club italiani, «da 15 anni a questa parte - prendiamo la Champions League - superate dalle realtà più ricche del continente. Nei limiti di quello che è diventato il movimento calcistico del Paese, si fanno così figure più o meno decenti, con qualche finale o exploit. Il momento buio della Nazionale, di conseguenza, non dovrebbe scandalizzare oltremodo».
Il senso delle nazionali
Già convogliato nel libro La partita perfetta. Filosofia del calcio - realizzato con Filippo Santoni de Sio -, il pensiero del professor Del Bò non si ferma qui. «Nel 2018 avevo una posizione sfumata, mentre ora - sempre più - mi sto interrogando sul senso delle nazionali di calcio. Che cosa aggiungono, oggi, alla vita sportiva del rispettivo Paese? Certamente meno rispetto a 40 anni fa. Nelle chat calcistiche di cui faccio parte in quanto grande tifoso della Juventus, dell’Italia si parla poco. E fra coloro che accennano al tema, solo alcuni si dispiacciono della crisi attuale. Tradotto: esiste una tendenza al disincanto».
E, chissà, la retorica spallettiana potrebbe non aver favorito l’immedesimazione del popolo azzurro. «La smetta di fare il professore di filosofia, ormai siamo all’angolo da 15 anni» leggiamo per esempio fra i commenti in calce alla conferenza stampa che ha preceduto Norvegia-Italia. Parola all’esperto di filosofia: «In effetti, il ct non ha mai dato l’impressione di avere le idee molto chiare. Ma il fatto che Spalletti generasse un po’ di confusione prima e dopo le partite, venendo assorbito dalle personali circonvoluzioni di pensiero, non dovrebbe distogliere l’attenzione dal lavoro più importante, quello sul rettangolo verde. Poi, certo, a trascinare l’affetto sono i risultati. Specialmente per una realtà strana come la Nazionale, verso la quale il legame sarà sempre più lasco».