L'urlo della Scozia e il sussulto di un formato screditato

Andrew Robertson trattiene a stento le lacrime. La voce trema. Gli occhi brillano. La Scozia, d’altronde, ha appena strappato la qualificazione al Mondiale 2026. E lo ha fatto all’ultimo respiro, beffando la Danimarca, sconfitta 4-2 a Glasgow. La Tartan Army non disputa la competizione dal 1998. E per il capitano, 31 anni, sarà la prima volta. Questo e altri pensieri più dolorosi si mischiano davanti a microfono e telecamere. «Credo di averlo nascosto bene, ma oggi ero a pezzi. Sapevo che, alla mia età, questa sarebbe stata l’ultima occasione per regalarmi un Mondiale. E non riuscivo a togliermi dalla testa il mio amico Diogo Jota. Abbiamo parlato tanto, insieme, della Coppa del Mondo, di lui che non poté andarci nel 2022, a causa di un infortunio, mentre la mia Scozia non era stata in grado di qualificarsi al torneo». Un pugno allo stomaco, già, come lo è stato la morte dell’attaccante portoghese del Liverpool, vittima di un incidente stradale lo scorso luglio. «Ma sono sicuro che da lassù mi stia sorridendo» balbetta Robertson, capace di emozionarsi e di emozionare grazie alla prestazione offerta dalla Scozia nel match conclusivo del gruppo C. Le reti decisive di Tierney e McLean sono maturate in pieno recupero, quando lo spettro dei playoff sembrava poter avvolgere Hampden Park.
Come in Champions League
Da qualche ora, e chissà ancora per quanto, a intasare il web è quindi la gioia sfrenata di giocatori, tifosi, cronisti, allo stadio e nei pub. Un mix di commozione ed euforia contagioso, davvero, che 48 ore prima aveva travolto il popolo irlandese, incredulo per il 3-2 realizzato al 96’ da Parrott, grazie al quale è stato possibile strappare in extremis un ticket per i playoff a discapito dell’Ungheria. I sostenitori della Bosnia ed Erzegovina, ahiloro, ci hanno creduto per 77’, quelli trascorsi in vantaggio a Vienna, prima che Gregoritsch ristabilisse le gerarchie, consegnando il visto americano all’Austria. Non solo. Sarebbe bastato uno sviluppo lievemente diverso anche in altri tre gruppi, per rendere carico di pathos l’incrocio conclusivo: e pensiamo a Italia-Norvegia, Spagna-Turchia e - certo - Kosovo-Svizzera.
Insomma, l’attuale sistema di qualificazione dell’area UEFA non ha deluso sul piano della drammaticità sportiva, destinando alla storia trame ed epiloghi struggenti. Tutto molto bello. Peccato che proprio a Nyon si stia studiando una rivoluzione del formato. Non vi sono ancora dettagli ufficiali, ma sia il presidente Aleksander Ceferin, sia - più di recente - la Football Association inglese, hanno confermato di voler mettere (pesantemente) mano al sistema attuale. E in vista dell’accesso al Mondiale, e in chiave Europei. Come? Replicando quanto fatto con la Champions League, che dalla stagione 2024-25 ha abbracciato il cosiddetto «modello svizzero». Si passerebbe dunque a un girone unico e, in base al ranking delle singole selezioni, a un determinato numero di sfide con avversari sempre diversi. In questo modo verrebbe a cadere la ripetizione di partite dal risultato scontato, tipo Inghilterra-San Marino, toh, consegnando a pubblico ed emittenti maggiori variazioni sul tema. Okay, d’accordo. E però è lecito chiedersi se la configurazione in questione - orfana di una fase a eliminazione diretta, a differenza della Champions - saprebbe garantire la travolgente indecifrabilità che ha interessato Scozia-Danimarca, Ungheria-Irlanda o ancora Austria-Bosnia.
I più piccoli al mondo
La sensazione, al contrario, è che le sorprese dell’ultimo minuto possano venire soffocate per lasciare spazio a una campagna di qualificazione più congeniale alle nazionali favorite. Almeno sulla carta. Resta inoltre da capire se, e in che misura, pure i risultati ottenuti in Nations League andrebbero a incidere maggiormente sulle chance di qualificazione di una o dell’altra squadra.
A parlare, alla fine, sarà in ogni caso il campo. E mentre si continua a bisticciare sul disequilibrio tra la rigidità delle qualificazioni europee rispetto alla morbidezza concessa ad altre confederazioni, il rettangolo verde ha prodotto altre favole. Detto dei ritorni di Norvegia e Scozia, entrambe a digiuno di Mondiali da quasi un trentennio, la notte è stata indimenticabile per Curaçao, nazione costitutiva del Regno dei Paesi Bassi e isola caraibica che con i suoi 185.000 abitanti è diventata la più piccola realtà a volare a una Coppa del Mondo. Ma a raggiungere Capo Verde, Giordania e Uzbekistan, assicurandosi un posticino sul palcoscenico più prestigioso dopo l’unico precedente del 1974, è stata pure Haiti. Ai playoff del prossimo marzo il compito di confermare o sovvertire gli ultimi pronostici.


