Euro 2024

Ma non è il «torneo di calcetto della banche»? Com'è cambiata Svizzera-Italia

Le frasi, invecchiate male, del telecronista italiano Fabio Caressa raccontano molto dell'ottavo di finale di questa sera
Mattia Sacchi
29.06.2024 09:00

4 luglio 2006, Westfalenstadion di Dortmund, semifinale di Coppa del Mondo. Allo scadere del secondo tempo supplementare Alberto Gilardino avanza verso la porta tedesca, passa un pallone sulla sinistra per Alessandro Del Piero che, di destro, lo mette proprio all'incrocio del pali, siglando il 2 a 0 dell'Italia contro la Germania. Fabio Caressa, il telecronista di quell'epica partita, urla «Beppe (Giuseppe Bergomi, l'ex calciatore che lo assiste in telecronaca, ndr), andiamo a Berlino!».

Una frase rievocata, in un incredibile parallelismo, lo scorso 24 giugno quando, nell'ultimo disperato assalto dell'Italia contro la Croazia, Mattia Zaccagni con un tiro a giro di destro trova il gol del pareggio che permette agli azzurri di scongiurare l'eliminazione alla fase ai gironi. Fabio Caressa, ancora lui al microfono, accompagna questa rete urlando di nuovo «Beppe andiamo a Berlino». Ma questa volta è un urlo disperato, quasi strozzato. «Ho strappato con la voce, mi stavo uccidendo», dirà qualche ora dopo.

Di certo non era più l'urlo fiero e spavaldo di chi narrava le gesta di una nazionale, quella azzurra, che si era guadagnata la finale sfidando a viso aperto i padroni di casa. Bensì il tono di chi ormai non ci credeva quasi più. Di chi si era affidato, più che al talento dei calciatori in campo, alle preghiere e a un aiuto dall'alto per sperare in un passaggio di turno che, fino a qualche anno fa, per l'Italia non rappresentava niente più del minimo sindacale. Le stesse parole usate sia per andare a giocarsi la finale mondiale contro la Francia che per affrontare agli ottavi la Svizzera.

A questo proposito: «Il tempo passa per tutti lo sai», canta Max Pezzali ne Gli anni. Anche per le parole e le frasi. E non tutte invecchiano allo stesso modo. 

Se «Beppe andiamo a Berlino» è una citazione rimasta comunque iconica, benché la sua declinazione originale sia stata decisamente ridimensionata, ce n'è un'altra, sempre di Fabio Caressa, che è stata colpevolmente dimenticata. 

6 dicembre 2013. Sorteggio per i gironi della Coppa del Mondo 2014 in Brasile: la Nati è in prima fascia, l'Italia solo in quarta, destinata così a un girone più difficile. Una decisione, quella della Fifa, che non è piaciuta al telecronista italiano il quale, in diretta, sbotta: «La Svizzera, a meno che non si faccia un torneo di calcetto delle banche, non può essere testa di serie».

Pochi mesi dopo l'Italia avrebbe rimediato al Mondiale brasiliano una misera figura, eliminata ai gironi e bissando la cocente delusione di quattro anni prima, dove in Sudafrica non riuscì a passare uno dei gironi più facili di sempre contro le non irresistibili, per usare un eufemismo, Nuova Zelanda, Slovacchia e Paraguay. E il peggio sarebbe dovuto ancora arrivare, visto che pochi giorni fa gli azzurri hanno "celebrato" i 10 anni dalla loro ultima partita in una Coppa del Mondo, che li ha visti assenti per ben due edizioni consecutive.

In quegli stessi anni la Svizzera, quella dei tornei di calcetto delle banche, ha intrapreso un esponenziale percorso di crescita, compiendo grandi imprese come la vittoria sulla Francia agli ultimi Europei e prendendo l'aereo per i mondiali in Qatar, proprio al posto dell'Italia. Quando Remo Freuler ha ricordato quest'ultimo evento, è stato addirittura costretto a scusarsi. Chissà se anche le sue parole invecchieranno male come quelle di Caressa.

Una cosa è chiara: gli uomini di Yakin in queste prime partite hanno dimostrato di avere gioco e consapevolezza dei propri mezzi, molto più di quanto visto da quelli di Spalletti. Il torneo di calcetto delle banche è finito, questa sera sarà Svizzera - Italia: oggi più che mai è il momento di dimostrare il proprio valore.

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