Calcio

Mauro Lustrinelli e il Thun si sono ripresi la Super League: «Ora torniamo quelli di un tempo

Intervista all'allenatore ticinese, capace di riportare il club bernese nel massimo campionato svizzero: «No, non dev'essere la chiusura di un cerchio»
©KEYSTONE/PETER SCHNEIDER
Massimo Solari
08.05.2025 21:28

Il Thun, dunque, tornerà in Super League. E con lui Mauro Lustrinelli. Entrambi non potevano più farne a meno. Non si spiegano altrimenti le lacrime e la festa esagerata di venerdì notte, dopo la vittoria decisiva ottenuta contro l’Aarau. Una settimana più tardi, le emozioni hanno lasciato spazio all’orgoglio, anche se la voce dell’allenatore ticinese è ancora roca e un po’ impastata.

Mauro, sono stati giorni intensi. Sognati, anche. A che cosa ha lasciato spazio l’adrenalina?
«Da dove partire... Sicuramente dall’enorme fierezza per quanto ottenuto. E, certo, dalla soddisfazione e la consapevolezza di aver realizzato qualcosa di importante. Se ripenso all’inizio del percorso, a dove mi trovavo tre anni fa, avverto un grande appagamento. Dopo due storiche qualificazioni agli Europei di categoria con la Svizzera Under 21, avevo rinunciato alla fase finale in Romania e Georgia, decidendo di abbracciare il progetto del Thun. E con esso alcune incognite. Non dimentichiamo che il club non navigava in acque tranquille sul piano finanziario. L’orizzonte non era così nitido. Le ambizioni, però, non mancavano. E insieme al presidente Andres Gerber e al direttore sportivo Dominik Albrecht fummo in grado di allestire una strategia chiara. Ebbene, oggi siamo proprio lì, dove volevamo essere. Con una struttura nuova, basata su giocatori giovani e della regione, e con una filosofia di calcio riconoscibile».

Vi eravate dati tre stagioni per conquistare la Super League. Come hai convissuto con questa condizione temporale nell’ultimo e decisivo anno? È stata più spada di Damocle o pungolo?
«Ripeto: la pianificazione era chiara. Ed è stato bello svilupparsi in modo progressivo, facendo tesoro di ogni tappa. Della bontà della nostra visione avevamo pochi dubbi. E ciò a differenza del periodo necessario per portarla a compimento. L’orizzonte temporale di 3 anni è nato così. Dopo il primo di assestamento, la stagione 2023-24 è stata fantastica, con tanto di record di punti, ma con il Sion capace di spuntarla. Lo spareggio con il Grasshopper, perso in extremis, ha quindi portato con sé tanta delusione. Ripartire, tuttavia, non è stato così complicato. Proprio perché la convinzione di trovarsi sulla strada giusta non è mai venuta meno. La direzione non è cambiata. La fiducia, anche nei miei confronti, non è mutata. Dopo esserci andati vicinissimo, eravamo dunque sicuri che il 2025 sarebbe stato l’anno buono».

Hai menzionato l’amaro spareggio con il GC. Poteva trasformarsi in un boomerang, e invece siete rimasti focalizzati sull’obiettivo.
«Quando chi è capo della società non ha cedimenti, ma resta saldo nelle sue idee e convinto delle figure necessarie per tramutarle in realtà, tutto è più semplice. Abbiamo inoltre avuto la fortuna di trovare un investitore (l’azionista Beat Fahrni, ndr) che ha saputo dare stabilità al club. E a proposito di questo, lo scorso novembre - senza garanzie circa i risultati di fine stagione - è arrivato pure il mio rinnovo contrattuale. Da un punto di vista strategico, i segnali forti sono insomma stati molteplici. Per tutte le parti in causa».

Ritrovarmi a festeggiare nella piazza del Municipio, 20 anni dopo aver conquistato la Champions League, ha rappresentato qualcosa di speciale

Torniamo a venerdì. Alla Stockhorn Arena traboccante di felicità e alle tue lacrime. Sei una persona misurata, ma trattenersi - in una circostanza del genere - non era possibile, vero?
«Sì, è venuto fuori tutto. D’altronde, nessuno avrebbe potuto immaginare un copione così bello all’alba della stagione. A quattro giornate dal termine, sfidare l’Aarau - diretta concorrente - e cogliere la promozione con una vittoria nei minuti finali. Pazzesco. Pure l’avvicinamento alla partita è stato speciale. L’entusiasmo era palpabile, fuori dalla Stockhorn Arena c’era la coda per assicurarsi un biglietto, mentre per le vie della città ci si riprometteva di festeggiare insieme al triplice fischio finale. L’ambiente allo stadio, non a caso, è stato fantastico. Per tacere della trama del match, con Ethan Meichtry - un ragazzo giovanissimo, cresciuto in casa e proveniente dalla Seconda Lega - che firma la rete decisiva. L’esplosione di gioia conclusiva si spiega anche così, dalla realizzazione di aver partecipato a un evento storico. E poterlo fare da allenatore della squadra che ce l’ha fatta, il mio Thun, ha reso il tutto ancor più incredibile».

Nel giugno del 2022, definisti «irrazionale» la decisione di lasciare la Svizzera U21 e l’ASF per accettare la proposta del Thun. L’azzardo ha pagato?
«Altri, forse, hanno ritenuto la mia scelta rischiosa. Io, piuttosto, parlerei di una decisione presa con il cuore. Oltre che di un frangente cruciale per permettere alla mia persona e alla mia carriera di diventare migliori. Di crescere. Ho lasciato la mia comfort zone, un ambiente che conoscevo e a cui sono molto legato - la Federazione -, ma dal primo giorno di lavoro a Thun mi sono sempre fatto trascinare da questo momento, dal sogno promozione».

Sei un tecnico giovane che sbarca in Super League. Che cosa rappresenta, nel tuo immaginario, il massimo campionato svizzero?
«Averlo raggiunto con il lavoro rappresenta tanto. Era solo una questione di tempo. Come allenatore, naturalmente, mi pongo degli obiettivi di carriera. E averne realizzato uno così importante proprio a Thun è stato bellissimo. Parliamo della mia seconda casa, del club che da calciatore mi ha permesso di vivere delle esperienze magiche, Champions League in primis. Ecco: ritrovarmi a festeggiare nella piazza del Municipio 20 anni dopo, rappresenta qualcosa di speciale. Ma non la chiusura di un cerchio che spero possa accogliere altri momenti forti».

Ecco, appunto. Che cosa farà il Thun ora che è tornato grande?
«Saliamo in Super League con l’obiettivo di restarci. Lo spirito di gruppo ha costituito il nostro punto di forza e su quello intendiamo costruire anche la prossima stagione. Continueremo a lavorare con umiltà, senza tuttavia privarci dell’ambizione. Per quanto concerne la rosa, invece, sarà importante mantenere il giusto equilibrio tra talenti della regione, giocatori più scafati e - perché no - profili con un’esperienza internazionale. Le nostre idee rimangono coerenti pure nel massimo campionato. E con i valori del club abbiamo già dimostrato di poter fare cose importanti».

Vedere le partite del Comunale davanti a 800 persone è un po' triste. In casa Bellinzona mancano unità d'intenti e identificazione

Per caso avete un modello al quale ispirarvi? Il Winterthur, per esempio.
«Thun è Thun. Ma, per citare una società, apprezzo molto il lavoro svolto con i giovani dal Lucerna. Seguirne le orme sarebbe interessante. Tornando al Winterthur, non bisogna scordare il contesto in cui ci muoviamo: non siamo parte di una metropoli come Zurigo, la nostra è una società di periferia. E però una periferia che negli ultimi 20 anni ha scritto tante pagine prestigiose del calcio svizzero. Anche grazie a uno stadio all’altezza. Vogliamo dunque riportare il Thun laddove è già stato. Rivivere quei momenti».

Una promozione può favorire il mercato, ma può anche complicarlo, considerata la visibilità conquistata da diversi tuoi giocatori. A fine luglio vedremo un Thun diverso?
«Cruciale, a mio avviso, è e sarà la continuità. Quella che abbiamo conosciuto in questi anni, lungo i quali vi sono stati accorgimenti mirati ma non stravolgimenti da una stagione all’altra».

«Lustrigol» è stato anche un simbolo del Bellinzona. Di Bellinzona. Quanto fa male osservare i tormenti del club granata?
«È un po’ triste. E penso alle partite al Comunale davanti a 800 persone. L’esperienza del Thun mi fa dire che la pianificazione è fondamentale, tanto quanto la condivisione dei valori della società. E mi riferisco a un’unità d’intenti che è interna e al contempo esterna. Ottenere il successo in condizioni simili è più facile, così come avvicinare un numero maggiore di tifosi. Per dire: rispetto al mio arrivo, abbiamo più che raddoppiato la media spettatori. È una questione di identificazione e di emozioni. Ecco, mi sembra che in casa Bellinzona oggi manchino questi elementi».

Eterno «spareggista», l’Aarau ci è ricascato, va da sé anche per merito vostro. Dopo averlo assaporato ed esserti pure bruciato, come valuti la sfida che attende nuovamente gli argoviesi?
«Sono due partite particolari. Difficile fare pronostici, anche se il club di Super League affronta lo spareggio con mezzi e risorse più importanti. Con giocatori più pronti, anche, a un evento del genere. Salire attraverso questa via, detto altrimenti, è molto tosta».

Imbattuto da quattro gare, il Bellinzona vuole ottenere anche il primo successo esterno del 2025. Questa sera gli uomini di Sannino sono di scena alla Pontaise, contro lo Stade Lausanne. Sul campo i granata sono praticamente salvi. Anche se i 3 punti che lo Sciaffusa potrebbe riottenere dal TAS, rendono i ticinesi potenzialmente ancora raggiungibili. Anche di qui l’importanza della sfida con i vodesi. Prima del verdetto in seconda istanza sulla licenza.
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