Amarcord

Quando i belgi trovavano rifugio a Cornaredo

Tra il 1996 e il 1998 a Lugano arrivarono Demol, Emmers e Versavel – Maina, all'epoca ds bianconero: «Furono tre scommesse e solo una si rivelò felice»
Marc Emmers e il connazionale Bruno Versavel contro il Baden. © Keystone/Karl Mathis
Massimo Solari
24.08.2023 06:00

C’è stato un tempo in cui Cornaredo era la casa dei belgi. Di alcuni di loro, d’accordo. Comunque non signori nessuno, anzi. Stéphane Demol, Marc Emmers e Bruno Versavel disputarono complessivamente cinque Mondiali con i Diavoli rossi. Chi giocando la Coppa dei Campioni, chi la Champions; Emmers facendo sua una Coppa delle Coppe col Malines, poi vincitore della Supercoppa con in campo pure Versavel. Tutti festeggiarono più di un titolo nazionale con l’Anderlecht. Insomma, calciatori veri. «Che a Lugano, però, sbarcarono nella fase calante delle rispettive carriere» precisa Angelo Maina, all’epoca direttore sportivo del club bianconero. A lui abbiamo chiesto se fra l’agosto del 1996 - data della firma di Demol - e il girone di ritorno della stagione 1997-98 - quando furono presentati Emmers e Versavel - si consumò un’infatuazione per i prodotti della scuola belga. «No, le ragioni che spinsero i tre giocatori in Ticino sono altre» precisa oggi l’ex dirigente. Per poi riavvolgere il nastro dei ricordi: «Di soldi per concretizzare veri trasferimenti, allora, non ne avevamo. Seguire e convincere lo straniero dei desideri, detto altrimenti, non era possibile. Piuttosto si scorreva la lista degli elementi sul mercato o in esubero e si scommetteva su di loro. Nel caso di Demol, Emmers e Versavel andò così». A favorire l’ingaggio degli ultimi due, puntualizza Maina, furono le vicissitudini personali nel club di provenienza: il Perugia. «Ai tempi seguivamo già Massimo Lombardo e, negoziando con l’entourage di Luciano Gaucci, emersero le situazioni di Emmers prima e Versavel poi».

L’erede di Galvao? Non proprio

La prima intervista di Emmers da bianconero, al proposito, fu emblematica: «Sono contento di essere a Lugano, ancor più contento di aver lasciato l’inferno di Perugia». La rosa della prima squadra umbra, rammenta d’altronde Maina, «contava 50-60 elementi. Il che ci permise di portare il giocatore a Cornaredo senza accollarci particolari spese. Solo una minima parte dello stipendio. In quel periodo accadeva sovente; penso ad esempio a Luca Fusi giratoci dalla Juventus». Versavel giunse qualche mese dopo, sfruttando i buoni uffici del connazionale e amico e - sul piano economico - seguendo lo stesso schema. Tanto che il CdT del 21 aprile 1998 parlò di «Supermarket Perugia». In assenza di mezzi, suggerisce Maina, ci si affidava un po’ all’intuito, un po’ al curriculum, un po’ alla fortuna. Altre volte una trattativa ne plasmava un’altra. «L’arrivo di Julio Hernan Rossi, per esempio, s’intrecciò a quello di Nelson Vivas. A quest’ultimo, a inizio 1998, serviva una squadra per preparare i Mondiali e staccare la convocazione con l’Argentina. Con il suo agente trovammo dunque un accordo: i sei mesi di Vivas al Lugano avrebbero garantito un altro argentino in prova a Cornaredo. Era Rossi». Una scommessa decisamente vinta.

Bene. L’«operazione belga», al contrario, sortì gli effetti sperati solo in parte. «Solo Emmers si rivelò una scelta felice» ammette Maina: «Con lui il Lugano guadagnò un centrocampista di spessore, fisicamente performante. Non a caso rimase più di una stagione». Sì, Emmers disputò una sessantina di partite, facendo su e giù tra LNA e torneo per la salvezza. «Demol e Versavel, per contro, erano oramai ex giocatori» indica Maina. E dire che il difensore, nell’estate del 1996, venne annunciato come un colpo. «Idealmente avrebbe dovuto sostituire Mauro Galvao, tornato in Brasile» evidenzia Maina. Reduce da uno stop di 6 mesi dopo un’avventura in Grecia, il belga racimolò invece la miseria di 8 presenze, pagando per l’appunto la scarsa forma. Lo scorso 22 giugno, lo ricordiamo, Demol è deceduto a 57 anni a seguito di un infarto.

Più malumori che presenze

Dei tre belgi del Lugano, comunque, la meteora fu Versavel. In poco più di due mesi, l’ala mancina venne impiegata appena cinque volte in campionato. Zero le reti e, al contrario, parecchi i malumori. Sulla panchina bianconera sedeva Karl Engel e il suo calcio - banalmente - non venne apprezzato dal giocatore. La goccia che fece traboccare il vaso fu la semifinale di Coppa Svizzera persa contro il San Gallo, il 13 maggio del 1998. «Stasera non si è giocato a calcio; davanti abbiamo visto pochi palloni e quando arrivavano avevamo già 3 o 4 uomini addosso» dichiarò Versavel nel post partita. Engel, ovviamente, non la prese bene: «Non capisco come ci si possa lamentare del gioco atletico come ha fatto lui già alla pausa. L’atteggiamento di Versavel non mi è piaciuto, anche quando è uscito dal campo. Credo che quando giocava nell’Anderlecht doveva darci dentro...». Proprio a margine di quel match, il belga anticipò che il giorno dopo avrebbe discusso con il presidente Helios Jermini: «Non mi dispiacerebbe firmare per 2 anni, purché nella prossima stagione si prendano 2 o 3 giocatori tecnici, di qualità». Un j’accuse nemmeno tanto velato. Emmers cercò di prenderne le difese, ma a Cornaredo rimase solo.

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