Scommettitori e gioco sporco: «Se mi fai perdere, ti ditruggo»

Che il calcio sia solo un gioco è espressione che può essere fatta risalire alla preistoria di questo «desport», etimologicamente «divertimento, svago». Oggi, infatti, sembra che per molti non sia più il rituale di un combattimento, ma battaglia vera, una questione di vita e di morte che trova terreno fertile nei social media.
Lo hanno sperimentato in questi giorni anche due figure di spicco dell’FC Lugano, dapprima Renato Steffen con sua moglie Qendresa - «Tutta la tua famiglia sparirà da Lugano», la minaccia ricevuta, che ha spinto la coppia a decidere di far sospendere momentaneamente il figlio di sette anni dagli allenamenti nel vivaio bianconero -, quindi Mattia Croci-Torti, che a seguito di post ingiuriosi e minacciosi si è defilato da Instagram.
Due episodi che sono solo la punta di un iceberg che si estende fino a coinvolgere la rete social a livello planetario e che vede «protagonisti» non solo tifosi arrabbiati ma sempre più scommettitori e giocatori d’azzardo per i quali squadre e giocatori sono solo una fonte di guadagno (e di perdita).
Come ti azzardi?
Una settimana fa, passata sotto relativo silenzio, era giunta dagli Stati Uniti la notizia delle minacce di morte e commenti violenti online, inclusi insulti razzisti rivolti al marito Gaël Monfils e messaggi che inneggiavano alla guerra in Ucraina, di cui era rimasta vittima la tennista ucraina Elina Svitolina (WTA 13) rea di aver perso ai quarti di finale dalla giapponese Naomi Osaka (WTA 25) nei quarti di finale del Canadian Open WTA 1000 di Montréal. Nella conferenza stampa post partita e sui social, la tennista ucraina si era sfogata puntando il dito proprio contro chi vede lo sport come un azzardo: «A tutti i giocatori d’azzardo, prima di essere un’atleta, sono una madre - ha scritto su Instagram -. È una vergogna. Se le vostre madri vedessero i vostri messaggi, rimarrebbero disgustate». Con il suo sfogo, Elina Svitolina ha evidenziato che a trasformarsi in «leoni da tastiera» vi è una miriade di giocatori d’azzardo e scommettitori, che pullulano non solo nel mondo del tennis, ma anche nel calcio e in molti altri sport.
«Persone, non avatar»
Da qui, per ragionare di violenza in rete, abbiamo raggiunto Giovanni Ziccardi, professore all’Università degli Studi di Milano e docenza in quella di Bologna, saggista (tra i vari libri segnaliamo: L’odio online. Violenza verbale e ossessioni in rete. Raffaello Cortina, 2016), scrittore di thriller, esperto di sicurezza digitale, diritti online e criminalità informatica.
Iniziamo proprio dal «caso Svitolina» e dal tennis, confrontato con scommettitori e giocatori d’azzardo violenti. Per Giovanni Ziccardi «quello che stiamo osservando nel tennis - ma il discorso vale per molti altri sport - è l’incontro esplosivo di due fattori: la diffusione planetaria delle scommesse in tempo reale e la disponibilità immediata di canali diretti verso gli atleti, soprattutto attraverso i social network. Nel tennis, dove i match possono cambiare volto in pochi minuti e le quote oscillano rapidamente, la frustrazione dello scommettitore “deluso” trova spesso una valvola di sfogo nell’aggressione verbale verso chi percepisce come “responsabile” della sua perdita economica. In realtà, non siamo di fronte a una dinamica legata solo al denaro: si tratta di una forma di “appropriazione simbolica” dell’atleta, come se il tifoso-scommettitore ne diventasse “proprietario” e, sentendosi tradito, reagisse con rabbia».


Nel caso inerente all’FC Lugano, non è forse un… caso che ad essere bersagliate - si presume da scommettitori - siano state proprio due figure come quella dell’allenatore e del giocatore faro della squadra, bersagli facili a cui attribuire la responsabilità di una sconfitta... monetaria. Violenza online, verso dove si sta andando? «Se non interveniamo, la direzione è quella di una normalizzazione dell’abuso: un contesto in cui insultare, minacciare o invadere la sfera privata di una persona diventa non solo accettato, ma persino previsto come “parte del gioco”. È una deriva culturale che non colpisce solo lo sport, ma la convivenza civile nel suo complesso».
Quali le possibili soluzioni al problema? Per Giovanni Ziccardi occorre una strategia a più livelli. «Primo: educazione digitale capillare, che non si limiti a nozioni tecniche ma lavori sulle competenze emotive e sulla responsabilità personale in rete». Secondo: «Un rafforzamento delle norme e della loro applicazione, affinché le minacce online non restino impunite - oggi la percezione di impunità è uno dei motori principali dell’aggressività». Terzo punto: «Un coinvolgimento diretto delle piattaforme tecnologiche, che dovrebbero implementare sistemi predittivi di rilevamento e prevenzione, non solo moderazione a posteriori. Servono poi narrazioni alternative che mostrino l’atleta come persona, non come avatar su cui proiettare frustrazioni o pretese. In altre parole, il problema non si risolve solo con filtri e algoritmi, ma con un cambiamento di mentalità collettivo».