Cara Svizzera, questa volta nessun ballo in maschera

Gennaio 1994. In Italia sono giorni frenetici. Sino all’annuncio, attesissimo e consegnato a tutte le reti televisive il 26 del mese: «Ho scelto di scendere in campo». Inizia così l’avventura politica di Silvio Berlusconi. La notizia, va da sé, conquista ovunque le prime pagine. Corriere del Ticino compreso, che in quei giorni segue da vicino pure quanto accade in California. Da un lato un altro terremoto, uno vero, con epicentro a Northridge e - a consuntivo - più di 50 morti e 10.000 feriti. Dall’altro la tournée della Nazionale, lambita ma non compromessa dal sisma del 17 gennaio. Prima tappa a Fullerton, sobborgo di Los Angeles, poi spostamento a San Francisco, dove i rossocrociati disputano il secondo test proprio in concomitanza con i titoloni di giornale dedicati all’offensiva del Cavaliere. Gli avversari? USA e Messico. Già, esattamente chi si ritroverà di fronte la selezione di Murat Yakin. Solo in ordine invertito.
La consapevolezza perduta
Questa sera, a Salt Lake City e con fischio d’inizio alle 22, Xhaka e compagni sfidano la Tricolor. Nella notte elvetica tra martedì e mercoledì, spazio invece alla partita con gli Stati Uniti, in programma a Nashville. All’orizzonte, ieri come oggi, vi sono i Mondiali americani. Un appuntamento carico di entusiasmo e aspettative. Bene. Il parallelismo tra passato e presente, tuttavia, si esaurisce qui.
Sì, perché la Svizzera che si presenta a questa doppia amichevole è attesa al varco, mentre gli uomini di Roy Hodgson - 31 anni fa - potevano permettersi di affrontare gli impegni con una consapevolezza e una leggerezza al momento sconosciute. Agli albori del 1994, d’altronde, la qualificazione per la Coppa del Mondo era già stata sudata, guadagnata e osannata a livello trasversale, complice il digiuno da grandi tornei iniziato nel 1966 e infine spezzato. L’edizione del 2026, spalmata su tre Paesi, bisognerà al contrario meritarsela lungo la campagna-lampo del prossimo autunno.
Buona musica
A divergere, va da sé, sono altresì le scelte dei commissari tecnici interessati. «USA-Svizzera, ballo in maschera» l’etichetta appiccicata dal CdT al primo match affrontato dalla squadra di Hodgson, antipasto del match d'esordio al Mondiale. E poi, alla luce dell’1-1 maturato sul rettangolo verde, il commento «partita falsa, risultato bugiardo», accompagnato dalla constatazione che il tecnico inglese dei rossocrociati e il suo omologo avevano «bluffato» schierando molte riserve. Oltre a dover rinunciare ai giocatori attivi all’estero - Sforza, Sutter, Chapuisat e Knup -, il ct si permette diversi esperimenti. Su tutti, gli esordi in Nazionale di Sébastien Fournier e del bianconero Nestor Subiat. «È un’orchestra composta da musicanti che non hanno mai suonato assieme in precedenza e per giunta priva dei primi violini, quella che Roy Hodgson dirige nel primo appuntamento dello stage californiano» scrive l’inviato Tarcisio Bullo, ravvisando l’esecuzione di una «buona musica», ma non la «solita sinfonia».
E copioni recitati a memoria
Va meglio, molto meglio, in occasione del successivo incontro contro il Messico, ultimo precedente fra le due selezioni. Innanzitutto finisce 5-1, con doppiette di Subiat e Marco Grassi. Chi copre la partita, ad ogni modo, va oltre al prestigioso risultato, evidenziando solidità e coerenza del gioco elvetico. Un felice presagio della degnissima partecipazione a USA ‘94. Citiamo dal CdT dell’epoca. «No, questa vittoria non è figlia del caso e può essere interpretata come un ulteriore segnale della maturità raggiunta dalla nostra squadra, che in determinate condizioni è in grado di prevalere contro qualsiasi avversario. I rossocrociati ormai recitano a memoria un copione che per quanto li riguarda non cambia mai. Perfetta organizzazione difensiva, squadra raccolta, pressing, verticalizzazioni rapide e precise. Avendo in abbondanza attaccanti di classe, il gioco è fatto e se per giunta si segna prima dell’avversario, per questi allora sono guai seri».
Un presente delicato
Azzardiamo: per quanto votato all’ottimismo e al dribbling della critica, difficilmente il bilancio di Murat Yakin dopo le sfide toste contro Messico e Stati Uniti potrà essere altrettanto positivo. Glielo auguriamo, naturalmente. Ma a fronte delle prestazioni offerte dallo scorso autunno in poi, beh, è preferibile la prudenza. Di sicuro non è più tempo di esperimenti. E a confermarlo, nelle scorse ore, è stato lo stesso allenatore. Di più: tolti gli infortunati Vargas e Zakaria, il selezionatore ha a disposizione i migliori interpreti possibili per ritrovare punti fermi e un DNA - per spessore e idee - accostabile a quello che ci aveva esaltati a Euro 2024. È trascorso un anno, oramai, e sia la retrocessione vissuta in Nations League, sia il «casting» primaverile per i vacui test con Irlanda del Nord e Lussemburgo hanno fatto emergere la delicatezza del momento. Se non vuole mettere a repentaglio l’accesso ai Mondiali del prossimo anno, la Svizzera farà bene a lanciare segnali di credibilità - e perché no di euforia - a partire da domani sera. E ciò al fine di gettare delle basi meno fragili per i primi due incontri casalinghi delle qualificazioni, agendati in settembre e subito cruciali. Nessun ballo, insomma, e giù la maschera cari rossocrociati.