L’intervista

Collaborazione tra ETHZ e Ferrari: «Studiamo come gestire l’energia»

Chiacchierata a tutto campo sui motori più veloci al mondo con il ticinese Giona Fieni
Maddalena Buila
04.05.2022 06:00

La Formula Uno è tornata a far parlare di sé. Archiviati i primi quattro Gran Premi di stagione, abbiamo fatto una chiacchierata a tutto campo sui motori più veloci al mondo con il ticinese Giona Fieni, che, con un gruppo di ricerca del Politecnico di Zurigo, lavora a stretto contatto con la Scuderia Ferrari.

Partiamo dalle basi. Di cosa si compone il cuore pulsante di una moderna automobile di Formula Uno?
«Dal 2014, la F1 è migrata alla propulsione ibrida: un motore V6 viene accoppiato a un motore elettrico. Inoltre, il motore a combustione è sovralimentato da un turbocompressore elettrificato: un ulteriore motore elettrico è montato su quest’ultimo. Infatti, non si parla più di motore, ma di Power Unit, la cui potenza complessiva sfiora i 1000 cavalli. Rispetto al passato, le differenze sono molte: ora c’è una batteria e durante i pit stop non è più permesso fare il pieno di carburante. I due motori elettrici fungono anche da generatori, permettendo di recuperare parte dell’energia, ad esempio durante la frenata o dai gas di scarico tramite la turbina. Per questi motivi, durante tutta la gara, l’energia va gestita in modo diverso che semplicemente “andare a tutto gas”. Le connessioni tra le parti rendono il sistema molto flessibile e interessante da studiare».

Si può dunque dire che ci sono sempre più aspetti in ballo rispetto al passato?
«Una volta il pilota poteva controllare quasi tutto della macchina, oggi sarebbe impossibile. Ecco che entrano in gioco i software. Il pilota pensa a guidare e il resto è gestito dalla centralina. Non è lui che decide come suddividere la potenza tra motore a combustione e motore elettrico: in base alla sua richiesta, alla disponibilità di energia e alla sua strategia di utilizzo, viene automaticamente scelta una suddivisione della potenza tra i vari componenti. Questo senza che il pilota abbia un influsso diretto. Ciò anche perché è impossibile pensare che il pilota possa gestire tutte le variabili in tempi nemmeno lontanamente paragonabili a quelle di un computer».

Il vostro gruppo di ricerca lavora a stretto contatto con la scuderia del Cavallino. Da che cosa può dipendere un inizio di stagione così clamoroso?
«Si gioca tutto sui centesimi di secondo, e ogni piccola modifica influenza la prestazione. Anche se non sembra, tra un anno e l’altro le modifiche sono innumerevoli: l’aerodinamica, la Power Unit stessa, i software, le innovazioni... Per non dimenticare la componente umana: come si sente il pilota, che feeling ha con la vettura, se riesce a “tenerla” bene...».

Di che cosa si occupa esattamente la sezione del Politecnico di Zurigo per cui lei lavora?
«Il nostro istituto (IDSC, Institute for Dynamic Systems and Control) all’ETHZ ha un contratto di collaborazione con la Scuderia Ferrari. Nel nostro laboratorio siamo un gruppo di ricerca di quattro persone che svolgono il ruolo di consulenti tecnici. Ci occupiamo di ottimizzare la gestione dell’energia a disposizione. Visto che la quantità di carburante è limitata e la batteria ha una capacità finita, sfruttare queste risorse al meglio è fondamentale. Creiamo dei modelli matematici della Power Unit ai quali possiamo applicare metodi innovativi per gestirla in modo ottimale, che tradotto vorrebbe dire “meglio di così non si può”. Vista la complessità, le molteplici interconnessioni tra motore a combustione e motori elettrici, e le regole imposte dalla Federazione internazionale dell’automobile (FIA), ciò rappresenta un’interessante e continua sfida per noi».

Qual è l’aspetto su cui concretamente lavorate nel vostro laboratorio di Zurigo per rendere le automobili più veloci in pista?
«Si lavora sull’affinare le prestazioni (piuttosto che la velocità), nei minimi dettagli. Faccio un esempio. Una volta, quando si aveva a disposizione una quantità illimitata di carburante, per far segnare il minor tempo sul giro bisognava essere i più veloci in ogni punto della pista. Oggigiorno, siccome l’energia è limitata, bisogna pensare bene a dove spenderla. Se io investissi una certa quantità di energia a 40 km/h, mi porterebbe a viaggiare a 80 km/h. Abbiamo quindi raddoppiato la velocità e dimezzato il tempo che si impiega a percorrere una data distanza. Se io investissi la stessa quantità di energia a 300 km/h, porterebbe l’auto a 305 km/h. La velocità non aumenta molto, complice la resistenza aerodinamica che dissipa gran parte dell’energia, e il tempo sul giro (per quel tratto) non si dimezza. L’energia investita è la stessa, ma in un punto della pista è molto più conveniente utilizzarla che in un altro. Minimizzare il tempo sul giro non vuol più dire essere più veloci in ogni punto della pista, bensì investire l’energia in modo intelligente. Questo ci fa concludere che è meglio sfruttare la Power Unit alla sua massima potenza in uscita dalla curva. Al contrario, la fine di un rettilineo è una situazione favorevole per recuperare energia immagazzinandola nella batteria».

Tutti questi aspetti tecnici fanno sorgere una domanda spontanea. Quanto realmente sanno i piloti di quello che studiate e programmate sulle «loro» automobili?
«I piloti conoscono all’incirca tutti questi aspetti, altrimenti non capirebbero certe strategie o decisioni prese dalla pit lane. Inoltre, osservando un volante delle moderne vetture di F1, si può notare come sia pieno di manopole. Il pilota riceve istruzioni su come posizionarle in base alle informazioni ricevute alla radio. Le stesse andranno poi a cambiare le impostazioni della Power Unit e la sua attuazione. Da un lato quindi i piloti sono coscienti che ci sono dei vincoli da rispettare, dall’altro devono pensare a guidare e lasciar fare il resto al software».

Se si perdono dunque secondi in pista, di chi è la colpa? O meglio, dove si deve lavorare e che cosa non ha funzionato? O ci sono in ballo talmente tanti aspetti che è quasi impossibile determinare il «colpevole» con assoluta certezza?
«Le scuderie effettuano costantemente un’analisi dei dati. Da ciò si può capire se il pilota, per esempio, ha frenato sempre troppo presto o se invece il momento del recupero dell’energia era quello sbagliato oppure ancora se c’è stato un problema meccanico. Ma si tratta di difficili considerazioni. Ogni team ha strategie diverse e automobili diverse».

Si potrebbe affermare che la Formula Uno odierna abbia ancora davvero poco da spartire con quella del passato? Sto pensando a quella di Niki Lauda o di Michael Schumacher.
«I valori sono rimasti invariati durante gli anni. La competitività, la fame di vittorie, il talento e il lavoro di squadra sono le costanti che rendono la Formula Uno uno sport. Ovviamente c’è stata un’evoluzione tecnica e la parte di scuderia che si occupa dello sviluppo è cresciuta esponenzialmente. Dove una volta c’era un solo specialista, oggi c’è un’intera sezione di professionisti. Ma questo non riguarda solo la Formula Uno, bensì tutti i campi dell’innovazione. Al contrario, come in passato, conta molto avere sia un ottimo pilota sia un’automobile competitiva: se venisse a mancare uno dei due elementi, ecco che le chance di vittoria diminuirebbero drasticamente».