Basket

«Così ho trovato la mia strada per raggiungere la mitica NBA»

L'ex giocatore ticinese Ludovico Basso è stato assunto dai Philadelphia 76ers come scout internazionale: «Ho investito su me stesso, realizzando il mio sogno»
Fernando Lavezzo
21.09.2022 21:23

Questa è la storia di un ex giocatore di basket assunto come scout – osservatore, se preferite – dai Philadelphia 76ers in NBA. No, non è la trama di «Hustle», il film di Netflix con Adam Sandler. Il nostro protagonista è un 29.enne ticinese in carne e ossa, Ludovico Basso, ex playmaker dei Lugano Tigers e SAM Massagno. Ritiratosi a 23 anni, ha comunque trovato il modo di realizzare il suo sogno di ragazzino: approdare nella lega più famosa del mondo.

In «Hustle», Adam Sandler scopre un giovane talento in un campetto della periferia spagnola. È Bo Cruz, interpretato da Juancho Hernangomez, fresco campione d’Europa con la nazionale iberica. «Dopo aver firmato con i Sixers, ho ricevuto 50 messaggi di amici che mi chiedono di scovare il nuovo Bo Cruz», racconta ridendo Ludovico Basso. «Sto cercando di spiegare a tutti che quello è un bellissimo film – io l’ho visto due volte –, ma è molto lontano dalla realtà. È quasi fantascientifico. C omplice Netflix, resiste il mito dello scout che gira per i campetti a cercare talenti sconosciuti. Oggi, in verità, tutte le squadre NBA sanno perfettamente quali sono i giocatori interessanti da osservare. Se vuoi lavorare per loro, devi avere un’ottima conoscenza di questi talenti. Non devi solo sapere come giocano, ma anche, o soprattutto, che tipo di persone sono, da che realtà vengono, in che ambiente sono cresciuti. Questa è stata la prima cosa che ho dovuto imparare lungo il mio percorso».

Addio al parquet

Andiamo con ordine. Da ragazzo Ludovico si mette in luce in Ticino e in Svizzera, giocando pure nelle Nazionali U16 e U19. È inserito nella rosa di quei Tigers che dominarono la scena tra il 2010 e il 2014, pur trovando poco spazio in una squadra zeppa di professionisti. Nel 2016, a soli 23 anni, ecco la decisione di smettere: «Per due motivi», racconta. «Innanzitutto, avevo un problema abbastanza limitante alla schiena. Un’ernia che ho tutt’oggi. Stando ai consulti medici, continuando a giocare avrei potuto peggiorare la situazione in modo serio. Una diagnosi demoralizzante. Il secondo fattore è che ho iniziato ad avvertire il bisogno di provare qualcosa al di fuori della pallacanestro. Dopo aver fatto altro, però, ho capito che il mio ambiente, il mio mondo, era proprio quello del basket. È stata una presa di coscienza fondamentale per intraprendere un nuovo percorso e diventare scout».

In quella parentesi lontana dal basket, Ludovico Basso ha lavorato nel settore immobiliare: «Mi piaceva moltissimo, ma non era la mia vera passione. Non era il mestiere dei miei sogni. Io da ragazzino sognavo di giocare in NBA. Poi, chiaramente, arriva un’età in cui cominci a capire che non ce la farai e ti devi riorientare. Io ho capito che in NBA volevo arrivarci lo stesso, anche se in un altro ruolo. Oggi posso dire di avercela fatta, pur avendo seguito un percorso non convenzionale. Prima della chiamata dei Sixers, non avevo mai lavorato come scout per una squadra. Ho adottato un’altra strategia, diciamo così».

Ho investito tanti soldi senza garanzie. Sapevo che sarei potuto andare avanti per anni senza farcela, ma non avevo un piano B. Mi è andata bene, sono stato fortunato

Un po’ di incoscienza

Ludovico abbandona l’immobiliare nel 2018. «Per mantenermi, ho lavorato per una società di ricerca. Poi, a metà del 2019, ho deciso che era il momento di dedicarmi totalmente allo scouting. Ho iniziato a viaggiare, ho chiesto consigli a persone che già facevano questo mestiere, sono andato a vedere tutti i tornei europei più importanti a livello giovanile. Ho conosciuto giocatori, allenatori, dirigenti, agenti. Per un anno e mezzo ho lavorato per conto mio. Mi finanziavo i viaggi da solo, sceglievo quali eventi seguire. È stata una fase formativa, forse un po’ incosciente. Ho investito tanti soldi senza garanzie di un ritorno economico. Sapevo che sarei potuto andare avanti per anni senza farcela, ma non ci pensavo. Non avevo un piano B. Mi è andata bene, sono stato fortunato».

© CdT/Chiara Zocchetti
© CdT/Chiara Zocchetti

La svolta

Dopo un anno e mezzo in questo ambiente, Ludovico Basso entra in contatto con l’agenzia Euro Hoops, media partner ufficiale dell’Eurolega. «Mi hanno dato l’opportunità di diventare capo del servizio di scouting che avevano appena lanciato. Grazie a loro ho avuto le credenziali per entrare nelle palestre molto prima che iniziassero le partite, di parlare con gli allenatori, di conoscere i giocatori. È stata una fase fondamentale per rafforzare la mia rete professionale. Sono rimasto con loro per un anno, poi è arrivata la chiamata dei Philadelphia 76ers. Una chiamata abbastanza inaspettata, visto che mi stavo preparando per una nuova stagione con Euro Hoops».

Un giorno a Las Vegas

La telefonata che ha cambiato la vita di Ludovico è arrivata a metà agosto. «È andato tutto velocemente. Mi hanno convocato per un colloquio, insieme a una decina di altri candidati, e dopo una settimana mi hanno offerto un contratto per diventare il loro scout in Europa. Decisiva è stata la mia presenza in luglio alla Summer League di Las Vegas, un evento importantissimo dove trovi tutti, dall’agente asiatico a quello di superstar come Giannis Antetokounmpo. Durante una partita ho conosciuto uno dei capi dei Sixers. Abbiamo parlato per un’oretta. Io sapevo che a Philadelphia cercavano uno scout per l’Europa, ma durante la chiacchierata non si è mai accennato a opportunità lavorative. Abbiamo discusso di basket, delle nostre attività, delle nostre famiglie. Ci siamo piaciuti a livello personale ed è così che è nato il tutto. Quell’incontro mi ha certamente avvantaggiato».

Dovrò viaggiare per il mondo e raccogliere dati sui giocatori che ci interessano. Principalmente in Europa, ma anche in Australia e Nuova Zelanda. Stiamo anche pianificando di rinforzare il nostro scouting in Africa

Valigia in mano

Ora, per Basso, inizia una nuova avventura: «Sono l’unico scout internazionale dei Philadelphia 76ers. Ancora faccio fatica a crederci. Dovrò viaggiare per il mondo e raccogliere dati sui giocatori che ci interessano. Principalmente in Europa, ma anche in Australia e Nuova Zelanda. Stiamo anche pianificando di rinforzare il nostro scouting in Africa, un continente ancora inesplorato, ma che ha tanto talento da offrire. Mi aspetta parecchio lavoro, mi hanno subito avvertito che sarei stato da solo e che avrei avuto un’agenda decisamente fitta. Però avrò risorse quasi illimitate. Questo è il vantaggio di lavorare per una squadra NBA. Lo ripeto, sono molto fortunato».

Pur mantenendo la sua base operativa a Lugano, dove resterà consulente del movimento giovanile bianconero (prima era pure vice della U18), Ludovico andrà anche a Philadelphia: «Almeno tre volte all’anno, forse quattro. Sicuramente sarò negli USA per il draft, per il training camp e per i meeting di gennaio, in cui decideremo su quali giocatori investire più tempo da lì al draft successivo».

© CdT/Chiara Zocchetti
© CdT/Chiara Zocchetti

Investigatori privati

Uno scout NBA non deve scoprire talenti, ma monitorarli. Come si fa? «Aver giocato a basket aiuta, indipendentemente dal livello», spiega Ludovico. «In campo ho sviluppato degli istinti e una comprensione del gioco che mi tornano molto utili nello scouting. So interpretare il linguaggio del corpo, le interazioni tra compagni. All’inizio, quando andavo a vedere i tornei per conto mio, scrivevo dei rapporti e li mandavo ad alcuni scout NBA, chiedendo consigli. È stato preziosissimo».

Capire il gioco, però, non basta: «La parte più importante è avere una rete di contatti che ti permetta di raccogliere informazioni sui giocatori. Ad esempio, bisogna capire che personalità si va a inserire in un contesto. Se ingaggiassimo quel ragazzo, come si integrerebbe nella nostra cultura di squadra? Che persona sarebbe? Porterebbe un valore aggiunto o creerebbe problemi? Questa è la parte più difficile. Le persone con cui parli tendono a nascondere i lati negativi di un giocatore. Bisogna costruire una relazione tale da ottenere anche le informazioni determinanti e non solo quelle superficiali. È la componente primaria del mio lavoro. Si è un po’ come degli investigatori privati. Tanti scout usano questa analogia».

Visto da fuori

Ci resta solo una curiosità: il Ludovico scout, cosa avrebbe scritto del Ludovico giocatore? «Facendo questo mestiere, mi sono reso conto ancora di più di quali fossero i miei limiti in campo. Nella pallacanestro moderna non potrei mai giocare ad alto livello perché ho un profilo atletico e fisico molto nella media. Nel basket NBA, poi, si cerca la versatilità, con giocatori che in difesa sappiano marcare più posizioni. Le guardie sui lunghi, per dire. Io queste componenti non le avevo. Ero anche lento, a dirla tutta. Forse si salvava solo il tiro. Sì, quello non era male». Chissà se Adam Sandler può dire altrettanto?