Calcio

Da Streller a Donnarumma: se i fischi sono in formato nazionale

Il primo tempo della Svizzera contro Andorra è stato accompagnato dal dissenso dei tifosi di Sion - Non è invece stato beccato Granit Xhaka - L’ultimo capitano contestato fu Alex Frei, mentre nel 2017 aveva fatto discutere il caso Seferovic - Luciano Spalletti controcorrente in casa azzurra
© Keystone/Schmidt
Massimo Solari
13.09.2023 22:30

Da tempo, tanto tempo, la Svizzera non veniva fischiata dal suo pubblico. È successo martedì sera, a fronte dei disarmanti, primi 45 minuti offerti contro Andorra. No, non un bel segnale per i rossocrociati. E soprattutto per il ct Murat Yakin. Il successo finale, per fortuna, ha cancellato i numerosi musi lunghi che - alla pausa - si potevano scorgere sulle tribune del Tourbillon. Non tutti. Gli screzi tra il tecnico e Granit Xhaka hanno evidentemente lasciato il segno. Così come lo stropicciato biglietto da visita - il deludente pareggio in Kosovo - con cui gli elvetici avevano fatto ritorno in Vallese dopo una settimana di allenamenti finiti sul banco degli imputati.

Per quanto inutili e incendiarie, le dichiarazioni del capitano non sembrano tuttavia aver urtato oltremodo i sostenitori della Nazionale. Il centrocampista del Bayer Leverkusen, a Sion, ha raccolto applausi sia durante il riscaldamento, sia a margine del gol e dell’esultanza polemica. L’uomo forte dello spogliatoio, insomma, continua a godere di credito e appoggio. All’interno e all’esterno. Il che, aggiungiamo, dovrebbe imporre alcune riflessioni allo stesso Yakin e ai vertici dell’ASF.

Per Hitzfeld «attacchi assurdi»

Un capitano contestato, va da sé, costituisce o dovrebbe costituire l’eccezione. Di fatto è un ossimoro. La Nazionale svizzera, il suo caso spinoso lo ha però conosciuto con Alex Frei. Già, il giocatore più prolifico della storia rossocrociata a un certo punto stufò i tifosi. Bastarono due match toppati dal bomber del Basilea, tra il settembre e l’ottobre del 2010. Oddio: in precedenza, complice un infortunio, Frei era già passato accanto ai Mondiali in Sudafrica, chiusi con l’illusoria vittoria all’esordio con la Spagna e il triste declino costatoci l’eliminazione già nella fase a gironi. Nel giro di un mese, dicevamo, la situazione prese però una brutta piega. Dapprima non aiutò un rigore sbagliato in amichevole contro l’Australia, a San Gallo. Poi, il 12 ottobre, fu addirittura il pubblico del St. Jakob Park - il «suo» pubblico - a non tollerare una serata impacciata, fatta di tanti errori con e senza il pallone. E giù fischi al momento della sostituzione con Derdiyok, mentre vane si rivelarono le richieste di clemenza rivolte alle tribune dai compagni di squadra.

Frei non la prese bene e, anzi, l’idea di dire addio alla Nazionale iniziò a germogliare. «Fischiare uno come Frei, nel suo stadio, è assurdo» dichiarò in merito Ottmar Hitzfeld, all’epoca commissario tecnico. «È il nostro capitano, e uno non può definirsi un vero tifoso di questa squadra se fischia il capitano». Eppure è successo. E di lì a un anno le strade tra il giocatore e la selezione elvetica si sarebbero separate per davvero.

Ancora il pubblico di San Gallo

Frei, comunque, non costituì l’unico bersaglio dell’epoca. Se possibile, a Marco Streller andò peggio. «Pipi» si ritirò poco prima del compagno di reparto. O meglio, si ritirò per la seconda volta, dopo aver annunciato di voler fare un passo indietro già nell’estate del 2008. Anche nel suo caso a pesare sulla scelta furono i fischi piovutigli regolarmente addosso dopo gli ottavi di finale dei Mondiali del 2006. Quelli gettati alle ortiche ai rigori contro l’Ucraina; quelli della lingua a penzoloni e del tentativo dagli undici metri fallito malamente pure dal diretto interessato. La goccia che fece traboccare il vaso, ad ogni modo, fu un test contro il Liechtenstein a ridosso degli Europei casalinghi. Di nuovo con una parte del pubblico dell’AFG Arena di San Gallo a vestire i panni del carnefice.

«Amo la maglia della nazionale, ma a questo punto non ha molto senso che io continui a indossarla. Ho sentito solo fischi nei miei confronti» si sfogò Streller qualche giorno dopo. Nel dopo partita, in anticipo su un destino analogo, a prenderne le difese fu proprio Frei: «Siamo un gruppo, siamo la Nazionale. Sono rimasto deluso dall’atteggiamento del pubblico, che ha fischiato Marco soltanto perché gioca nel Basilea».

«Ingrati e ignoranti»

Haris Seferovic, lui, non ha ancora rinunciato ufficialmente alla Svizzera. Il trasferimento negli Emirati Arabi non faciliterà future convocazioni, ma - a oggi - l’ex centravanti di Benfica e Galatasaray rimane un elemento della rosa allargata di Murat Yakin. Nel novembre del 2017, però, la rottura venne sfiorata. Ricordate? AlSt. Jakob si giocava il ritorno degli spareggi di qualificazione ai Mondiali dell’anno successivo. Pioveva, il terreno si era trasformato in fango e l’Irlanda del Nord, dopo essere stata battuta 1-0 a Belfast, ci aveva fatto penare. Oltre allo zero a zero sofferto, a fare discutere erano stati altri fischi. Altri insulti. Indirizzati, per l’appunto, a Seferovic, in grado di sprecare cinque occasioni gigantesche. Di più: al momento di essere sostituito, l’attaccante inscenò una protesta tutta sua. Zittendo il pubblico e incassando il supporto e gli applausi di ct e panchina. Fine della storia? Macché. Amina, compagna del giocatore, ritenne saggio gettare benzina sul fuoco: «Russia, arriviamo! E poi tappiamo la bocca a tutti questi ingrati e ignoranti!» il post polemico pubblicato sui social media. Una ferita, o qualcosa di simile, invero mai rimarginata del tutto. Lo confermarono - nell’estate del 2021 - le piccole tensioni emerse con i tifosi nella prima, complicata parte dell’Europeo itinerante.

San Siro non perdona

E a proposito dell’ultimo torneo continentale. A furor di popolo, Gigio Donnarumma venne ritenuto l’emblema del trionfo italiano. I suoi miracoli e soprattutto i tre rigori neutralizzati tra semifinale e finale trascinarono la selezione di Roberto Mancini a un successo per certi versi sorprendente. Tutto molto bello e romantico, già. Peccato che nemmeno tre mesi più tardi, in occasione del match di Nations League contro la Spagna, il portierone venne fischiato a lungo da una porzione di San Siro. E cioè la porzione di fede rossonera, incapace di perdonare il passaggio del vecchio beniamino al PSG, per di più a parametro zero. Martedì sera la scena, seppur in tono minore, si è ripetuta, macchiando il successo azzurro contro l’Ucraina. «I fischi a Donnarumma sono indegni» ha tuonato a fine gara Davide Frattesi, autore della doppietta decisiva. Poco dopo, però, il ct Luciano Spalletti ha deciso di andare controcorrente. «Bisogna avere rispetto per chi ha lavorato tutta la vita, soprattutto se hai delle qualità che ti vengono date. Noi dobbiamo lavorare perché siamo privilegiati e viviamo situazioni che tutti vorrebbero vivere, ma non possono». L’ex allenatore del Napoli ha dunque auspicato «la personalità di stare zitti. Abbiamo il dovere di stare attenti, di reagire come professionisti e non come bambini viziati».

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