Il commento

Ma oltre le inutili parole di Xhaka si scorgono altri scogli

Dopo l'amaro 2-2 in Kosovo il capitano rossocrociato è andato (tanto) lungo – Il ct Murat Yakin deve però porsi alcune domande
Massimo Solari
10.09.2023 21:00

Le frizioni tra Granit Xhaka e Murat Yakin non sono una novità. Preferite chiamarli punti di vista? Fate pure. Sta di fatto che siamo all’ennesimo cortocircuito fra le parti. E, soppesato il ruolo dei diretti interessati, qualche riflessione preoccupata s’impone. Le critiche esplicite del capitano a margine del deludente pareggio di Pristina non possono infatti essere liquidate per convenienza alla voce «dichiarazioni a caldo». No. A maggior ragione, suggerivamo, considerata la lunga lista di precedenti. Breve riassunto: 1) in origine fu la posizione in campo del giocatore, digerita a fatica; 2) poi la sostituzione anticipata durante l’amichevole contro il Kosovo, per altro coincisa con il 100. gettone in rossocrociato di Xhaka; 3) infine, a margine della tremenda eliminazione agli ottavi di finale dei Mondiali 2022, Granit non nascose minimante lo scetticismo a fronte delle soluzioni tattiche adottate dal tecnico in una sfida così importante. Ora ci risiamo. E, se possibile, le critiche mosse dal centrocampista del Bayer Leverkusen fanno ancora più rumore. «Ci si allena e si gioca così al parco giochi» ha ammonito Granit. Non esattamente un attestato di stima al lavoro condotto dall’allenatore della Nazionale. O, rovesciando la prospettiva, alla sua capacità di motivare e coinvolgere lo spogliatoio.

Pur tirando le orecchie al leader della squadra, Pierluigi Tami ha comprensibilmente cercato di spegnere l’incendio sul nascere. Il direttore delle squadre rossocrociate ha solo lambito il nocciolo della questione. Lo ha suggerito, certo, ma circumnavigandolo a distanza di sicurezza. Si capisce. In casa elvetica, l’analisi del 2-2 contro il Kosovo si è in questo modo trasformata in una fastidiosa antitesi. Un piccolo, grande caos. Non è infatti accettabile che Xhaka – per quanto travolto da emozioni ed eventi – non riconosca la pochezza della propria prestazione. Parlando di assenza «di ritmo, velocità e concentrazione», il 10 rossocrociato stava sostanzialmente recitando la sua pagella. A sottintenderlo, appunto, è stato Tami, che ha invitato il capitano a una sana autocritica. Peccato che Pier non abbia fatto il passo successivo, preferendo porre l’accento sulle difficoltà che la Svizzera ha incontrato sul piano tecnico.

«La verità è che abbiamo voluto morire in campo, e questo ha fatto la differenza» ha sottolineato Primozh Gliha, guida del Kosovo. Gli uomini di Yakin, tolte rare eccezioni, in campo hanno invece balbettato calcio. E questo, al netto di esternazioni improvvide o inni scanditi due volte col cuore, è il problema principale del ct. Già, perché alla Svizzera sta riuscendo l’impresa di dubitare in uno dei gironi più facili delle qualificazioni. Non esattamente un vanto. Cosa succede ad Akanji? E come è possibile, con una formazione mica tanto inesperta, perdere per due volte consecutive il controllo delle operazioni? Yakin risolva la grana Xhaka e poi torni a cambiare marcia.

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