Dieci anni fa il ritiro di Alex Frei: il calcio svizzero cerca ancora il suo erede

Dieci anni senza una semifinale europea. Dieci anni senza Alex Frei. Un filo sottilissimo unisce due vuoti del calcio svizzero. Due vuoti enormi che, al netto del romanticismo, sarebbe fuorviante spiegare con un rapporto di causa-effetto. Eppure, a poche ore dai quarti di Conference League tra Basilea e Nizza, la ricorrenza merita una sottolineatura. Un’interpretazione, anche. L’11 aprile del 2013, in effetti, i renani sconfiggevano il Tottenham ai rigori e conquistavano il penultimo atto di Europa League. Frei, per l’occasione, disputava uno scampolo di supplementari. Senza nemmeno presentarsi sul dischetto. Di nuovo, verrebbe da dire. Ai padroni di casa, d’altronde, bastarono quattro tentativi. Tre giorni dopo, il 14 aprile, spazio quindi al commiato. Un addio andato in scena sempre fra le mura amiche, in campionato contro lo Zurigo, e in questo caso accompagnato da una splendida rete. Poi la sostituzione al 64’, la standing ovation dei 32 mila presenti allo stadio e infine il commovente saluto, microfono in mano, al calcio svizzero.
Un gol ogni due partite
L’ultimo allenatore di Alex Frei fu Murat Yakin. Singolare. Sì, perché l’attuale commissario tecnico della Nazionale - come chi lo ha preceduto - deve fare i conti con una carenza tanto palese quanto problematica. L’assenza di un bomber di razza. Di un attaccante simbolo, anche. Lo si cerca da dieci anni. Ma non lo si trova. L’incredibile media di un gol ogni due partite con la maglia rossocrociata, insomma, rischia di rimanere un fenomeno raro. Mentre il titolo di miglior marcatore della storia con 42 reti (in 84 gare) non verrà ritoccato per molto tempo. Forse per sempre. Mario Gavranovic ha cercato di replicare la clamorosa cadenza: 16 gol in 41 presenze (media dello 0,39). Chi fa ancora parte del giro, invece, non ci è nemmeno andato vicino. Da Haris Seferovic (25/92/0,27) a Xherdan Shaqiri (27/112/0,24), passando per l’attuale centravanti elvetico Breel Embolo (13/63/0,21).
Frei, al contrario, aveva mostrato uno spiccato spirito d’emulazione, raccogliendo alla perfezione l’eredità di Kubilay Türkyilmaz, lui sì capace di trovare con addirittura maggiore frequenza la via della rete in Nazionale: 34 in 62 incontri, per una media di 0,55 gol a partita. «Alex, però, è stato molto più centravanti puro del sottoscritto» osserva Kubi. «Io, se vogliamo, sapevo inventarmi i gol dal nulla. Frei aveva bisogno della squadra. Nei sedici metri, tuttavia, era letale». Così uguali e così diversi, già. «Presentavamo caratteristiche differenti, il caratteraccio, quello, era invece molto simile» sottolinea sempre Türkyilmaz.



«Era scaltro e ambizioso»
Il destino volle far correre insieme le due macchine da gol. Per sei mesi, a Lucerna, nell’andata della stagione 1999-2000. Kubi ricorda quel periodo con un aneddoto: «L’allenatore dell’epoca, André Egli, non era così sicuro di puntare sul 20.enne Frei. Lo convinsi io con una sorta di ricatto. “Se non metti Alex, non gioco nemmeno io”. Non solo: a Egli dissi apertamente che aveva a che fare con il futuro bomber della Nazionale svizzera». Aveva ragione. Su entrambi gli aspetti. La coppia fece sfracelli. Sei reti il maestro, ben otto l’allievo. «Alex mi osservava, era scaltro, oltre che spinto da un’ambizione smisurata. Quando l’allenamento finiva, mi chiedeva di restare ancora un po’. Io crossavo, lui calciava. Mi bastarono due sedute per capire quanto fosse forte».
Ad accomunare Kubi e Frei, suggerivamo, era l’indole. «Avevamo una personalità forte, spigolosa; in spogliatoio, di riflesso, non eravamo fra i giocatori più amati. E, a mio avviso, è giusto che sia così se si mira a diventare centravanti di riferimento e al contempo trascinatori. Come fu possibile convivere senza implodere? Beh, la differenza d’età rese tutto più naturale. Alex mi rispettava molto e io lo presi volentieri sotto la mia ala». I due condivisero anche due incontri con la Svizzera nell'estate del 2001. E il secondo - nonché ultimo per Türkyilmaz in rossocrociato - funse da autentico passaggio di testimone: 3-0 al Lussemburgo, con gol d’apertura di Frei e successiva doppietta di Kubi. Alex, sette anni più tardi, sarebbe diventato il capitano della Nazionale. Impreziosendo ulteriormente una carriera di caratura mondiale, passata pure Rennes e Borussia Dortmund, ma raccogliendo probabilmente meno di quanto meritasse. L’inopinata sostituzione con Lustrinelli operata da Köbi Kuhn a un amen dai rigori contro l’Ucraina, negli ottavi di finale dei Mondiali del 2006, come pure l’infortunio all’alba dell’Europeo casalingo del 2008 sintetizzarono l’ingeneroso saldo tra dare e avere. Al momento dell’addio al professionismo, e nonostante qualche fischio incassato in uno o l’altro impianto, c’è comunque chi arrivò a definire Frei - leggiamo - «l’ultimo vero svizzero a vestire la maglia della Nazionale». Una considerazione che oggi, mentre tiene banco il «Granit Xhaka è molte cose, ma non è svizzero» pronunciato «fuori contesto» dal commentatore della SRF Sascha Ruefer, produrrebbe un cortocircuito.
Icona in campo, non in panchina
«A Frei importava solo giocare e fare gol: no, non rammento eccessi o comportamenti sopra le righe» si limita a osservare Kubi: «Erano comunque altri tempi» afferma a più riprese, avanzando un esempio: «Schierare due punte di ruolo, allora, era quasi la normalità. Sia nei club, sia in Nazionale. Oggi, invece, la maggior parte dei moduli prevedono un solo attaccante che, a conti fatti, finisce per trasformarsi in un nove e mezzo. Penso a Embolo o, guardando al futuro, ad Amdouni». La tendenza si riflette anche sulla classifica marcatori della Super League. «E dovrebbe interrogare chi fa formazione» rileva Kubi. Nella top 5 del massimo campionato figura un solo elvetico (Itten, con 14 sigilli), attorniato da pedine offensive straniere: Nsamé (15), Celar (13), Tosin (11) e Meyer (9). Il primo renano? Zeqiri, nono con altri quattro giocatori a quota 7 reti. Pochini. Questa sera il suo Basilea va però a caccia di un’altra semifinale europea. A dieci anni dall’ultima volta e grazie al convincente cammino nei gironi intrapreso proprio sotto la guida di Alex Frei. Icona sul campo, non ancora in panchina.