Ecco perché non esistono immagini televisive della caduta di Gino Mäder

«Ripensandoci, sono contento che la caduta di Gino Mäder non sia stata ripresa dalle telecamere. Ad alcune persone piace la morte in diretta, a me no». A parlare, sollecitato da Watson, è Massimo Lorenzi, responsabile Sport in seno alla RTS, la costola romanda di SRG SSR. Il quale, a titolo di paragone, ricorda subito la morte di Marco Simoncelli, pilota delle MotoGP, in piena corsa dodici anni fa in Malesia. «Passammo l’immagine una volta in diretta e un’altra ancora al rallentatore. In seguito, mi pentii di aver autorizzato quel replay».
Il tragico incidente costato la vita a Gino Mäder, giovedì durante la discesa dal passo dell’Albula, non è stato registrato da alcuna camera televisiva. Se, da un lato, significa che gli spettatori non hanno assistito al dramma in diretta – e questo, per dirla con Lorenzi, è un bene – dall’altro il lavoro degli inquirenti, chiamati a valutare le cause della caduta, si complica e non poco. Di qui, non a caso, l’appello della polizia cantonale grigionese affinché eventuali testimoni si facciano avanti. La domanda, di fondo, rimane aperta: com’è possibile che sia Mäder sia l’americano Magnus Sheffield siano usciti di strada nel medesimo punto?
Secondo i primi elementi dell’inchiesta, riferisce proprio Watson, l’ipotesi più accreditata è che le due cadute siano state indipendenti l’una dall’altra. Sven Montgomery, ex ciclista e ora opinionista per SRF, ha detto che quella era la curva più difficile della discesa.
Ma un’altra domanda, parallela, si impone: possibile che, fronte televisivo, non ci sia uno straccio di immagine? Sì, possibile. Ed è proprio Lorenzi, forte anche dell’esperienza a livello di produzione del Tour de Romandie, altra gara del World Tour, a spiegare il perché. Il ciclismo, dice, «è lo sport più difficile da filmare e da produrre». E il motivo è presto detto: non è possibile filmare una corsa «nella sua integralità».
Vero. Giovedì, 152 corridori si sono presentati alla partenza della quinta tappa. Le telecamere? Poche, pochissime. Al Tour de Romandie, a titolo di paragone, ne vengono impiegate fra le quattro e le sei, compresa quella aerea. La media, circa, è di una telecamera ogni venticinque ciclisti. Quando il gruppo è spaccato in più tronconi, è evidente quanto sia complicato, se non impossibile, inquadrare ogni elemento. Se Mäder, in quel momento, si fosse trovato al comando, indubbiamente avrebbe beneficiato di una copertura televisiva. Ma si trovava indietro. Detto in altri termini, come spiega Lorenzi, «non era in un punto nevralgico della narrazione». A conferma che, umanamente e tecnicamente, è impossibile seguire una corsa ciclistica nella sua totalità.
Un’unica immagine, fotografica, ha dato un’idea del dramma consumatosi nei Grigioni. È stata scattata da un fotografo di Keystone. Mostra Sheffield risalire la china con l'aiuto dei soccorritori, sulla destra della scena, mentre Mäder viene preso in cura dall'équipe medica del Tour de Suisse, sull'argine roccioso.