La storia

Un mito bianconero a Istanbul: «Adesso so di voler allenare»

Glen Metropolit, ex attaccante dell’HC Lugano, ci racconta la sua esperienza come assistente allenatore della Turchia
Fernando Lavezzo
12.04.2022 20:59

Glen Metropolit sulla panchina della Nazionale turca di hockey su ghiaccio. «Se me lo avessero detto dieci anni fa, avrei pensato a uno scherzo», racconta l’indimenticato ex attaccante del Lugano. Invece è successo davvero. Negli scorsi giorni, in occasione dei Mondiali di Division III 
in Lussemburgo, il 47.enne nativo di Toronto è stato l’assistente allenatore della Turchia.

Glen Metropolit è il protagonista di questa storia. Una storia che però non esisterebbe senza altri due personaggi. Il primo è il compianto Alex Andjelic, simbolo dell’hockey serbo e olandese. Il suo nome è noto anche in Svizzera, dove ha allenato Rapperswil e Coira tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta. «Io l’ho conosciuto in Germania, nelle mie ultime stagioni da giocatore», ci racconta «Metro». «Alex era lo ‘‘skills coach’’ del Mannheim, insieme abbiamo vinto il titolo tedesco nel 2015. Due anni fa, sapendo che ero rientrato nel mondo dell’hockey con diversi progetti legati allo sviluppo dei giovani, mi chiese di dargli una mano con la nazionale turca in vista dei Mondiali di Division III».

L’ex attaccante, campione con il Lugano nel 2006, rimase inizialmente spiazzato dalla proposta del vecchio amico. «Onestamente non sapevo come essergli utile. Alex mi disse che ero stato il miglior interprete del power-play che avesse mai visto in Europa e che avrei potuto insegnare qualcosa a quei ragazzi. Quasi lusingato, gli dissi di sì».

Purtroppo, però, non se ne fece nulla. «Il torneo era in programma nella primavera del 2020, ma a causa della pandemia venne cancellato. Stesso destino per quello del 2021. Un anno fa, per le conseguenze della COVID-19, Andjelic morì. Aveva 80 anni. Fino all’ultimo ha pensato all’hockey. A come diffonderne il verbo».

La volta buona

Qui entra in scena l’altro personaggio chiave del nostro racconto: il 47.enne Deniz Ince, head coach della Turchia. «Da giocatore è stato il capitano della sua Nazionale per una dozzina d’anni. Un uomo eccezionale, con una passione smisurata per il nostro sport e con una missione da compiere: diffondere e far crescere l’hockey nel suo Paese», spiega Metropolit. «Con i Mondiali confermati nel 2022, Deniz mi ha contattato per riprendere il discorso interrotto due anni prima. Io, nel frattempo, mi ero buttato a capofitto in una nuova carriera, in Florida, collaborando con l’organizzazione dei Tampa Bay Lightning e dirigendo un’Academy per talenti. L’invito della federazione turca si inseriva bene nel mio percorso. E ci tenevo ad onorare la memoria di Alex».

Come in un film

A fine marzo, Glen è volato a Istanbul per preparare il torneo lussemburghese. «Lo confesso, non sapevo cosa aspettarmi. Stiamo parlando di una cultura diversa e di un hockey lontano anni luce da quello a cui ero abituato. A volte mi sembrava di essere dentro un film. Ho passato quattro giorni con la squadra, tra allenamenti e visite alla città. Poi siamo partiti per il Mondiale. Potrei paragonare il livello del torneo a un campionato juniores di seconda fascia. Tecnicamente i nostri giocatori erano bravi, ma non è stato evidente metterli insieme sul ghiaccio. Diciamo che il loro senso del gioco era un po’ sfuggente. A colpirmi sono stati il grande rispetto e la grande voglia di imparare, di conoscere, di migliorare. Si sono comportati da veri professionisti».

Questione di passaporto

La Turchia di Ince e Metropolit ha chiuso il torneo al secondo posto, con tre vittorie (7-2 al Lussemburgo, 6-2 a Taipei, 6-5 al Turkmenistan) e una sconfitta fatale contro gli Emirati Arabi Uniti. Un pesantissimo 13-4 che Glen non ha digerito: «Loro hanno schierato alcuni giocatori russi naturalizzati. Le squadre si equivalevano, ma quei rinforzi hanno fatto la differenza. Sinceramente non l’ho trovato molto corretto. Chissà, forse avrei dovuto chiedere il passaporto turco e giocare anch’io (ride, ndr.). Mi tengo regolarmente in forma, sono spesso sui pattini e almeno in power-play avrei potuto rendermi utile».

Ci sono stati molti episodi divertenti, legati a qualche incomprensione. Tante risate per questioni tecnico-tattiche che io davo per scontate, ma che per loro erano complicatissime

Esperienza illuminante

L’esperienza si è conclusa con l’argento al collo e tanti momenti da ricordare: «Ci sono stati molti episodi divertenti, legati a qualche incomprensione. Tante risate per questioni tecnico-tattiche che io davo per scontate, ma che per loro erano complicatissime. La cosa più bella è stata osservare l’orgoglio di quei giocatori, il loro attaccamento alla maglia, alla nazione. Da tempo non vedevo una passione così genuina. Guardarli battagliare, migliorare e vincere alcune partite è stato molto appagante. Mi ha fatto stare bene. Dirò di più: è stata un’esperienza illuminante. Mi ha fatto capire cosa voglio davvero fare in futuro: allenare».

Il ghiaccio nelle vene

Glen Metropolit chiuse la sua carriera da giocatore nel febbraio del 2017 a Bolzano, lasciando a stagione in corso: «Negli anni seguenti ho provato a cambiare completamente vita. Sono tornato in Florida, mi sono lanciato nell’immobiliare, ho gestito uno studio di yoga e fitness, ma dopo un paio di anni il richiamo del ghiaccio è stato troppo forte. Non ci posso fare niente, ho l’hockey nelle vene, lo amo alla follia. Ed ora ho questa nuova passione per la panchina. Se avessi l’opportunità di avviare una carriera da coach, di collaborare con lo staff giusto in qualità di assistente, non me la lascerei sfuggire. Magari in Europa. Fino a poco fa l’ambiente non conosceva questo mio desiderio. Ora la voce inizia a girare e qualcosa potrebbe saltare fuori. Ci spero».

Un sogno chiamato Lugano

E chissà che questa occasione non possa arrivare proprio dalla Svizzera. «Tornare a Lugano sarebbe un sogno, magari ditelo a Vicky Mantegazza (ride, ndr.). Hnat Domenichelli ha il mio numero, ci conosciamo bene, abbiamo giocato insieme in bianconero. Conosco anche McSorley, ma con nessuno di loro ho mai affrontato il discorso. Non so nemmeno se ci sia un posto libero nello staff. Se però qualcuno è interessato, io sono qui».