Hockey su ghiaccio

Le inevitabili pulizie di primavera

Il commento del caporedattore della redazione sportiva del CdT sull’eliminazione dei bianconeri
Foto Chiara Zocchetti
Flavio Viglezio
17.03.2019 18:51

Il lungo calvario del Lugano, iniziato già in agosto, è finalmente terminato. Sabato, a notte fonda come a rendere ancora più tetra la situazione, la deludente stagione dei bianconeri è arrivata al capolinea. Come sarebbe andata a finire lo avevano capito ormai da tempo quasi tutti, tranne chi avrebbe davvero dovuto rendersene conto e prendere le necessarie contromisure in questi mesi di sofferenza. E questo è grave. Molto grave. Perché solo a sprazzi qualche timido raggio di sole è riuscito a fare capolino tra i nuvoloni grigi che si sono accumulati sopra la Cornèr Arena. Se il cuore del popolo bianconero piange, la ragione dice che è probabilmente meglio così: non ci sono alibi o giustificazioni che tengano e che sarebbero spuntati come funghi in autunno se il cammino nei giochi per il titolo del Lugano fosse stato più lungo. Nei giorni della delusione per un fallimento purtroppo annunciato, paradossalmente il club bianconero si trova spalancata la porta di una grande opportunità: quella di ripartire su nuove basi, all’insegna di una maggiore trasparenza a tutti i livelli. A patto, ovviamente, che l’analisi di ciò che è stato partorisca per una volta decisioni forti. Quelle che sono incomprensibilmente venute a mancare durante l’annata agonistica. Ci sono due modi di fare le pulizie di primavera: nascondere la polvere sotto il tappeto e sperare che nessuno se ne accorga o rimboccarsi le maniche e mettersi di buzzo buono. Aprendo le finestre per far entrare aria nuova. Solo la società non vede – o non vuole vedere – mancanze, lacune e errori che hanno progressivamente annebbiato la lucidità dello staff tecnico e, di conseguenza, il rendimento della squadra. Ci sarà tempo e modo, nei prossimi giorni, per entrare a mente fredda nei dettagli. Il club non può e non deve diventare ostaggio dell’umore dell’opinione pubblica, ma si è messo da solo in una situazione così delicata da non poter assolutamente ignorare il crescente malcontento di una piazza sempre pronta a sostenere Chiesa e compagni, ma giunta ai limiti della sopportazione. Ripresentarsi con lo stesso organigramma societario all’inizio del prossimo campionato significherebbe innescare una bomba ad orologeria pronta ad esplodere violentemente alle prime difficoltà. In altre parole ed in modo molto chiaro per evitare possibili equivoci: alla conferenza stampa che lancerà la stagione 2019-2020 il Lugano non potrà presentarsi con Roland Habisreutinger nelle vesti di direttore sportivo del club.

Le responsabilità vanno sempre condivise tra tutte le componenti della società, ma l’uomo che doveva portare in riva al Ceresio la cultura del lavoro rappresenta il nodo centrale da sciogliere per permettere al Lugano di rimettersi al lavoro con passione ed entusiasmo. Un numero incalcolabile di errori commessi in fase di mercato, un modo di interagire con allenatori, giocatori, tifosi e media lontanissimo dall’identità ticinese e dell’HCL in particolare, la totale incapacità di formulare la benché minima autocritica pubblica e – last but non least – un titolo nazionale che manca dal 2006 condannano senza possibilità di appello l’operato del direttore sportivo. Anche quest’anno ne ha combinate di tutti i colori: dalla gestione del contratto di Ireland (e della valutazione del suo lavoro a stagione in corso) all’ingaggio di Henrik Haapala fino alla decisione di non tornare sul mercato degli stranieri, passando dal prematuro prolungamento per due anni dei contratti di Jani Lajunen e Maxim Lapierre. Fisiologicamente, dopo dieci anni, una fresca ventata di novità non potrà che far bene al Lugano. Il club non può prescindere dal cuore, dalla passione e – giusto dirlo – anche dal sostegno finanziario della famiglia Mantegazza. Ora Vicky si assuma le proprie responsabilità: e non solo con Habisreutinger. Da chiarire ci sarebbe anche e forse soprattutto il ruolo di Fabio Gaggini: in un mondo ideale l’ex presidente dovrebbe avere il coraggio di tornare a ricoprire una funzione istituzionale o di farsi definitivamente da parte. Operare senza nessun contatto diretto con la realtà quotidiana dello spogliatoio è uno di quei “pasticci alla ticinese” che portano solo confusione e alimentano i malumori. Intanto il primo a pagare per tutti sarà Greg Ireland, tecnico che con il suo crescente nervosismo e con scelte dettate più dall’orgoglio personale che da necessità tattiche ha purtroppo dimostrato di non essere l’uomo giusto per gestire situazioni complicate. Stavolta però cambiare allenatore non basterà: il futuro del Lugano e le sue possibilità di rimanere ai vertici dell’hockey elvetico si decidono in questi giorni. Chissà se il contesto è sufficientemente chiaro, nella stanza dei bottoni bianconera.