«La Nazionale, il Berna e la testa dura di McSorley»
Incastrati tra le semifinali e la finale di Qatar 2022, gli Swiss Ice Hockey Games animeranno la BCF Arena di Friburgo da giovedì sera a domenica pomeriggio. La Svizzera affronterà Svezia, Cechia e Finlandia. Romain Loeffel ci parla della nazionale più francofona di sempre, ma anche del suo presente a Berna e del suo passato a Lugano.
Romain, dopo quasi 9 anni trascorsi tra Ginevra, Lugano e Berna, torni a Friburgo da padrone di casa e non da avversario. Che effetto ti fa?
«È molto bello, speciale. A 15 anni ho lasciato La Chaux-deFonds per approdare nel settore giovanile del Gottéron, il club che mi ha poi permesso di diventare un giocatore di hockey professionista».
In questa nazionale ci sono dodici romandi. Se non è un record, poco ci manca. Significa che fino a domenica il francese sarà la lingua ufficiale della squadra?
«No, no, in spogliatoio il tedesco continua a farla da padrone. Semmai, vista la presenza di Connor Hughes e Tyler Moy, ricorriamo spesso all’inglese affinché anche loro possano capire. Ma l’importante sarà parlare tutti la stessa lingua in pista, in senso metaforico».
Martedì ricorreva il terzo anniversario del tuo clamoroso poker contro la Russia a Visp...
«È vero, un bellissimo ricordo. Ogni tiro entrava in porta. Alla fine vincemmo 8 a 2».
Quella era una Russia B. E l’altro avversario del torneo vallesano era la Norvegia. Quest’anno ve la vedrete con Svezia, Cechia e Finlandia. Ben altri stimoli, vero?
«Essere stati inseriti nell’Euro Tour al posto della Russia, per le tristi ragioni che tutti conosciamo, ci permette di affrontare il meglio dell’hockey continentale. Ci aiuterà in vista dei prossimi Mondiali e infatti lo staff tecnico ha deciso di limitare al minimo gli esperimenti, sia in novembre, sia adesso, convocando soprattutto giocatori con esperienza internazionale. In maggio la selezione sarà comunque diversa da quella attuale, così come diverse saranno Svezia, Cechia e Finlandia, ma test di tale livello possono dare indicazioni utili. Per il nostro staff sarà più facile capire cosa funziona e cosa no. Durante un Mondiale, si possono correggere solo pochi dettagli. Le fondamenta vanno costruite prima».
L’anno scorso eri stato tagliato a quattro giorni dall’inizio dei Mondiali. In carriera hai disputato solo edizioni dispari: 2015, 2017, 2019, 2021. Quindi nel 2023, a Riga e Tampere, ci sarai per forza...
«Lo spero. Sono nel giro della nazionale da tanto tempo, ma non c’è mai stato un anno in cui mi sono sentito sicuro di andare ai Mondiali. È il destino dei difensori offensivi. I posti sono pochi e siamo sempre in attesa di sapere quali rinforzi arriveranno dalla NHL. Ci sarà Josi? E Moser? Non mi resta che dare il massimo ogni volta, indossando la maglia rossocrociata con fierezza».
Patrick Fischer avrà certamente preso nota del tuo buon inizio di campionato con il Berna...
«Dal punto di vista personale sono contento di come stanno andando le cose. Mi sono subito integrato e anche dal punto di vista statistico (3 gol e 16 assist in 29 partite, sesto miglior marcatore tra i difensori di NL, ndr.) posso essere soddisfatto. Io e Untersander siamo i due giocatori più utilizzati della squadra e ci dividiamo i minuti in superiorità numerica, sulla linea blu, facendo il tifo l’uno per l’altro. Il power-play resta una delle mie specialità e il Berna mi ha ingaggiato anche per questo».
Prima della pausa di novembre, senza preavviso, avete cambiato allenatore nonostante il sesto posto in classifica: via Lundskog, dentro Söderholm. Hai temuto che le gerarchie sul ghiaccio potessero cambiare?
«Paura non ne ho avuta. Qualche domanda, però, me la sono fatta. Come si suol dire: sai quello che lasci, ma non sai quello che trovi. Gli assistenti sono rimasti gli stessi e questo ha agevolato una certa continuità. Söderholm ha sicuramente chiesto loro dei feedback dettagliati su ogni giocatore e la transizione è stata rapida. L’inizio non è stato perfetto, poi le cose sono migliorate. Ora siamo reduci da quattro vittorie e prima della pausa abbiamo sconfitto Zugo, Zurigo e Friburgo. Abbiamo iniziato ad assimilare il messaggio del nuovo allenatore».
Veterani come Scherwey e Untersander non avevano nascosto il loro «shock» per l’inaspettato esonero di Lundskog.
«Non capita spesso che la sesta in classifica cambi allenatore dopo 20 partite, ma va pur detto che non eravamo costanti: alternavamo cose molto buone ad altre molto brutte. Il club era reduce da tre stagioni difficili e ha deciso che se si doveva cambiare rotta, allora bisognava farlo il prima possibile».
A Berna, il 7 ottobre, si è conclusa l’avventura in bianconero di McSorley. Quanto è capitato alla tua ex squadra ti ha sorpreso oppure te lo aspettavi?
«Non è stata una separazione inattesa. Io ho sempre avuto un buon rapporto con Chris e continuo a dire che è stato lui, dopo il mio passaggio dal Friburgo al Ginevra nel 2014, a ridarmi fiducia. Il suo sistema, però, non era necessariamente l’ideale per il Lugano. E ad alcuni elementi dello spogliatoio il suo messaggio non arrivava più. McSorley ha la testa dura e non è disposto a cambiare la sua idea di hockey. Vista la mancanza di risultati, l’addio è stato inevitabile».
Il 20 novembre avete perso 5-1 alla Cornèr Arena contro la squadra di Gianinazzi. Che idea ti sei fatto del «nuovo Lugano»?
«I miei ex compagni hanno soprattutto ritrovato il piacere di giocare. Merito di un sistema più moderno, veloce, che contempla maggiormente il possesso del disco. Oggi il Lugano gioca un hockey migliore, sì, ma il campionato è talmente equilibrato da rendere la vita difficile a tutti. Lo diciamo ogni anno, me ne rendo conto, ma non è mai stato vero come in questa stagione».
Ormai sono passati otto mesi dal tuo addio al Lugano. Con maggiore distacco, che bilancio puoi trarre di questa esperienza?
«Ho davvero apprezzato i miei quattro anni ticinesi. A livello sportivo, di squadra, il bilancio non può essere positivo: non ho raggiunto l’obiettivo che mi aveva portato a Lugano, cioè la vittoria di un titolo. Purtroppo due stagioni su quattro sono state condizionare dalla pandemia. E ovviamente è stata molto dolorosa l’eliminazione contro il Rapperswil dopo aver chiuso la regular season al secondo posto. A livello di qualità di vita, però, è stato bellissimo. Il mio primo figlio è nato a Sorengo e questo lo accompagnerà per tutta la sua vita. Lugano resterà sempre nei nostri cuori».
Stai allenando il tuo italiano?
«Sempre, tutti i giorni, approfittando del mio compagno di squadra Christian Pinana».