Formula Uno

«La pista che preferisco? Monza, con il mio record»

Il brasiliano ci racconta il suo sconfinato amore per i motori, a 20 anni dalla sua prima vittoria al GP d’Italia
Maddalena Buila
10.09.2022 06:00

La sua Monza. Questo weekend la Formula Uno fa tappa sul circuito d’Italia, una pista il cui tempo record appartiene ancora a Rubens Barrichello. Il 50.enne brasiliano vi ha vinto tre volte, e la prima risale a esattamente vent’anni fa. Era il settembre 2002, quando, al volante della Ferrari, il nativo di Sao Paolo tagliò il traguardo davanti a tutti. Ed è proprio l’ex pilota della Rossa a raccontarci, tra le altre cose, quanto ami questo circuito.

«Amo Monza e detengo ancora il record della pista», ha commentato orgogliosamente Rubens Barrichello quando gli abbiamo ricordato del ventesimo anniversario dalla sua vittoria al GP d’Italia con la Ferrari. «È una delle mie piste predilette, se non addirittura la preferita. Ho vinto tantissimo e sono molto fiero che il mio primato non sia stato ancora infranto dopo tutti questi anni (ride, ndr). Sono felice di aver conquistato questo circuito anche con la scuderia Brawn, oltre alla Ferrari, dimostra che sono un fenomeno (altra risata, ndr)». Un campione che ha dovuto sudarsi il successo, lasciando il proprio Paese per tentare di sfondare. «La Formula Uno è l’amore della mia vita, ho lavorato tantissimo per arrivarci. Mi sono avvicinato al mondo dei motori quando avevo sei anni, credo sia storia nota. Ho iniziato a correre coi go-kart e non mi sono più fermato. Ma per arrivare in alto ho dovuto lasciare il mio Paese, senza un soldo, e lavorare duramente. Ma ce l’ho fatta, ho raggiunto il sogno di una vita: approdare nel massimo campionato. Un desiderio che hanno anche i miei figli e che spero potranno realizzare». Una famiglia di automobilisti, quella Barrichello. «Il mio primogenito, Edoardo, ha 20 anni e al momento è in Austria a gareggiare nel campionato europeo di Formula regionale, mentre Fernando, 16.enne, milita in Formula 4 in Brasile. È insieme a loro che ho vissuto il momento più bello della mia attuale carriera in Stock car. Quando ho vinto la mia prima gara, da un milione di Reais, mio figlio Edoardo aveva 12 anni, ed è salito in auto con me per festeggiare. Ho conquistato nuovamente quella gara quattro anni dopo, quando il mio secondogenito compiva esattamente 12 anni. Questa coincidenza mi è rimasta impressa, mi fa pensare che nulla accada per caso».

La bufera di Nelson Piquet

Alla domanda «Qual è il ricordo più bello ed emozionante che serba nella sua memoria relativo alla carriera nel mondo dei motori?», Rubens Barrichello ci riserva una risposta piuttosto curiosa. «Direi la competitività del campionato Stock car. Ci sono trentaquattro piloti al via, tutti molto forti». Un’opinione alquanto singolare, considerato che il 50.enne di Sao Paolo ha alle spalle un’incredibile carriera in F1. Quattordici stagioni nella massima categoria delle quattro ruote, cinque delle quali nel team per antonomasia, la Ferrari. Scudiero di Michael Schumacher, nonché amico di Ayrton Senna, Barrichello ha vinto 11 GP, flirtando con la vittoria nel 2002 e nel 2004, sempre al volante della Rossa, quando chiuse secondo. Nessuno di questi aspetti è però stato citato, neppure il periodo con la Rossa. Ci chiarisce le idee lo stesso Barrichello, che ci riporta indietro di poco più di un paio di mesi. Nonostante sia estremamente fiero di ciò che ha fatto in passato in F1, e continui a seguire da vicino il campionato della massima serie automobilistica, il pilota preferisce non toccare determinati temi. E questo in seguito al fatidico ritrovamento dello scorso giugno, quando è comparso l’audio di Nelson Piquet, ritrovato a un anno di distanza da quando l’ex pilota brasiliano aveva proferito un insulto razzista nei confronti di Lewis Hamilton. «La bufera che ne è conseguita non ha portato con sé che un calo di interesse nei confronti della Formula Uno da parte del nostro Paese - spiega Barrichello -. L’amore del Brasile verso questo sport continua a essere estremamente forte. Ma sicuramente ha scatenato una tempesta, coinvolgendo tutti i piloti, soprattutto quelli verdeoro e provocando una sorta di scissione nel Paese. Devo dunque fare molta attenzione a quello che dico. Sicuramente non posso esprimermi sul Mondiale in corso, ma è meglio tacere anche sul mio passato in F1 e il mio rapporto coi compagni. Non voglio però che passi il messaggio che il periodo nel massimo campionato non sia stato splendido, anzi. Allo stesso modo muoio di passione per la F1. Il periodo, però, non è propizio per parlarne».

Imola ’94 e il flirt con il pericolo

Niente commenti nemmeno sul Gran Premio di Imola del 1994, il tristemente famoso weekend che si portò via due piloti (Ratzenberger in qualifica e Senna in gara) e assistette all’incredibile incidente proprio di Rubens Barrichello, di cui lui non ricorda nulla. Il 50.enne brasiliano non si è però mai soffermato troppo a pensare come sarebbero potute andare le cose diversamente. «La vita va avanti - spiega il due volte vicecampione del mondo -. Certo, se un tempo ci fossero state le migliorie tecnologiche che abbiamo oggigiorno, sarebbero stati evitati diversi incidenti, ma non ha senso pensarci. Un tempo tutto l’aspetto legato alla sicurezza dei piloti era quello che era. Nessuno poteva immaginare come la tecnica sarebbe progredita. Si gareggiava e basta. Io non ho mai smesso di correre, quindi ho vissuto sulla mia pelle i perfezionamenti apportati alle vetture e sono chiaramente contento che siano stati fatti. Ma oggi, come allora, salgo in macchina senza chiedermi quali saranno i miglioramenti futuri».

L’assenza verdeoro

La storia della F1 ha conosciuto tanti nomi di piloti brasiliani incredibili. Tra tutti spicca ovviamente quello di Ayrton Senna, ma anche lo stesso Nelson Piquet, Felipe Massa, Emerson Fittipaldi e il nostro interlocutore. Da qualche anno a questa parte, la massima categoria delle quattro ruote non ha più portato in pista protagonisti verdeoro. «Penso sia un caso - commenta Barrichello -. D’altronde può capitare che ci siano dei periodi testimoni della nascita di diversi campioni, mentre altri rimangono a secco. Quello che so per certo è che il Brasile ama terribilmente questo sport e può vantare tanti grandi nomi nel mondo dei motori. Bisogna solo aspettare che ricominci un nuovo ciclo. Sicuramente non sono triste che l’ultima vittoria a un Gran Premio di Formula Uno sia del sottoscritto».

L’approdo in Stock car

Un amore per la massima categoria nel mondo delle quattro ruote, ma non solo. Rubens Barrichello non ha infatti mai considerato l’idea di chiudere col mondo delle corse, nemmeno quando la sua esperienza in F1 ha visto scritta la parola fine. «Terminata la mia carriera nel massimo campionato, ho trascorso del tempo in IndyCar poi, conclusasi anche quest’esperienza, sono tornato in Brasile, dove ho cominciato a correre nel campionato di Stock car. Per me si è trattato di un sogno diventato realtà, tanto è vero che sono ormai dieci anni che sono tra i protagonisti di questa categoria. Si tratta di un mondo estremamente affascinante e competitivo, dato che vi gareggiano tutti i piloti brasiliani che hanno terminato il loro corso in F1. Sono orgoglioso di poter dire che ho vinto il campionato una volta (nel 2014, ndr) finendo secondo altre tre. Anche quest’anno sto ottenendo ottimi risultati che mi permettono di lottare per la vittoria finale. Gli anni passano, ma io ho sempre la stessa competitività nel sangue. Inoltre gareggiare in questa categoria mi piace molto. Le mani vanno da sole e non sento pressione. È un divertimento».