Formula Uno

«La telemetria aiuta ma la fatica è del pilota»

Abbiamo parlato dell'importanza dei dati e della telemetria in Formula Uno con Mirco Bartolozzi, ingegnere meccanico e fondatore dell'account F1 Data Analysis
Maddalena Buila
10.11.2022 22:00

Tecnologia e Formula Uno. Due mondi ormai inseparabili. Lo studio dei dati e la telemetria sono diventati concetti fondamentali tanto quanto i meccanici. Abbiamo parlato della loro importanza, e dei conseguenti cambiamenti nel massimo campionato delle quattro ruote, con l’ingegnere meccanico e fondatore degli account F1 Data Analysis Mirco Bartolozzi. 

Signor Bartolozzi, partiamo dalle basi. Può spiegarci cosa s’intende quando si parla di analisi di dati e telemetria in F1?

«Cominciamo con una definizione. Telemetria significa leggere una serie di segnali che vengono acquisiti da sensori installati sull’auto. Questo aspetto non è particolare. Qualunque meccanico, infatti, con i suoi strumenti di diagnostica è in grado di svolgere questa operazione sulle nostre normali vetture. Anche solo il tachimetro e il contagiri leggono la misurazione di un sensore. Nel caso della F1, essendo uno sport dove la tecnologia regna sovrana e ha raggiunto il suo apice, ci si concentra in modo particolare sui dati. I team utilizzano una miriade di dati, sia acquisiti mentre l’auto gira in pista, sia durante le simulazioni. Anche noi comuni mortali abbiamo accesso da qualche anno a piccole porzioni di questi dati telemetrici derivanti dalle scuderie».

E partendo da essi lei ha deciso di dare vita al suo account social F1 Data Analysis. Una delle pagine più seguite in materia di dati e telemetria in F1...

«Esatto. Di professione sono ingegnere meccanico e mi sono sempre interessato, soprattutto per passione, al mondo delle automobili. Ho anche fatto parte del Team Formula SAE del mio ateneo, ovvero l’Università degli studi di Firenze, con cui ho avuto modo di progettare e correre con una monoposto. Un’esperienza che fa da scuola per poter poi entrare nel mondo della F1. Ora sono al terzo anno del mio dottorato che riguarda la dinamica della moto utilizzando i dati telemetrici. Essendo, come detto, un grandissimo appassionato di F1, ho sempre mandato analisi telemetriche a diversi amici e conoscenti su WhatsApp. Molti di loro hanno iniziato a dirmi che se avessi aperto una mia pagina social sarebbe stata molto apprezzata. E così mi sono lanciato. Sette mesi fa ho creato F1 Data Analysis su Twitter. L’interesse è stato importante. Oggi conta più di 56mila followers».

Ho sempre mandato analisi telemetriche a diversi amici e conoscenti su WhatsApp
Mirco Bartolozzi

Torniamo alla F1. Quanto è importante al giorno d’oggi l’analisi dei dati?

«La telemetria è fondamentale e aiuta i team in ogni fase. Immaginiamoci un caso concreto. Quando un’auto viene progettata, in realtà non esiste ancora. È dunque impossibile testarla, per esempio, in galleria del vento per capire come lavorare sull’aspetto aerodinamico. Già da questa prima fase, si possono dunque acquisire dei dati, seppur simulati, che indicano se la strada intrapresa è buona o meno. L’auto poi viene realizzata. A questo punto si possono fare i test stagionali, cercando una corrispondenza tra ciò che si è misurato in simulazione e nella realtà. Durante le prove libere, poi, la telemetria viene utilizzata per il set up della macchina. Ogni circuito è infatti differente e la vettura deve essere settata per ciascuno di essi. Tutto questo viene fatto tramite la telemetria: che forze si richiedono agli pneumatici, quanto l’auto si abbassa in rettilineo sotto l’effetto delle forze aerodinamiche, e via dicendo. A seconda dei dati analizzati si prendono delle decisioni, che in ingegneria non sono mai bianche o nere».

E poi c’è la gara, durante la quale arrivano una marea di dati in un tempo velocissimo. Quanto è difficile analizzarli e prendere decisioni in pochissimo tempo?

«È molto complicato. Ci sono però varie tipologie di dati. Esistono per esempio quelli che non devono essere usati rapidamente. Pensiamo per esempio alla strategia del pit stop. Durante la gara arrivano dei dati relativi al degrado delle gomme. Gli ingegneri hanno tutto il tempo per analizzarli e capire se gli pneumatici si stanno rovinando come previsto, di meno o di più. Il consumo della gomma è però un processo lento. Certo, nel caso di una safety car le cose cambiano, ma in generale non si richiede un intervento repentino in quest’ambito. In altri, invece, serve una risposta tempestiva perché si possa correggere il problema con settaggi sul volante dal pilota, che però è all’oscuro del problema stesso. Questo è un compito che spetta all’ingegnere. Pensiamo per esempio a Pérez a Monza, quando un detrito si era infilato in una ruota della sua Red Bull e la temperatura del freno era andata fuori controllo. Se non si capisce rapidamente da dove arriva il problema, si perdono secondi preziosissimi o si è costretti persino al ritiro. Per avere delle reazioni più rapide, infatti, gli ingegneri non si limitano a guardare i dati grezzi, che dicono poco, ma in pregara studiano i comportamenti normali della vettura, per poi scovare subito l’anomalia durante il Gran Premio».

Può succedere che i software usati per la telemetria vadano in crash?

«Sì, succede abbastanza spesso se consideriamo anche i problemi relativi all’interruzione della comunicazione radio. A livello di settaggi, in questi momenti il pilota si trova al buio. Per quanto riguarda la telemetria, può capitare che i sensori che la garantiscono abbiano dei bug o si rompano. In questo caso mostrano dei dati privi di senso. Più volte quest’anno è successo che un pilota vedesse un messaggio di errore sul suo volante. Il team, guardando i valori, capisce subito se qualcosa non torna. Può essere per esempio un segnale relativo alla temperatura costante del motore a 10mila gradi. È ovviamente un errore, il motore si sarebbe già fuso. Si segnala dunque al pilota che si tratta di un guasto, chiedendogli di disattivare l’avviso. Ci sono poi alcuni casi in cui il sensore viene direttamente utilizzato dal motore. Per esempio, se la temperatura è eccessiva, il motore taglia leggermente la potenza per farla tornare a valori accettabili».

I dati sono un'infinità, da quelli che possono essere letti con calma a quelli che richiedono una risposta repentina
Mirco Bartolozzi

Rispetto a quanto detto finora, una domanda sorge spontanea. Stiamo assistendo a un cambiamento radicale di questo sport che in un certo senso riduce l’importanza del ruolo dei piloti per puntare tutto sui software?

«Le auto predigitali, anni ‘60-’70-‘80, non avevano alcun tipo di assistenza. Negli anni ‘90, la tecnologia ha poi reso le auto davvero facili da domare. Infatti la macchina di F1 più semplice da guidare della storia è la Williams del 1993. Una vettura con cambio automatico, sospensioni attive, controllo di trazione, ABS. I piloti stessi dicevano che chiunque sarebbe stato in grado di guidarla. Quasi subito era infatti stata scartata. Ma per molti anni, fino al 2005-2006, poco è cambiato. Il motore aveva una curva di potenza prevedibile e soprattutto aveva il controllo di trazione. Da questo punto di vista, le auto di oggi sono molto più complicate da guidare. Contrariamente a quanto si pensa. Sono forse più facili di quelle di 50 anni fa per guida pura, ma rispetto a quelle di 20 anni fa sono più impegnative. Il motore ha infatti molta più coppia, ovvero tende più facilmente a far pattinare le gomme. E al tempo stesso non si ha il controllo di trazione. È dunque il pilota che deve dosare il gas. In più, mentre fa queste cose, deve farne moltissime altre che venti anni fa non erano nemmeno immaginabili, come i settaggi sul volante. Se qualcuno non ci crede può provarle su un simulatore. Io l’ho fatto e vi assicuro che è così. 50 anni fa c’era ancora il cambio manuale con la frizione, quindi le auto erano sicuramente impegnative. Ma lo sforzo fisico oggi è decisamente maggiore. Una curva una volta veniva magari fatta a 220 km/h, adesso a 270. La fatica del pilota era dunque un'altra. La F1 di oggi è uno sport atletico. Non esiste un pilota fuori forma. Un tempo si faceva invece meno caso alla dieta, ecco (ride, ndr). Inoltre anni fa tanti piloti vincevano delle gare anche dopo i 40 anni, cosa rara oggi».

Un’ultima domanda. Questo weekend la F1 farà tappa in Brasile. Cosa ci può dire di questo circuito?

«È un tracciato variegato, con tre particolarità: le precipitazioni, il fatto che solo il 36% di piloti partiti dalla pole ha finora vinto la gara (percentuale più bassa di tutti i circuiti) e l’altitudine. Ci troviamo a circa 700 m s.l.m, con la densità dell’aria ridotta dell’8%. Questo aspetto influenza il riscaldamento. Se la densità dell’aria è minore, è più difficile raffreddare. Ci sono dei team che potrebbero avere problemi. Pensiamo per esempio alla Ferrari in Messico, con un motore a mappatura depotenziata perché la turbina non riusciva a comportarsi bene. In Brasile siamo a un terzo dell’altitudine messicana, ma sarà comunque un aspetto da tenere in considerazione».