Il commento

L'essenza racchiusa in un futile bisticcio

La super sfida di questa sera contro il Brasile rischia di assumere un’importanza notevole, persino maggiore della terza e ultima gara del girone
Massimo Solari
28.11.2022 06:00

Potrebbe sembrare una partita interlocutoria. Una sorta di passerella. Da condividere con una parata di stelle, in una tempesta di flash e grida d’ammirazione, prima di tornare a battagliare. Prima della Serbia e di un pericoloso tuffo nel passato. Eppure, la super sfida di questa sera contro il Brasile rischia di assumere un’importanza notevole. Persino maggiore della terza e ultima gara del girone. Da un lato proprio perché un buon risultato al 974 permetterebbe di attenuare l’asfissiante pressione che oramai da giorni - badate bene, alimentata dal fronte avversario - grava sulla sfida con i serbi. Dall’altro poiché le scelte di Murat Yakin suggeriranno quale aria tira in casa rossocrociata. Per dire: siamo sicuri che Manuel Akanji - pilastro del Manchester City - avrebbe accettato di buon grado di non misurarsi con i verdeoro per paura di essere ammonito? E il passaggio alla difesa a tre, dopo essere riusciti a metabolizzare la filosofia del nuovo ct e a farsi un nome sulla scena internazionale con quattro pedine, quanto sarebbe stata indolore? Semplici quesiti che, considerata la probabile conferma dell’undici schierato all’esordio, si dev’essere posto pure il ct.

Il successo contro il Camerun, al proposito, non si è portato appresso solo sorrisi e dosi industriali di fiducia. Alcune riflessioni s’impongono, in particolare sulle dinamiche e gli equilibri sui quali si regge il gruppo elvetico. E senza con questo voler cercare a tutti costi del negativo o peggio ancora del marcio. Il bisticcio tra Granit Xhaka e Ricardo Rodriguez, al tramonto del debutto mondiale, merita in particolare di essere soppesato. Al netto dei chiarimenti subitanei, quanto accaduto venerdì all’Al Janoub Stadium racchiude in effetti l’essenza dell’attuale Svizzera. Breve riassunto: il novantesimo si avvicina ad ampie falcate, il Camerun è oramai un leoncino ammansito e Rodriguez - alle prese con i crampi - non ce la più. Sostituirlo è inevitabile, ma il capitano della Nazionale sbotta e se la prende con il compagno: «Gli ho ricordato che mancavano cinque minuti e che dovevamo essere coscienti dell’importanza del match» le spiegazioni di Xhaka. Parole condivisibili. Già. Ma la fiducia per le seconde linee? Verso i compagni che non stanno lottando per il titolo in Premier League o non possono vantare cento presenze con la maglia rossocrociata?

La verità è che il nostro capitano ha ragione. Forse non nei modi, ma ha profondamente ragione. E non è la prima volta che lo sottolineiamo. Di giocatori in grado di scrivere la storia - o alla peggio una novella - in questo gruppo ve ne sono 13 o 14. Riconoscerlo oggettivamente dall’esterno, ad ogni modo, non per forza significa farlo in spogliatoio. Anzi. Ma è anche dalla reazione dei rincalzi svizzeri, appurato il pensiero del proprio leader, che potrebbe dipendere l’andamento del nostro torneo. Cosa fare? Comunella, secondo lo schema «voi e noi», o leva su orgoglio e motivazione, dimostrando con fatti e atteggiamento che la penna della Nazionale non appartiene solo agli autori prescelti? Voltando la medaglia, e osservando il riflesso di sguardi severi, non bisogna però sottovalutare o screditare la determinazione di Xhaka e accoliti. Tutt’altro. Quando il centrocampista dei Gunners o Akanji solleticano il colpo grosso - «vincere il Mondiale? Andiamo in Qatar per questo» - non lo fanno per spacconeria. No, ci credono veramente. E dispongono dello spessore sportivo e della personalità per permetterselo. Ecco perché, per loro e per i compagni in cui credono sinceramente, quella con il Brasile non può essere una semplice passerella.

In questo articolo: