L'incredibile farsa del Gran Premio di Indianapolis

Uno scenario surreale: caos totale nel paddock, griglia di partenza semi-vuota e pubblico inferocito. Una figuraccia epocale da ricordare, quantomeno a posteriori, con il sorriso. Due decenni or sono - per l’esattezza il 19 giugno del 2005 - andò infatti in scena un tragicomico Gran Premio in quel di Indianapolis, che passò di diritto nella storia della Formula Uno.
Il Cavallino azzoppato
Per capire come fu possibile arrivare a tanto - ossia far cominciare una gara con tre sole scuderie al via, Ferrari, Jordan e Minardi - bisogna innanzitutto rammentare il contesto di una Formula Uno allora fortemente segnata dal dominio incontrastato del duo Ferrari-Bridgestone. Gli uomini del Cavallino Rampante - anche grazie all’azienda giapponese produttrice di pneumatici - erano forti di sei trionfi consecutivi nella classifica dei costruttori e cinque titoli iridati di fila conquistati da Michael Schumacher. Di fronte, in particolare, ai 15 successi in 18 gare firmati dalla Rossa nel 2004, l’istrionico Bernie Ecclestone e il presidente dell’epoca della FIA, Max Mosley, spinsero per una modifica del regolamento che toccò vari aspetti. Uno dei quali coinvolse proprio la gestione delle gomme: fatta eccezione per maltempo o problemi di sicurezza, nella stagione 2005 non era più possibile cambiare i propri pneumatici nel corso della gara.
Il perché di questa scelta è presto detto, considerando che la poc’anzi menzionata Bridgestone aveva sviluppato delle innovative fibre tessili - fatte di nylon e rydon - che andavano a sostituire l’acciaio presente nella carcassa della gomma. Il risultato?Gli stint erano di breve durata ma ad alta prestazione. Chi, invece, faceva affidamento ai rivali della Michelin godeva di pneumatici meno performanti ma dalla vita maggiore. Va da sé, dunque, che il cambio del regolamento sfavorì la Ferrari per agevolare, di contro canto, gli altri top team, che montavano tutti gomme Michelin.
Gli incidenti nelle prove libere
E a questo punto del racconto, allora, giungiamo al controverso weekend di Indianapolis, nona tappa della stagione. In occasione delle prove libere del venerdì le gomme dell’azienda francese diedero segnali preoccupanti, tanto che le due monoposto Toyota - guidate dal collaudatore Ricardo Zonta e da Ralf Schumacher - furono colpite da due incidenti derivanti da un cedimento della posteriore sinistra. Quello del tedesco, più grave, avvenne nella curva 13, una sopraelevata - peraltro caratterizzata da tratti di asfalto rinnovati - che sollecitava a dismisura le gomme. In seguito all’accaduto, al pilota tedesco fu impedito per precauzione di partecipare al GP domenicale ma, soprattutto, la Michelin comunicò di «non poter garantire l’integrità dei propri pneumatica in vista della gara». Fu l’inizio del putiferio.
Tra i vertici della FIA, il presidente del circuito e i vari team principal, cominciò una negoziazione volta a trovare una contromisura. Tra le diverse proposte per garantire, comunque, un normale svolgimento del Gran Premio, ce ne fu una che mise tutti, o quasi, d’accordo. E nell’ottica di scongiurare altri possibili incidenti, il risultato delle trattative sembrava essere apporre una chicane alla famigerata curva 13.
L’imbarazzo più totale
La Ferrari, diretta da Jean Todt, però si oppose fermamente e così, nell’incertezza più totale, si arrivò al momento della corsa. Senza alcuna chicane - né lo straccio di una benché minima notizia - tutte le vetture si dispiegarono nel canonico giro di formazione. Tuttavia, anziché riposizionarsi sulla griglia di partenza, tutte le monoposto che montavano gomme Michelin rientrarono nella corsia dei box. Flavio Briatore, team principal della Renault, tuonò: «Non possiamo rischiare, a beneficio dello spettacolo, di mettere a rischio la vita dei piloti». Nello stupore generale, allora, ai nastri di partenza si presentarono solamente le scuderie targate Bridgestone: davanti la coppia di piloti della Ferrari, dietro quelle di Jordan e Minardi, ingolosite dalla concreta possibilità di centrare il podio.
Si assistette, dunque, a una partenza surreale e a una corsa che mandò su tutte le furie il pubblico americano. I tifosi, furibondi, lanciarono a ripetizione degli oggetti in pista, tanto che Rubens Barrichello, durante la gara, centrò perfino una lattina gettata sull’asfalto. Il brasiliano della Ferrari rischiò peraltro un incredibile patatrac con il compagno di squadra Michael Schumacher. Quest’ultimo, dopo una sosta per il carburante, andò quasi a collidere con Barrichello, che finì sull’erba. Il tutto, però, non impedì ai due di realizzare - pur senza festeggiare - una doppietta sul traguardo al compimento di quella che non fu una gara, bensì una farsa. Il terzo classificato - il portoghese Tiago Monteiro, della Jordan - invece se ne infischiò bellamente e concluse la figuraccia in mondovisione con un iconico e esilarante festeggiamento sul podio.
Le conseguenze
A «Indy» si corse quindi fino al 2007, ma nei successivi cinque anni la Formula Uno non sbarcò più negli USA. «Si è rovinato tutto - disse Ecclestone - proprio quando stavamo costruendo l’immagine della F1 in America. Nei bei vecchi tempi, avrei costretto tutti a correre comunque». Nonostante una vera e propria pagliacciata, il Circus sarebbe poi tornato negli States, mentre con il disgraziato weekend di Indianapolis la FIA decise, a partire dal 2007, di adottare definitivamente una marca di gomme unica per tutte le scuderie.