L’analisi

Lugano, un Titanic che affonda in un oceano di mediocrità

Alla Ilfis di Langnau i bianconeri rimediano l’ennesima figuraccia stagionale – E mentre la squadra naufraga, il club - che aveva promesso sostegno incondizionato a Gianinazzi - si distingue per la solita, colpevole passività
L’indisturbato Marc Michaelis ha tutto il tempo per superare Niklas Schlegel e realizza così la seconda rete del Langnau. ©Keystone/Marcel Bieri
Flavio Viglezio
08.01.2023 16:00

Sabato 15 ottobre 2022: il Lugano, di scena alla Ilfis, viene umiliato con un pesante 6-1. Tre mesi più tardi i bianconeri tornano a Langnau e il copione non cambia: rimediano un’altra figuraccia – l’ennesima di questa disastrata stagione – si beccano i fischi dei coraggiosi tifosi che hanno intrapreso la trasferta nell’Emmental e si ritrovano con un solo punto di margine da un eventuale spareggio con l’Ajoie. Attenzione, a giocare con il fuoco. E pensare che novembre era stato il mese delle più rosee speranze, la cura Gianinazzi sembrava poter produrre effetti benefici: ed invece il Lugano è di nuovo inguardabile, sconcertante, fragile. Improponibile, insomma.

Un approccio inaccettabile

Nessuno – e questa è una pesante aggravante – sa darsi una spiegazione logica. «È inspiegabile e inaccettabile»: parole del Giana, non nostre. Meglio puntualizzarlo: non sia mai che si venga ancora una volta accusati di un crimine di lesa maestà. Già, l’approccio alla sfida con i tigrotti è stato inaccettabile. Lo sarebbe stato per chiunque, ancora di più per una squadra che ha un terribile bisogno di punti. E di qualche concreta certezza, se possibile.

Dopo 8’27’’ di gioco il Lugano era già sotto di tre reti, subite in meno di due minuti. Un vero e proprio festival degli errori e degli orrori: i bianconeri difensivamente hanno concesso autostrade a quattro corsie ai padroni di casa e spazi – davanti alla porta del povero Schlegel – da fare invidia alla vastità di un deserto. E quando ha provato a tornare in partita – non senza una certa generosità – il Lugano ha trovato il modo di spararsi nei piedi. Puro masochismo.

E pensare che – secondo gli obiettivi sbandierati dal club – questo Lugano puntava alla qualificazione diretta ai playoff, in un contesto di sviluppo che doveva portare, a medio termine, a lottare per la conquista del titolo svizzero. Se la situazione non fosse così delicata, verrebbe quasi da ridere. Come il Titanic, la squadra bianconera doveva insomma essere inaffondabile. E proprio come accadde sul celebre transatlantico, a pochi minuti dall’ineluttabile naufragio, anche alla Cornèr Arena c’è ancora chi pensa che tutto o quasi sia sotto controllo. Non ci si rende conto – o non ci si vuole rendere conto – che il Lugano sta affondando in un oceano di mediocrità. A tutti i livelli. Una pochezza strutturale che – dopo la rabbia e la delusione – sta vieppiù conducendo il popolo bianconero verso indifferenza e rassegnazione. Lo scenario peggiore, per un club sportivo.

Come Edward John Smith

Ed allora Luca Gianinazzi assomiglia sempre di più a Edward John Smith, il capitano del Titanic. Un uomo solo al comando, mentre l’orchestrina ancora suona per distrarre l’attenzione dall’imminente catastrofe. Quando ha deciso di cacciare Chris McSorley, la società bianconera aveva promesso un sostegno incondizionato al giovane coach. Di questo impegno, anche morale, non si vede nulla. La passività, ancora una volta, è padrona assoluta dell’ambiente bianconero. Non una presa di posizione, non un messaggio per i tifosi, non una decisione forte per cercare di scuotere il gruppo, nessun intervento sul mercato. A Langnau era presente il ds Hnat Domenichelli, che non si è fatto vedere nello spogliatoio a fine partita. Così come non si è fatto vedere – in un momento delicatissimo – nessun membro del CdA. Qual è allora, di grazia, l’incondizionato sostegno della dirigenza nei confronti del Giana? Può limitarsi alla sola garanzia di conferma per la prossima stagione, lasciando che questa finisca senza aver per lo meno concretamente cercato di raddrizzarla?

Oliwer Kaski è stato ceduto un mese fa, ma nonostante una situazione di classifica deficitaria il Lugano non ha ancora ritenuto opportuno intervenire sul mercato degli stranieri. E con l’infortunio di Markus Granlund - e il fisiologico turno di riposo concesso a Mikko Koskinen – alla Ilfis il Lugano è sceso in pista con soli cinque «import». Inaccettabile, tanto quanto la prestazione della squadra bianconera nell’Emmental.

Un paragone impietoso

Anche perché gli stranieri scesi in pista a Langnau hanno ancora una volta evidenziato – Troy Josephs a parte – imbarazzanti limiti caratteriali e di motivazione. A cominciare da un irriconoscibile Mark Arcobello, corpo estraneo in un gruppo già in seria difficoltà. A Lugano manca leadership e l’americano – nonontante porti un’immeritata «C» di capitano sul petto – non è in grado di garantirla. A Gianinazzi – come ad ogni allenatore – non piace parlare dei singoli. Preferisce concentrarsi sul gruppo, ma come può accettare prestazioni come quelle fornite da Arcobello, Connolly, Carr e Bennett alla Ilfis? Il paragone con gli stranieri del Langnau – Saarijärvi, Pesonen e Michaelis su tutti – è stato semplicemente impietoso.

Verso il derby

Ora all’orizzonte si profila, minaccioso, il derby con l’Ambrì Piotta e il Lugano per farsi coraggio si aggrappa ai tanti successi di queste ultime stagioni contro i biancoblù. Una sconfitta potrebbe risultare devastante per i bianconeri, quasi obbligati a vincere davanti ai propri tifosi. Ma un successo, come ha detto bene Morini alla Ilfis «non risolverebbe i nostri problemi». La Cornèr Arena lo festeggerebbe con canti di giubilo e applausi convinti e il rientro della squadra nello spogliatoio verrebbe accompagnato da pacche sulle spalle e sorrisi a 36 denti. Tutti felici e contenti, in attesa di conferme che questo Lugano non è mai stato in grado di garantire.

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