Il dibattito

Ma perché siamo così divisi sulle divise da calcio?

Sono state svelate le nuove magliette che la Svizzera indosserà a Euro 2024 – La seconda presenta accenti di blu, pensati per evocare il legame con la montagna e la neve, ma che potrebbero anche rimandare all’Italia – In Germania sta facendo discutere la versione «pink», in Inghilterra la scelta di rendere multicolore la croce di San Giorgio
Massimo Solari
29.03.2024 06:00

Editoriali sui principali quotidiani nazionali. Primi ministri e politici di alto rango che alimentano le discussioni. E, certo, i social media invasi da commenti più o meno risentiti. Sia in Germania, sia in Inghilterra, le nuove magliette delle squadre nazionali stanno catalizzando il dibattito, generando al contempo accese polemiche. A dividere i tedeschi, nello specifico, è stata (ed è tuttora) la seconda divisa plasmata da Adidas in vista dell’Europeo casalingo. Una divisa quasi interamente rosa. Nel Regno Unito, invece, si fatica a digerire un dettaglio inserito all’esterno del colletto della maglia ufficiale, dove la tradizionale croce di San Giorgio - barre rosse, su sfondo bianco - è stata sostituita da una versione multicolare che strizzerebbe l’occhio all’inclusività. E, no, la licenza poetica del marchio statunitense non è passata inosservata.

«Modelli discussi con Puma»

Sui due tormentoni torneremo più avanti. Nelle scorse ore, infatti, a svelare il nuovo kit per l’Euro 2024 è stata la Nazionale svizzera. E, pure in questo caso, il design messo a punto da Puma rischia di suscitare alcune perplessità. Soprattutto in Ticino. Il motivo? Semplice. La maglia da trasferta assomiglia, o quantomeno potrebbe evocare, una divisa dell’Italia. Tolta la bandiera rossocrociata, di dimensioni ridotte e situata all’altezza del cuore, a spiccare sulla base bianca è il colore blu, scelto per colletto, bordo delle maniche, parte della schiena, come pure logo dell’ASF e marchio dello sponsor tecnico. L’obiettivo ricercato dalla Federcalcio elvetica e dal suo partner, va da sé, è un altro. «La maglia bianca da trasferta - precisa una nota - si ispira allo Jungfraujoch e alla stazione ferroviaria più alta d’Europa. Il design rappresenta la fusione della bellezza unica e dell’eccellenza tecnica del Paese. Il legame con neve, montagne e ghiaccio si ritrova negli accenti blu della maglia, mentre la grafica delle linee richiama le traversine della ferrovia della Jungfrau. Lo scollo a V e le estremità delle maniche di colore blu completano il modello». Okay.

Come ASF forniamo allo sponsor tecnico le informazioni circa i fattori importanti in materia di Swissness
Adrian Arnold, capo comunicazione ASF

L’interrogativo però sorge spontaneo. Al rischio di un possibile collegamento con gli azzurri non si è proprio pensato? «No, dal momento che il colore principale e dominante della maglietta è il bianco» tiene a sottolineare Adrian Arnold, responsabile comunicazione dell’ASF. «Il blu è utilizzato solo come sotto-colore. Non solo: la bandiera rossocrociata e la menzione «schweiz, suisse, svizzera, svizra», sottolineano chiaramente l’appartenenza alla Svizzera». Bene. Ma come si è arrivati alla versione finale delle divise «home» e «away»? E quale margine d’intervento esiste - in caso di insoddisfazione - per la Federazione? Ancora Arnold: «I prodotti sono sviluppati in stretta collaborazione tra ASF e Puma. Per quanto ci riguarda, forniamo allo sponsor tecnico le informazioni circa i fattori importanti in materia di Swissness (colori, elementi, eccetera). Puma, poi, elabora e integra queste informazioni nel processo di concezione dei prodotti. I modelli presentati sono quindi discussi, sviluppati ulteriormente e - infine - approvati insieme».

Quando giocammo in celeste

Non è la prima volta che le divise disegnate per la selezione rossocrociata vengono associate all’Italia. «Cosa avremmo dovuto dire noi? Nel 1999, a Copenhagen, giocammo in celeste» sottolineava per esempio Kubilay Türkyilmaz, ricordando una scelta a dir poco bizzarra intervenuta durante le qualificazioni agli Europei del 2000. «Kubi», nella fattispecie, era stato sollecitato dal CdT per valutare le divise coniate da Puma in vista della partecipazione della Svizzera a Euro 2020. E ciò, di nuovo, poiché il design proposto sembrava richiamare il tricolore italiano. Colpa di una vetta tratteggiata in verde, che affiancata a quella rossa e al bianco sullo sfondo avrebbe potuto rammentare la bandiera italiana.

Tornando al presente e al nuovo kit per l’Europeo tedesco, quantomeno la prima maglia non dovrebbe creare eccessivi mal di pancia. Eccezion fatta, forse, per gli inserti granata nella parte inferiore della divisa. «Il design della maglia da casa - spiega l’ASF - è un omaggio alla cultura svizzera. Oltre al classico colore rosso, completato da uno scollo rotondo bianco e polsini bianchi, la grafica a fiori di stella alpina ispirata ai costumi tradizionali svizzeri coniuga il patrimonio culturale del Paese con la sua eleganza alpina».

«I tifosi? Un mondo arcaico»

A fondersi e solleticarsi a vicenda, dunque, sono simbologia e identità. E, proprio perché l’ambito è sensibile, il coinvolgimento emotivo dell’individuo-tifoso non deve sorprendere.

Dopo tutto si cerca d’imporre una simbologia dall'alto, laddove i simboli nascono dalla storia e la sedimentazione di atti e pensieri
Bruno Barba, antropologo

«D’altronde, come sosteneva Pier Paolo Pasolini, il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo» evidenzia Salvatore Bruno Barba, antropologo e coordinatore del corso di laurea «Politiche, governance e informazione dello sport» all’Università di Genova. «Lo sport in generale - precisa - è fatto di appropriazioni, di appartenenze e sacralizzazioni. Ogni azione, ogni pensiero e ogni oggetto che circonda il mondo del pallone è pregno di significati». Magliette da gioco comprese. «Che si baciano, si sventolano, si scambiano. Nei casi in questione, le federazioni calcistiche dimostrano di faticare ad accompagnare la primordialità del tifoso verso l’inevitabile e finanche necessario adattamento del prodotto a un universo capitalista, fatto di marketing e business» rileva Barba. «È come se si andasse a due velocità: da un lato l’esigenza di stare al passo con i tempi, sul piano della modernizzazione e mercantilizzazione del calcio, dall’altro una sfera che non definirei arcaica, quanto legata a tradizioni e a messaggi più puri. Il tutto in una dimensione nazionalistica». Ne discende una contraddizione di fondo, capace - per Barba - «di mettere a disagio la massa di appassionati. Dopo tutto, qui si cerca d’imporre una simbologia dall’alto, laddove invece i simboli nascono dalla storia, dalla sedimentazione di atti e pensieri».

Chi vende bene, e chi no

In Germania e Inghilterra, dicevamo, ci si azzuffa da giorni. Ed è interessante notare come la reazione dei tifosi - in quanto consumatori - differisca. Per dire: in un primo momento i fan tedeschi - e pure la Bild - si erano scagliati contro la maglietta rosa: «Non è un colore per il calcio». Oddio, l’Inter Miami ha monetizzato, e non poco, la decisione di vestire Lionel Messi proprio di rosa. La difesa del modello «pink» da parte del ct Julian Nagelsmann e di alcuni pezzi da novanta come Toni Kroos e Florian Wirtz sembra inoltre aver contribuito a cambiare la direzione del vento. Sì, perché alla fine è anche e soprattutto una questione di apparenza. Di marketing. E la strategia adottata dall’Adidas - nonostante le polemiche per la separazione dalla Mannschaft a beneficio della Nike, a partire dal 2027 - parrebbe aver centrato il bersaglio. «Non abbiamo mai venduto così tanto una seconda maglia nei primi giorni dopo la sua uscita» ha dichiarato un portavoce dell’azienda tedesca.

Ecco, in Inghilterra il trend delle vendite racconta di una accoglienza differente. Più fredda. «La maglia da trasferta sta vendendo meglio dell’altra, quando di solito sarebbe il contrario» ha osservato al Sun Regis Schulz, ai vertici di JD Sports, gigante britannico nel commercio di abbigliamento e scarpe. E la ragione risiederebbe proprio nella rivisitazione della croce di San Giorgio, che nella seconda divisa è pure presente, ma nascosta all’interno del colletto. A schierarsi contro la versione multicolore del simbolo era stato il primo ministro Rishi Sunak. «Quando si tratta delle nostre bandiere nazionali, non dovremmo metterle in discussione. E questo perché sono una fonte di orgoglio, di identità, di ciò che siamo. E sono perfette così come sono». L’antropologo Bruno Barba, in merito, si sofferma proprio sulla stilizzazione della croce. Croce che, aggiungiamo noi, non è mai stata esaltata da Puma nei design elaborati per le maglie della Svizzera. «Forse perché, al di là del suo significato religioso, siamo di fronte a una geometria perfetta. Una traccia primordiale che nella sua perfezione risulta intoccabile e non interpretabile. A differenza del colore, per esempio, che può essere sfumato». Già, e nel caso della Svizzera passare dal rosso al blu nel rispetto della tradizione.

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