Nuove sfide

Se il campione cambia sport

Valentino Rossi, leggenda delle due ruote, ha debuttato domenica nelle corse automobilistiche a pochi mesi dal suo ritiro dalla MotoGP – Da Jordan a Bolt, tanti atleti hanno provato a reinventarsi – Fausto Donadelli: «Spesso è un’esigenza per dimostrare a se stessi di valere ancora qualcosa»
Fernando Lavezzo
06.04.2022 06:00

Un mito resta un mito, poco importa se ha cambiato sport. «Ti seguirei anche se giocassi a bocce», recitava lo striscione esposto da un tifoso di Valentino Rossi alla «3 Ore» di Imola. È lì che il «Dottore», leggenda del motociclismo, ha esordito domenica in una corsa su quattro ruote valida per il campionato GTWC Europe. Per lui e i compagni del Team WRT #46 – il belga Frédéric Vervisch e lo svizzero Nico Müller – un discreto 17. posto e tanta adrenalina, nonostante un errore ai box: «C’era confusione», si è giustificato Vale, che al «pit stop» di metà gara ha sbagliato piazzola ed è andato lungo. «Sono comunque contento. E ho imparato parecchio».

Dopo l’addio alla MotoGP e la nascita, un mese fa, della primogenita Giulietta, il 43.enne di Tavullia si è lanciato in questa nuova avventura al volante di un’Audi R8. Dice di averlo fatto per passione, «che è alla base di tutto». Ma non gli manca l’ambizione: «Voglio essere forte e andare veloce in gare importanti come la 24 Ore di Spa e in futuro Le Mans. Voglio capire fin dove posso arrivare e se posso raggiungere alti livelli anche in auto».

Dal basket al baseball

Valentino Rossi non è il primo campionissimo ad avviare una nuova carriera sportiva dopo il ritiro. Il caso più celebre resta quello di Michael Jordan, l’asso della NBA, che dopo il terzo titolo con i Chicago Bulls lasciò il basket per cercare fortuna nel baseball, lo sport tanto amato da suo padre, morto pochi mesi prima. «Voglio dimostrare di poter primeggiare anche in un’altra disciplina», affermò. Nel febbraio del 1994 firmò con i Chicago White Sox, ma venne presto girato in una lega minore. All’incirca un anno più tardi, «M.J.» abbandonò la mazza e il guantone per tornare a dominare il parquet.

È durato ancora meno, nel 2018, il sogno di Usain Bolt di diventare calciatore professionista dopo l’addio all’atletica. «Voglio dimostrare di poter giocare in uno dei migliori campionati europei», disse. Il giamaicano, re dello sprint, si è dovuto accontentare di qualche provino di prestigio (anche al Borussia Dortmund) e di un paio di amichevoli con i Central Coast Mariners, team della A-League australiana.

C'era una volta il calcio

C’è chi al calcio ha dedicato una vita intera per poi coltivare altre passioni. Petr Cech, ex di Chelsea e Arsenal, continua a fare il portiere, sì, ma di hockey su ghiaccio. Dal 2019 gioca nei Guildford Phoenix, nella quarta divisione inglese. In questa stagione ha disputato 12 partite con una percentuale di parate del 93,4%. Paolo Maldini, monumento del Milan, ci ha provato con il tennis. Nel suo curriculum vanta un match nel circuito ATP, in doppio, al Challenger di Milano del 2017. In coppia con Stefano Landonio conquistò una «wild card», ma perse 6-1 6-1 al primo turno. Non ci fu una seconda volta. Un altro difensore, l’inglese Rio Ferdinand, si allenò per diventare pugile, ma gli venne negata la licenza. Fabien Barthez, portiere della Francia campione del mondo nel 1998, si è dato alle corse automobilistiche. Nel 2013 ha vinto il campionato di Gran Turismo francese. Il suo compagno di nazionale Bixente Lizarazu è cintura nera di Jiu-Jitsu. Tim Wiese, ex portiere della Germania e del Werder Brema, si è dato al wrestling nel circuito WWE, dove è conosciuto come «The Machine».

Un trauma psicologico

Potremmo continuare, ma ci fermiamo qui. Proviamo semmai a capire cosa spinga così tanti ex campioni a reinventarsi in discipline diverse da quelle che li hanno resi immortali. Prendiamola larga: «A volte il ritiro equivale a un vero e proprio trauma psicologico», ci spiega il mental coach Fausto Donadelli. «A una certa età, l’atleta raggiunge un limite fisico che non gli permette più di ottenere determinate prestazioni. In lui nasce quindi la consapevolezza di dover rinunciare a qualcosa per cui ha lottato tutta la vita».

Alcuni reagiscono bene, godendosi una pensione spesso dorata. Altri trovano soddisfazione abbracciando un nuovo ruolo nello stesso ambiente: allenatore, dirigente, agente. Per qualcuno prevale il senso di vuoto. Crisi e depressione sono dietro l’angolo. Infine ci sono i campioni di cui stiamo parlando oggi, quelli che si reinventano. Cosa li motiva? Ancora Donadelli: «Per gran parte della loro esistenza molti atleti convivono con la necessità di dimostrare a se stessi di poter ottenere determinati risultati. Per anni vivono in balia degli obiettivi, inseguono dei traguardi per sentire di valere qualcosa. Non è una condotta del tutto sana: nel momento del ritiro, infatti, possono emergere dei dubbi sulla propria identità. Ecco allora nascere l’esigenza di lanciarsi in una nuova sfida sportiva. Immagino che possa essere stata questa la leva che ha spinto Valentino Rossi a gareggiare con le auto, al di là del bisogno di impegnare il tempo».

La competizione nel DNA

Raramente chi si reinventa in una nuova disciplina ottiene risultati strabilianti, ma Valentino potrebbe avere i suoi assi nella manica: «La sensibilità ai motori e il senso della velocità non gli mancano di certo, e poi ha già fatto esperienza sulle quattro ruote», afferma Fausto Donadelli. «Nella categoria che ha scelto, inoltre, i suoi 43 anni non sono affatto un problema. Insomma, potrebbe ancora dire la sua, ma è impensabile che raggiunga i trionfi e la nomea che gli hanno regalato le moto. A parole vorrà abbassare le aspettative, ma i campioni come lui hanno la competizione nel DNA e gareggiano sempre per vincere. Senza risultati, il trauma del ritiro potrebbe amplificarsi».