Hockey

«Non penso al mio record, ma a come aiutare l'Ambrì»

Luca Cereda si appresta a diventare l'allenatore più longevo nella storia del club leventinese e spera di interrompere la striscia di otto sconfitte
Fernando Lavezzo
18.11.2022 06:00

«Un po’ di orgoglio». Niente di più. Venerdì sera Luca Cereda diventerà l’allenatore più longevo nella storia dell’Ambrì Piotta: 297 panchine. Nella sua testa, però, ci sono soprattutto la sfida con il Kloten e il desiderio di interrompere una striscia di otto sconfitte.

«Al record, onestamente, non penserò più di tanto; in questo momento non è la cosa più importante», racconta il «Cere» in vista della ripresa dopo la pausa per le nazionali. «Stiamo attraversando un periodo più difficile del solito e sarò focalizzato su ciò che posso fare per aiutare la squadra a disputare una buona partita».

In carica dal 2017, il 41.enne di Sementina non aveva mai fatto i conti con una serie negativa così lunga. Rispetto agli inizi della carriera, però, ora ha l’esperienza necessaria per gestire la situazione. «E quella non si compra da nessuna parte. Ho anche più forza per superare i momenti stressanti. In questi cinque anni ne abbiamo già vissuti tanti, ma adesso so di potermi fidare di determinati valori. Continuando a coltivarli, vieni ripagato».

Momenti difficili

Sì, in passato Luca Cereda e il suo Ambrì ne hanno passate tante. Situazioni di classifica allarmanti, infortuni a raffica, pandemia. «È impossibile stilare una graduatoria dei momenti più duri. Alla fine del primo anno, tra gara-3 e gara-4 della finale playout contro il Kloten, un incidente stradale coinvolse due nostri difensori, Plastino e Ngoy. E già ci mancava Fora. Ecco, quello fu un momento complicato. C'era in ballo l'esistenza stessa del club. Ora abbiamo davanti un altro ostacolo: veniamo da parecchie sconfitte di fila e bisogna invertire la tendenza. Come? Non concentrandoci sul risultato finale, bensì sulla nostra prestazione per sessanta minuti».

L’intervista di Chlapik

Durante la pausa i biancoblù hanno lavorato fisicamente, mentalmente e tatticamente, concedendosi anche qualche giorno libero. A far discutere, in un periodo di calma, è stata l’intervista rilasciata da Filip Chlapik a un giornalista ceco, durante la Karjala Cup. L’attaccante ha parlato delle sue difficoltà di adattamento in Leventina, raccontando alcune peculiarità del sistema di gioco di Cereda. «Ho letto solo alcuni passaggi tradotti», racconta il coach biancoblù. «Martedì mattina, quando Filip è rientrato, ne abbiamo discusso un po’. Mi ha spiegato quello che aveva detto e la cosa si è chiusa lì. Il giornalista gli ha chiesto come mai l’ex topscorer del campionato ceco faticasse così tanto in Svizzera. Filip ha risposto che si sta abituando a un nuovo sistema. Il giornalista gli ha allora chiesto quali fossero queste novità e lui le ha elencate. Tutto qui».

Tra le difficoltà, Chlapik ha evocato la difesa a uomo. «Premetto che noi non giochiamo proprio a uomo, anche se non vorrei entrare troppo nei dettagli», spiega Cereda. «La verità è che ogni sistema ha dei punti forti e delle criticità. Tra difesa a uomo e difesa a zona non ce n’è una giusta e una sbagliata. Si può avere successo con entrambe. Conta l’impegno che ci metti, perché in difesa ci sono aspetti che vanno oltre il talento: disciplina, cuore, voglia. È compito del coach convincere i giocatori, lavorarci, discuterne e applicare eventuali piccoli accorgimenti».

Scontri che fanno bene

Tra Chlapik e Cereda c’era stato un confronto in panchina, durante una partita, ma per il coach rientra tutto nella norma: «Ho già avuto scontri con altri giocatori in passato, il conflitto non è un problema. Anzi, è un’occasione per crescere. Durante una partita tutti hanno le loro emozioni: giocatori, allenatori, arbitri. Avere uno scontro è la cosa più facile, ma poi ci si parla e si va avanti. Io preferisco che qualcuno mi dica quello che pensa e che ha nel cuore. Se non so cosa passa nella testa di un mio giocatore, non potrò mai aiutarlo a fare dei passi avanti».

Il talento di imparare

Chi è stato allenato da Cereda, gli riconosce soprattutto la capacità di spingere i giocatori oltre i loro limiti. «Chi si sente arrivato ha già iniziato la discesa. Alcuni giocatori sono attaccati a certe routine e fargliele cambiare non è sempre facile. Io, però, credo che imparare ogni giorno qualcosa, a qualsiasi età, sia il vero talento di uno sportivo. E di ogni persona. Se un ragazzo va via da Ambrì migliore di quando è arrivato, sono contento. È uno dei miei obiettivi. In questi anni non siamo riusciti a farlo con tutti e questa, per noi, è sempre la sconfitta più grande».

Il buon pastore

L’intervista di Chlapik ha sollevato un altro aspetto interessante. L’Ambrì Piotta di Cereda inizia quasi sempre le partite con la quarta linea. Perché? «Perché la linea di Kostner ci mostra subito la direzione da prendere, il ritmo, le buone abitudini. Continueremo così, è una cosa in cui crediamo molto». Pensandoci bene, però, il punto fermo è proprio Kostner, visto che le ali cambiano. «È vero, lui è un giocatore intelligente, disciplinato. Il centro di solito è il cervello della linea. È il pastore che guida le sue pecore. E Diego è un buon pastore».

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