Ciclismo

Pogacar si prende un Tour che era già deciso da un pezzo

Lo sloveno trionfa alla Grande Boucle per la quarta volta nelle ultime sei edizioni - Dietro di lui chiudono Jonas Vingegaard e Florian Lipowitz, mentre la maglia verde se la aggiudica Milan - Wout van Aert ritrova la miglior versione di sé nell’ultima tappa e vince sugli Champs-Élysées
©Epa/Bernard Papon
Alex Isenburg
27.07.2025 21:32

Un atto conclusivo migliore di questo, onestamente, era difficile immaginarselo, soprattutto in considerazione dell’ultima settimana di gara. E dire che la prima parte della 112. edizione della Grande Boucle era comunque stata godibile, ma lo spettacolo è venuto meno alla lunga, quando tutto – podio compreso, complice anche l’abbandono forzato di Remco Evenepoel – era già deciso. E allora, tanto per cambiare, ad animare la corsa ci ha pensato lui, Tadej Pogacar. Che di prendersi dei rischi, in realtà, poteva tranquillamente farne a meno. A causa della pioggia, infatti, i distacchi sono stati congelati a 50,3 km dall’arrivo di Parigi e lo sloveno, così, aveva già la garanzia di incamerare il suo quarto Tour de France. Ha comunque onorato la maglia, quella gialla, rendendo la tappa sublime. E a festeggiare, sugli Champs-Élysées, sono allora stati in due: Wout van Aert, per la vittoria di giornata, e lo stesso Pogacar, per la classifica generale. Un successo inequivocabile, quello del classe 1998, capace di ottenere – sull’arco di 22 giorni – 4 vittorie e altrettanti secondi posti.

Distrutta la concorrenza

Seppur protagonista indiscusso già dalle Classiche di inizio anno, Pogacar è stato capace di triturare una concorrenza teoricamente più riposata e che rispondeva in particolare al nome di Jonas Vingegaard. Lui, che fino agli ultimi giorni di corsa – con un fare tra lo speranzoso e l’ingenuo – ha affermato che il Tour non era ancora finito. Lo era, eccome se lo era, malgrado i vari proclami e i «piani d’attacco» sbandierati dal Team Visma-Lease a Bike. Vingegaard, però, si è dimostrato più battagliero a parole che in sella. Del suo atteggiamento quasi remissivo ne ha potuto approfittare Pogacar, che in più di un’occasione – durante le frazioni di montagna – si è limitato a controllare le operazioni. L’unico attimo in cui la rivalità si è accesa per davvero si è vissuto sul Mont Ventoux. Laddove il danese ha tentato, e pure con una certa insistenza, di scardinare la resistenza di Pogacar e successivamente – quando a passare all’attacco era stato lo sloveno – aveva limitato i danni rispondendo ai colpi di pedale inferti dal leader del generale.

Vero è che la compagine del danese – malgrado abbia centrato due vittorie, firmate da Simon Yates e per l’appunto van Aert – è apparsa fragile di fronte all’onnipotenza di «Pogi». Non può bastare, e non deve ingannare, il primo posto nella classifica a squadre. Quella corazzata che aveva accompagnato in maniera trionfale i successi del danese, nel 2022 e 2023, è ormai solo un ricordo sbiadito. Wout van Aert, quantomeno, si è riscattato nel migliore dei modi durante la frazione conclusasi a Parigi, ma perfino il suo apporto – in termini di gregario di lusso per il capitano – è stato comunque inferiore al solito. Al di là dello stato di forma dei propri uomini, però, la stessa squadra olandese ha lasciato a desiderare, attuando svariate tattiche a dir poco discutibili e tutt’altro che premianti.

Dominio che pare senza fine

Lo sguardo, inevitabilmente, non può che essere rivolto al futuro. A cominciare da quello prossimo, perché tuttora non è chiaro se il (non) duello tra Pogacar e Vingegaard si riproporrà alla Vuelta, prevista dal 23 agosto al 14 settembre. Il danese ha già avuto modo di confermare la sua presenza, lo sloveno no. E poi, cosa ne sarà dei prossimi Tour de France? Questa è divenuta la quinta edizione consecutiva in cui a festeggiare è stata la solita accoppiata: dal 2020, ininterrottamente, nell’albo d’oro della manifestazione compare il nome dell’uno o dell’altro. I distacchi sono nuovamente stati siderali: 4’24’’ tra i primi due e ulteriori 5’45’’ tra Vingegaard e Lipowitz. Fra qualche anno potrebbe diventare quest’ultimo – oppure Onley, con il quale ha combattuto per il terzo posto finale – a porre fine a questa egemonia? Sembra inverosimile, malgrado loro due siano considerati tra i giovani più promettenti. Non vanno dimenticati, però, Del Toro e Ayuso. Ma c’è un piccolo, grande, dettaglio: entrambi corrono – come lo stesso Pogacar – per l’UAE Team Emirates XRG. Finché vi resteranno, quindi, è improbabile vederli dare del filo da torcere al leader indiscusso della squadra e del ciclismo in generale.

Soltanto 26.enne, il fenomenale corridore di Komenda sta già scrivendo pagine indelebili di questo sport e collocarlo tra i più grandi interpreti della disciplina è tutt’altro che avventato. I numeri – nel confronto diretto con Eddy Merckx, il più vincente di sempre – per ora non lo premiano e difficilmente, considerando quelle che sono state le sue ultime dichiarazioni (vedi sotto), mai lo faranno. Tanto che, palmarès a confronto, gli unici appuntamenti di prestigio in cui Pogacar prevale sono il Giro di Lombardia (4 successi a 2) e la Tirreno-Adriatico (mai vinta da Merckx, mentre lo sloveno si è imposto in 2 circostanze). Poco importa, a dire, la verità. Bisogna goderselo, un talento del genere: fintantoché lui corre, lo spettacolo è garantito.

«Dopo Los Angeles potrei pensare al ritiro»

Invincibile sì, o quasi. Inscalfibile no. Qualche segno di cedimento, qua e là, Tadej Pogacar lo aveva mostrato, nel corso degli ultimi giorni. E ieri lo ha confermato: «Nell’ultima tappa non avevo l’energia necessaria per motivarmi a correre – ha ammesso – ma dal momento in cui i tempi sono stati neutralizzati ho gareggiato in maniera più rilassata». Per la vittoria, però, non gli è bastato. «Ci ho provato, ma van Aert era incredibilmente veloce. È stata una gara bellissima e ha vinto il più forte».

Il più forte, sull’arco delle tre durissime settimane, è invece stato lui. «Sono senza parole per aver vinto quattro volte il Tour de France e per essere salito sul podio sei volte di fila. È stato fondamentale il modo in cui abbiamo corso come squadra: c’era un’ottima atmosfera tra di noi. Nella seconda settimana era importante accumulare un ampio vantaggio per poter affrontare la terza settimana con maggiore serenità». E per quanto riguarda il futuro? «Non penso di ritirarmi subito, ma sinceramente non mi vedo continuare ancora per molto tempo. Le Olimpiadi di Los Angeles, nel 2028, saranno un mio obiettivo. È questo ciò che mi motiva da qui ai prossimi tre anni. Poi – ha concluso – da quel momento probabilmente comincerò a pensare al mio ritiro. Vedremo».

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