“Se non mi ponessi traguardi sarei morto”

Chiacchierata con l'ex sciatore svizzero Bernhard Russi a pochi giorni dall'inizio della Coppa del mondo
Bernhard Russi.
Giona Carcano
25.10.2018 06:00

LUGANO - Definire con una sola parola Bernhard Russi è impossibile. Anzi, sarebbe riduttivo. Sciatore, leggenda, scalatore, uomo-immagine, persona gentile e di cuore, imprenditore, commentatore, architetto di piste, nonno. Lo svizzero, mito dello sci alpino, ha vissuto mille vite. Una più bella dell'altra e tutte di successo. Lo abbiamo incontrato al Canvetto di Lugano, dove martedì ha ricevuto il premio «Ivan Francescato, una vita per lo sport» da parte dell'Associazione sportiva Svizzera italiana Rugby Sevens.

Signor Russi, iniziamo dal Ticino. Per uno nato e cresciuto ad Andermatt il nostro cantone è una specie di seconda casa?"Sì, ho sempre avuto un rapporto molto stretto – oserei dire privilegiato – con questa stupenda regione. Ogni volta che vengo a Lugano, ad esempio, avverto qualcosa di particolare. Quando passeggio a Zurigo le persone mi riconoscono, talvolta abbozzano un cenno di saluto. Ecco, qui da voi invece le persone mi parlano. Cosa che non avviene in nessun altro posto. In Ticino mi capita molto spesso di essere invitato a bere un caffè da perfetti sconosciuti. Potrei dire che il mio cuore è anche un po' vostro".

Lei è anche un grande appassionato di hockey. Segue ancora l'Ambrì?"Sì. Non spessissimo, devo essere sincero, eppure mi capita di assistere a quattro o cinque partite durante la stagione".

Poco prima di compiere 70 anni ha lasciato il ruolo di commentatore tecnico di sci alpino alla SFR. Le manca questa attività? Tre decenni immersi in questo ambito non si dimenticano dall'oggi al domani."Assolutamente no. Non mi manca per nulla. Ma non perché quando ho deciso di smettere fossi stufo, esausto, spremuto. Al contrario: credo di aver posato cuffie e microfono al momento giusto, non un secondo in meno, non un secondo di troppo. Era arrivato il mio tempo, semplicemente".

Adesso è un semplice spettatore. Che effetto fa essere passato dall'altra parte?"Beh, non ho mai visto così tante gare come lo scorso inverno. E mi fa molto piacere avere del tempo libero per seguire lo sci in televisione. Ora mi gusto ogni momento, ogni linea, ogni pendio. Durante i lunghi anni in cabina di commento non potevo permettermi di notare certe sfumature di una gara. Dovevo essere sempre attento, concentrato, ricordarmi i numeri di partenza, i tempi intermedi, le classifiche. Oggi invece posso davvero assaggiare minuto dopo minuto una discesa. Ed è una cosa che mi piace da morire".

Nel corso della sua vita ha fatto mille cose. Sportivo ai massimi livelli, imprenditore, uomo immagine, alpinista, commentatore. Dove trova tutta questa energia per continuare a inseguire nuovi traguardi?"Credo che l'uomo è fatto per progredire, per andare avanti, per individuare e abbattere i limiti. Non tutti sono così fortunati da voler andare oltre la routine quotidiana. Ecco, in questo senso essere stato uno sportivo di buon livello mi ha sicuramente aiutato a diventare una persona curiosa, sempre alla ricerca di novità e sfide. Io sento di non essere ancora pronto a smettere di sognare. Voglio ancora rendere speciale la mia esistenza. Il pettorale che indossavo tanti anni fa quando sciavo ce l'ho ancora cucito addosso. Anche se biologicamente sto invecchiando, trovo giusto non smettere di cercare il mio limite. E il mio, di limite, è quasi sempre irrangiungibile. Ed è questo lo stimolo, l'origine di tutta l'energia".

Anche a 70 anni?"Se io dicessi ''ho 70 anni, non posso più fare certe cose'' sarei morto. Sarebbe l'inizio della fine".

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