Verso Parigi 2024

Stretto in una tenaglia, per ora il CIO non arretra

Il Comitato olimpico internazionale ha ribadito la sua posizione e le sue condizioni per l’ammissione degli atleti russi e bielorussi – Kiev continua a puntare all’esclusione, per Mosca la discriminazione rimane – Nicola Sbetti: «A prevalere, in questa fase, è un corretto pragmatismo»
© Keystone/Bott
Massimo Solari
15.07.2023 06:00

A poco più di anno dall’accensione della fiamma olimpica, non si spegne la diatriba circa la partecipazione o meno degli atleti russi e bielorussi a Parigi. Proprio giovedì, alla vigilia della festa nazionale francese, il Comitato olimpico internazionale ha voluto aggiornare il dossier. E, con decisione, difendere i principi adottati lo scorso marzo, quando erano state emanate le raccomandazioni all’indirizzo delle federazioni mondiali. La situazione rimane intricata. Lo stesso CIO non nasconde di trovarsi al centro di una tenaglia in mano alla politica. Da un lato le pressioni filo-ucraine, dall’altro quelle esercitate da Mosca e i suoi seguaci. «Posizioni inconciliabili» sottolinea il CIO, confermando la contrarietà - di una e l’altra parte e per ragioni opposte - in merito alla via intrapresa.

Un compromesso efficace?

Il 28 marzo, val la pena ricordarlo, erano state poste le condizioni per la presenza degli sportivi russi e bielorussi alle competizioni internazionali: 1) bandiera neutra e niente inno; 2) divieto di partecipazione per le squadre; 3) nessun sostegno attivo alla guerra perpetrata in Ucraina; 3) alcun legame contrattuale con l’esercito russo o le agenzie di sicurezza nazionale del Paese. Il tutto a margine delle sanzioni imposte nel febbraio del 2022, a fronte dello scoppio della guerra, e che si sono tradotte nell’esclusione su scala globale di atleti e club russi. Ebbene, leggiamo sul portale del CIO, «il fatto che i due fronti alle prese col conflitto non siano soddisfatte potrebbe suggerire che il CIO ha trovato un corretto compromesso in grado di permettere a tutte le parti di fare un passo avanti, contribuendo a un’intesa e alla pace».

Al proposito, da Losanna viene sottolineato l’appoggio della maggioranza della comunità internazionale, quello dei dirigenti del G7 e dell’ONU, così come la presa di posizione del Movimento dei non allineati. Oltre alle federazioni che hanno messo in pratica senza eccessivi scossoni le raccomandazioni.

Quanti paradossi

Il CIO, al contrario, non manca di esprimere il proprio disappunto verso le autorità politiche e sportive di Kiev. «È difficile comprendere perché il Governo ucraino privi i suoi atleti dell’opportunità di qualificarsi ai Giochi di Parigi 2024 e di rendere così fiero il popolo ucraino». Il riferimento è ad alcune recenti competizioni. Agli atleti ucraini, per esempio, è stato vietato di prendere parte agli ultimi Mondiali di judo e taekwondo, mentre a parteciparvi - sotto bandiera neutra - sono stati russi e bielorussi. «In altri termini, gli atleti ucraini sono attualmente sanzionati dal proprio Governo per una guerra scatenata dai governi russo e bielorusso». Un paradosso, già. Stando al Comitato olimpico internazionale e a chi ne condivide i principi, invece, «non spetta ai governi stabilire quale atleta possa partecipare a quale competizione. Sarebbe la fine dello sport mondiale come lo conosciamo». Di più: «È desolante che questi governi non affrontino la questione dei “due pesi, due misure” (...). Non abbiamo ricevuto il minino commento da parte loro sulle posizioni assunte a proposito della partecipazione di atleti i cui paesi sono implicati nelle altre 70 guerre, conflitti armati e crisi in corso a livello mondiale». Altro paradosso.

A contare, per il CIO, è il mantenimento di uno spazio con cui legittimare l’autonomia relativa dello sport
Nicola Sbetti, storico dello sport e docente all'Università di Bologna

Neutralità mascherata

«Il CIO mantiene dritta la barra, facendo però i conti con la realtà. A Losanna, d’altronde, si sa benissimo che la politica internazionale è più potente di qualsiasi decisione presa dal movimento». La premessa è di Nicola Sbetti, docente di Storia dello sport all’Università di Bologna. «Il principio dell’apolicità difeso dal CIO, per quanto ipocrita, è comunque funzionale a conservare piccoli margini di manovra. E ciò affinché lo sport non venga paralizzato a ogni conflitto». A seconda delle discipline, i dettami olimpici godono però un grado di accoglienza differente. «I rapporti di forza – indica Sbetti - variano all’interno di ogni federazione. In alcune di queste, non bisogna dimenticarlo, la Russia era particolarmente influente. E, indirettamente, potrebbe continuare a farlo». Nei confronti di Mosca, a dispetto della presunta neutralità olimpica, la mano è ad ogni modo stata pesante. «L’invasione russa in Ucraina – osserva Sbetti - ha cozzato con il principio della tregua olimpica e ha così permesso al CIO di prendere una decisione inevitabilmente politica: sanzionare le federazioni russa e bielorussa. Ma è la cornice giuridica in cui si è agito che è e pretende di essere apolitica. Della serie: “Noi vi squalifichiamo dal momento che avete violato il nostro regolamento e la tregua olimpica. Non perché avete fatto la guerra”». A costituire la novità, o la parziale svolta, sono state le direttive di marzo. Un’apertura condizionata, nel nome della non discriminazione in base al passaporto. «Alla luce dei diversi blocchi applicati agli atleti russi e bielorussi, i mancati inviti dei rispettivi comitati – attesi per il 26 luglio – rappresentano invece una non notizia. Le raccomandazioni della scorsa primavera rimangono e quindi non si fa altro che dare loro seguito».

Il caso di Pyeongchang

Per Nicola Sbetti, il CIO di Thomas Bach ha un «atteggiamento pragmatico e flessibile. Poiché non preclude possibili aperture e riavvicinamenti futuri. Mi viene in mente il caso della Corea del Nord, a un passo dal boicottaggio dei Giochi invernali del 2018 a Pyeongchang, ma poi – complice l’avvento del nuovo presidente sudcoreano – iscritta con una ventina di atleti e addirittura inclusa nella selezione unificata di hockey femminile. Il CIO, va da sé, ha approfittato di questa finestra di dialogo per cavalcare la propria retorica di pace. Poco importa lo stravolgimento dei regolamenti dell’ultimo minuto. A contare è il mantenimento di uno spazio grazie al quale legittimare l’autonomia relativa dello sport».

Aspettando Macron

Kiev, però, una condanna politica del CIO l’auspicherebbe. Eccome. «Ma ciò non è possibile» rileva Sbetti. «Alla prossima guerra cosa accadrebbe? Un’altra condanna e, di riflesso, una nuova paralisi delle competizioni? Il CIO non può permettersi di schierarsi e mettere così a repentaglio il proprio business». Okay. L’Ucraina, così, non sembra però avere altra scelta. «In realtà, almeno a mio avviso, un’alternativa all’autoboicottaggio e al suicidio sportivo esiste» afferma Sbetti. Per poi precisare: «Dal momento che fra le condizioni poste dal CIO figura l’obbligo di non sostenere o aver sostenuto attivamente l’operazione russa, Kiev potrebbe indagare a fondo ogni dichiarazione, ogni messaggio pubblico degli atleti decisi a prendere parte ai Giochi parigini. Nelle ultime settimane, proprio in tal senso, sono già emerse delle criticità fra alcuni sportivi che hanno superato le prime scremature dei percorsi di qualificazione».

Che poi, la competizione pura fra un atleta ucraino e uno russo potrebbe persino contribuire al dibattito. Alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica. «Il CIO lo ha messo in conto e credo preferisca una stretta di mano mancata al boicottaggio totale di una o l’altra disciplina» osserva Sbetti. Intanto, attesissima, non è ancora giunta la presa di posizione sul tema di Emmanuel Macron. Il presidente francese l’aveva promessa per l’estate. «Macron conosce sicuramente i dettagli dei contratti in essere tra Parigi e il CIO e non ho motivo di credere che la sua posizione non verrà concordata con la controparte» rileva lo storico dell’Università di Bologna. «Ribadisco: qui si tratta di evitare a tutti i costi strappi e precedenti pericolosi. A maggior ragione alla luce di un Comitato olimpico internazionale che, checché se ne dica, ha abbracciato la visione filo-occidentale».

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