L'intervista

A tu per tu con la leggenda Roy Emerson

«Fra le città che ho nel cuore ci sono Gstaad e Lugano» afferma il vecchio campione australiano, cui è stato dedicato il campo centrale nell'Oberland bernese
Raffaele Soldati
21.07.2022 06:00

 Quando si parla di leggende viventi, a Gstaad si pensa subito a Roy Stanley Emerson. A lui è stato dedicato il campo principale degli Swiss Open. Un torneo che in carriera ha vinto cinque volte, l’ultima nel 1969. Un grande campione degli anni Sessanta e Settanta, uno capace di firmare ben 28 titoli del Grande Slam, 12 in singolare.

Dicono che il mitico australiano tenga casa nell’Oberland bernese. Lui sorride e risponde in modo amabile: «Mi piacerebbe davvero vivere qui. In verità ci vengo un paio di mesi all’anno, ma sono ospitato al Palace Hotel. Diciamo che praticamente questo albergo lussuoso è quasi diventata la mia seconda casa. La Svizzera è un gran bel Paese. Ci sono tanti posti meravigliosi».

Accenniamo brevemente a Lugano e ai suoi dintorni, che Emerson dice di conoscere abbastanza bene. «Dobbiamo tornare indietro di molto più di mezzo secolo - dice - . Erano gli anni in cui facevo parte di un gruppo di australiani, «aussies», che giravano il mondo in uno sport diverso rispetto a quello che conosciamo oggi. I grandi nomi, oltre a Rod Laver, erano Ken Rosewall, Lew Hoad, Mervyn Rose, Rex Hartwig e Neale Fraser. Questi ultimi facevano parte del team di Coppa Davis, che aveva accolto anche due 17.enni, il sottoscritto e Ashley Cooper. Si girava per l’Europa. Spesso battevamo gli Stati Uniti. Avevamo soprattutto una grande fortuna, potevamo scoprire regioni incantevoli. Ecco, Lugano era una di queste. Al TC Lido io e Fraser battemmo due forti argentini. Quella partita non la dimenticherò mai. C’era il tennis, ma anche dell’altro. Una vita meno frenetica rispetto a quella dei tennisti di oggi».

Emerson sottolinea che era rimasto affascinato in particolare da Morcote: «Mi ero innamorato di quel paesino affacciato sul lago. Ci sono tornato anche con mia moglie, Joy, che oggi segue il tennis moderno con molta più attenzione e interesse di me».

Una passione per Federer

A proposito dei campioni di oggi, qual è, se c’è, il preferito di Roy Emerson? «Roger Federer e Rafael Nadal sono quelli che ogni organizzatore vorrebbe avere sempre in tabellone. Anche più di Novak Djokovic, nuovamente vincitore a Wimbledon. Io, francamente, prediligo Roger. È uno dei  pochissimi che sarebbe in grado ancora oggi di giocare con le vecchie racchette in legno in modo più che dignitoso. So che il basilese vorrebbe tornare a giocare dopo una lunga pausa. Ha oltre quarant’anni. Non sono pochi, nonostante la sua grande passione per il gioco. Però ci sono sempre delle eccezioni».

E qual è l’eccezione alla quale Emerson fa riferimento? «Penso soprattutto a un mio amico australiano, Ken Rosewall. Io in singolare vinsi due volte a Wimbledon. Lui giocò quattro finali e uscì sempre sconfitto. Nella prima, nel 1954, si arrese al ceco Jaroslav Drobny, che d’inverno veniva a Gstaad e giocava a hockey su ghiaccio. Un vero fenomeno. Nel 1974, vent’anni dopo, fu superato da Jimmy Connors. Rosewall si impose a Gstaad nel 1975 a 40 anni. Mi pare che detenga ancora il record del vincitore più anziano. Questi sono fatti curiosi, che determinano la longevità sportiva di campioni illustri. Oggi spicca su tutti Nadal con i suoi numerosi titoli (14, ndr) conquistati al Roland Garros».

Mio padre aveva una fattoria nel Queensland. Voleva che seguissi le sue orme e che mi occupassi di mungere le mucche e di accudire il bestiame. L’ho fatto, ma per poco

Tutto iniziò in una fattoria

Come è nata la passione di Roy Emerson per il tennis? «Mio padre aveva una fattoria nel Queensland. Voleva che seguissi le sue orme e che mi occupassi di mungere le mucche e di accudire il bestiame. L’ho fatto, ma per poco. Grazie al tennis, iniziai presto a girare il mondo. Nella nostra proprietà costruimmo dei campi rudimentali. È lì che tutto è iniziato. Come ho detto, a 17 anni, ero stato convocato come riserva del gruppo allargato della Davis. Si viaggiava di continuo. Ma ci si divertiva anche. Dopo i tornei, spesso ci esibivamo cantando. Io venivo chiamato in causa quando era il momento di concludere le serate. Capitava spesso anche a Gstaad».

Nella Hall of Fame

Emerson, che da anni vive a Newport Beach (California), vinse il suo ultimo torneo nell’Oberland nel 1969. Dal 1982 fa parte dell’International Tennis Hall of Fame. «Quando ero stato inserito, quarant’anni fa, mi ero anche commosso. Potrei dire che dopo il Palace di Gstaad ho trovato una terza casa. Stavolta in un museo di un’altra Newport, a Rhode Island, dall’altra parte degli Stati Uniti».

A proposito di Hall of Fame, Emerson si commuove quando gli mostriamo le immagini di Gianni Clerici, scomparso un giorno dopo la finale dell’ultimo Roland Garros, come lui inserito tra gli immortali. «So che era un giornalista geniale, uno storico del gioco, autore di libri tradotti in tutto il mondo. Io però conoscevo meglio Nicola Pietrangeli, che prima di Gianni aveva trovato posto in questo club».