Jannik Sinner e il paradosso che alimenta i sospetti
Aleggia una strana atmosfera alla vigilia dell’US Open, ultimo appuntamento stagionale del Grande Slam. Un’atmosfera ricca di parole non dette, di concetti espressi solo a metà, di accuse più o meno velate. Di dubbi che fanno a pugni con la convinta autodifesa di Jannik Sinner, scagionato (per ora) dall’accusa di doping dopo due controlli positivi al clostebol, uno steroide anabolizzante. Il caso è ormai arcinoto e al momento bisogna attenersi alla sentenza che ha pienamente assolto l’italiano numero 1 della classifica mondiale. Il tennista di San Candido cerca di ritrovare la serenità e si esprime come se la faccenda sia ormai solo un brutto ricordo. Dimentica – o finge di dimenticare – che l’Agenzia mondiale antidoping e/o la Nado italiana potrebbero ricorrere al TAS. E che i massimi esperti internazionali sono tutt’altro che d’accordo tra di loro sulla possibilità di una contaminazione involontaria figlia di un massaggio galeotto. «C’è puzza di bruciato», ha affermato Fritz Sörgel, farmacologo tedesco esperto di doping. Pochi giorni fa, proprio sul nostro giornale, Martial Saugy – il professore romando considerato come uno dei massimi specialisti in materia – aveva invece di fatto sposato le tesi difensive di Sinner. C’è confusione, insomma. Troppa confusione.
Se da un lato non rimane che attendere gli eventuali sviluppi della vicenda, dall’altro non ci si può non interrogare sulla nebulosa procedura che ha portato alla luce la positività dell’italiano. Per una volta allora ha ragione lui: no, non Sinner, ma Novak Djokovic, il quale ha perfettamente centrato il problema, lamentando una mancanza di coerenza da parte delle autorità antidoping. Il serbo – che a New York va a caccia del suo 25. “major” – ha di fatto dato ragione a quegli atleti che si interrogano, per ora senza risposta, su un presunto trattamento speciale ricevuto da Sinner. Indipendentemente dall’innocenza o da una colpevolezza tutta di dimostrare dell’azzurro, il caso rischia di assumere contorni paradossali. Il mondo del tennis e in particolare tutte le autorità chiamate a combattere la piaga del doping, rischiano di farsi del male da soli. Alimentando così tra l’altro i dubbi e i sospetti nei confronti di Sinner. Qualcosa, in altre parole, non quadra. A cominciare dalla mancata sospensione che avrebbe dovuto colpire il tennista di San Candido al momento della scoperta della sua positività e in attesa di una sentenza. Al contrario di ciò che accade solitamente in casi come questo – non solo nel tennis – Sinner ha potuto continuare a giocare grazie all’effetto sospensivo pronunciato da un non meglio precisato tribunale indipendente. Che ha di fatto sconfessato una regola di base nella lotta al doping senza che nessuno si opponga. Non convince nemmeno la decisione di privare l’italiano dei punti ATP e del montepremi conquistati a Indian Wells, il torneo incriminato. Una sorta di compromesso che dovrebbe mettere d’accordo tutti ma che, al contrario, dà voce a chi sostiene che non possa esserci fumo senza arrosto.
E se tutto ciò fosse accaduto a un Rafael Nadal – uno che ha dovuto convivere per tutta la carriera con accuse nemmeno tanto velate di doping – o allo stesso Djokovic? Sinner oggi può ancora contare sul suo volto da bravo ragazzo, su un’indiscutibile sportività nei confronti dei suoi avversari, su un comportamento in campo mai sopra le righe. Rappresenta l’estetica che il tennis vuole contrapporre all’irruenza di Alcaraz per dare vita a una nuova rivalità dopo il ritiro di Federer, il declino di Nadal e quello futuro di Nole. Sinner gode pure di un’incondizionata protezione mediatica di un’Italia che si alimenta con entusiasmo delle gesta sportive del suo nuovo idolo. Ma che sotto sotto non ha dimenticato una presunta mancanza di attaccamento ai valori della Nazione per le rinunce agli impegni alla Coppa Davis o per il forfait alle Olimpiadi.
Giusto o sbagliato che sia, il caso in cui è rimasto coinvolto rischia insomma di gettare ombre sulla reputazione di Sinner e, di riflesso, su un tennis che non ha fin qui saputo gestire la vicenda come avrebbe dovuto.