L'addio di Federer

Roger e Rafa, l'uno senza l'altro semplicemente non hanno senso

Federer e Nadal erano dalla stessa parte del campo questa sera per l'addio del basilese, ma il loro passato racconta di splendide sfide, tra lacrime e ridarella, tra vittorie e sconfitte
Paolo Galli
23.09.2022 23:37

C’è una scenetta, molto nota, in cui Roger Federer ride di Rafa Nadal. Ride, probabilmente, come in altre occasioni, per il suo inglese spagnoleggiante. E poi ridono assieme. Era il 2010. Roger ha poi spiegato che sono andati avanti così, con la ridarella, per oltre venti minuti, in una stanzina piccola, buia e caldissima. Il video - un messaggio per lanciare il loro incontro di beneficenza in favore dell’Africa, che si sarebbe poi svolto a Zurigo - avrebbe dovuto essere realizzato velocemente perché Rafa aveva pochissimo tempo. «Abbiamo cominciato a parlare, l’ho guardato, lui mi ha guardato, e nel momento in cui l’ha fatto non sono più riuscito a parlare».

Né buoni né cattivi

Il 2010 si era chiuso con Nadal al primo posto della classifica ATP e con Federer al secondo. Erano ancora i due tennisti da battere, con Novak Djokovic - la novità - a inseguirli. Eppure in quella scenetta, quella del «fou rire», non risultavano tensioni, neppure una traccia. Amici? Boh. Forse è troppo, quando fai parte di un mondo come quello, quando sei il centro di tutto, trattato da re, quando non c’è davvero spazio per la condivisione. Quando vuoi vincere sempre, essere il migliore, non essere sopraffatto mai, non dire mai «addio, ora è il tuo turno». Nel 2010 i due hanno giocato le partite numero 21 e numero 22 della loro rivalità. Erano quindi a metà strada, a metà di un percorso che li ha visti affrontarsi in 40 occasioni, da Miami 2004 a Wimbledon 2019. Quindici anni di sfide, molte delle quali destinate a rimanere nella storia di questo sport. Il tennis. Il tennis che è Roger Federer e che è Rafa Nadal. Che è la storia del biondo contro il moro, del buono contro il cattivo - certo, dipende dai punti di vista, dalle simpatie -, della classe pura contro la forza bruta. Insomma, tutta una somma di stereotipi, che hanno accompagnato entrambi a lungo. Sì, stereotipi. Perché non ci sono né buoni né cattivi, in questa storia. E non c’è forza bruta. E dall’altra parte non c’è un incoltivato dono dal cielo. C’è la fortuna di essersi trovati, di aver fatto parte della stessa epoca. Di essere finiti sulla stessa fotografia. Una volta, e poi ancora, e ancora. Uno con la coppa, l’altro con il piatto, uno con il sorriso, l’altro con educata tristezza. A turno.

A volte i singoli non bastano

Hanno riso, e hanno pianto. Lo hanno fatto anche questa sera, dapprima divertiti a osservare gli altri giocare, poi sicuramente sovrastati dall’emozione di un attimo che sarà eterno. Di una partita che non era che un’amichevole, la loro amichevole, il risultato non tanto della loro supposta amicizia - a cui crediamo -, quanto della loro rivalità. «Caro Roger, mio amico e rivale». Iniziava così il messaggio di Rafa di risposta alla notizia dell’addio di Roger, giovedì scorso. «Vorrei che questo giorno non fosse mai arrivato». Una sorta di «speravo de morì prima» di tottiana memoria. Uno senza l’altro, d’altronde, è una cosa che non ha senso. È una rivalità come questa a essere stata e a essere sport. A volte i singoli non bastano. Senza Nadal, Federer avrebbe vinto chissà quanti altri Slam. Il tifoso che c’è in noi allora impreca, e dice che, vabbe’, al diavolo Nadal, che sarebbe stato meglio vincere. Ma non sarebbe stata la stessa cosa. Nadal, per noi che stiamo dalla parte di Federer, è stato il perfetto antieroe, la nemesi. Abbiamo odiato i suoi tic, il suo tennis, il suo modo di stare e occupare il campo, la sua dannata inarrivabile cazzimma. Più di ogni altra cosa abbiamo odiato le sue vittorie. Troppe, contro Federer.

I brividi, ancora oggi

Pian piano però, con lo sfiorire di Roger, nelle sue lunghe pause, abbiamo iniziato a stare dalla parte di Rafa, consci finalmente della sua grandezza e della sua importanza nella storia del basilese e, di rimando, nella nostra storia di tifosi. Quando Nadal vinse a Wimbledon 2008 - 9-7 al quinto, all’imbrunire -, ci arrabbiammo. E nel 2009, a Melbourne, piangemmo con Federer. Ma nel 2017, sempre a Melbourne, ci emozionammo al punto che ancora ci vengono i brividi. Federer aveva già 36 anni, arrivava dal nulla, da nessun posto. E vinse in cinque set. L’ultimo incontro, a Wimbledon, nel 2019, fu la splendida premessa a uno dei momenti più duri - il più duro -, la sconfitta in finale contro Djokovic. Potremmo proseguire. Federer che batte Nadal. Nadal che batte Federer. Poi, sul podio, quei discorsi, i soliti attestati di stima, soliti ma mai banali, nel loro caso. Amicizia? Onestamente chissenefrega, daremmo tutto per rivederli ancora una volta sul campo. Non come oggi, a scherzare dalla stessa parte, ma uno contro l’altro. Questo ha voluto, per loro, a lungo, il destino. Per loro, e per noi.

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