L’intervista

Westher Molteni: «Ho scelto Massagno, ma voglio bene al Cedro»

L’ala ticinese a ruota libera, dal ritorno in Ticino alla scomparsa di Kobe Bryant
Westher Molteni. © Keystone/Laurent Gilliéron
Marcello Pelizzari
29.01.2020 19:41

Westher Molteni, 33 anni ad aprile, è tornato a casa. Accordo fino al termine della stagione con la Spinelli Massagno e tanta, tantissima voglia di riabbracciare i compagni di un tempo, come i fratelli Mladjan. «Mi sono proposto, tutto si è risolto in pochissimi giorni» dice l’ala ticinese. «In collina ritroverò tanti amici, gente con cui ho vinto».

«Wes», partiamo dall’attualità: perché lasciare Vevey a metà campionato?

«La mia, diciamo, non è stata una scelta voluta. Non così, a stagione in corso. Il problema? C’erano delle situazioni un po’ particolari a Vevey. Però non mi spingo oltre: non voglio parlare male del mio vecchio club. Semplicemente, la mia decisione era obbligata».

Il Ticino era l’unica opzione?

«La mia idea, una volta deciso di partire, era di riabbracciare Massagno o Lugano. Così ho contattato sia l’uno sia l’altro club, dicendo che ero libero da ogni vincolo con Vevey e che avrei valutato le loro offerte. Sono stato trasparente».

Alessandro Cedraschi, sui social, sembrava un po’ stizzito: come mai Molteni non ha firmato con i Tigers?

«Ho parlato anche con loro, lo ribadisco. E con il presidente Cedraschi c’è un bel rapporto. Lo stesso dicasi per Gubitosa, coach di Massagno. Dovevo scegliere in fretta, visto che la finestra per i trasferimenti stava per chiudersi. Ho optato per la SAM perché, a mio modo di vedere, c’è un roster che sento più mio. In collina ritroverò moltissimi amici, ragazzi con cui ho già giocato e vinto in passato. Ai Tigers non avevo tutte queste conoscenze. Non così profonde, ecco».

Questa SAM, fra l’altro, ha ambizioni importanti. Con un «Wes» in più dove può arrivare?

«Ho sempre girato tantissimi complimenti a Gubitosa. E le ambizioni di Massagno, oggi, sono crescenti. All’inizio del campionato la vedevo fra le migliori tre: ora è quarta. Ho già giocato e vinto, in passato, con i miei nuovi compagni. Io porto uno spirito positivo, ma lo porto in uno spogliatoio che era già messo molto bene. Il mio obiettivo è aiutare, dare una mano. E sarebbe illogico non pensare alla Coppa: se portassimo il trofeo a Nosedo sarebbe pazzesco, non è mai successo nella storia di questo club. Sono qui perché voglio vincere, riassumendo. Ho un accordo fino al termine del campionato».

Parentesi: come va il progetto del 3x3?

«Ho scelto la Spinelli anche per avere più tempo da dedicare al 3x3. La mia idea? Portare questa disciplina in tutta la Svizzera, con un campionato e diversi eventi. Massagno mi darà una certa flessibilità. Le Olimpiadi di Tokyo per contro sono sfumate. Peccato, ma era anche un discorso di ranking: quello elvetico era basso. In Giappone, almeno, ci siamo andati anche se per un altro motivo: la finale del World Tour 3x3. È stata un’esperienza bellissima».

Torniamo alla Spinelli Massagno: come l’ha vista da avversario Molteni?

«A bocce ferme immaginavo una SAM ai vertici, poi non è andata proprio così ma quel quarto posto non è da buttare, assolutamente. Da avversario, forse, ho notato che mancava un po’ di incisività. All’inizio anche ritmo. Ma non era affatto evidente, considerando da un lato la sfortuna e dall’altro gli infortuni. Contro Vevey, ad esempio, la Spinelli è stata piuttosto sfigata. Il fatto che la SAM sia comunque in alto in classifica e che ci sia ancora del potenziale inespresso mi fa ben sperare: significa che in collina possiamo raggiungere davvero grandi traguardi».

Una leggenda della pallacanestro e dello sport in generale, Kobe Bryant, ci ha salutati anzitempo vittima di un terribile incidente di elicottero. Cosa significa, per un cestista, perdere un riferimento simile?

«Lui era tutto. Soprattutto per me, che indosso il numero 8 in suo onore. Mi sono affacciato al basket nel momento in cui Kobe stava emergendo. Era il nuovo Michael Jordan e tutti ci ispiravamo a lui. Un mito: in NBA ad appena diciotto anni. E dava già spettacolo. Lui e il mio altro idolo, Shaquille O’Neal, formavano un duo meraviglioso. Se oggi tifo Los Angeles Lakers è perché c’era Bryant. Di lui conserverò la mentalità, dentro e fuori dal campo. È stata una tragedia. Un’assurda tragedia».

La prima reazione alla notizia?

«Non volevo crederci, tant’è che quando l’ho vista sul mio smartphone ho pensato ad una bufala. Non può essere, mi dicevo. Non lui, è impossibile. E invece. L’incidente, il fatto che sua figlia fosse con lui: è stato devastante. Fa male, fa malissimo».