Hockey

Zaccheo Dotti: «I miei traguardi in biancoblù, sulle orme di nonno Giordano»

Domenica scorsa a Zugo il difensore ticinese ha giocato la sua partita numero 106 con l'Ambrì Piotta, una in più di suo nonno Giordano Coppa: «Quando l'ho saputo, mi sono emozionato»
Fernando Lavezzo
07.10.2022 06:00

Domenica a Zugo, Zaccheo Dotti ha disputato la partita numero 106 con la maglia dell’Ambrì Piotta. Una in più di suo nonno, Giordano Coppa, scomparso a 90 anni nel dicembre del 2020 e biancoblù per 11 stagioni tra il 1954 e il 1964. Un traguardo intimo e speciale: «Mi ha emozionato», racconta il difensore leventinese alla vigilia delle sfide contro Kloten e Langnau Tigers.

Zaccheo, che effetto ti fa aver superato nonno Giordano?

«Quando l’ho saputo, mi sono un po’ emozionato. Ho pensato a lui e sono riaffiorati tanti ricordi. È stato un bel momento. A dirmelo è stato Brenno Canevascini, il nostro statistico. Mi ha scritto un messaggio domenica mattina, prima della trasferta di Zugo. Una volta in pista mi sono concentrato sul gioco, ma quella bella sensazione mi ha accompagnato per tutta la giornata. Il nonno se n’è andato a 90 anni, a metà dicembre del 2020. Due mesi e mezzo prima avevo disputato la prima di queste mie 106 partite con l’Ambrì Piotta. Lui era ancora lucidissimo. Dopo mio fratello Isacco, ce l’avevo fatta anch'io. E il nonno è riuscito a godersi il momento».

Cosa ti disse?

«Nonno Giordano non era un uomo di grandi parole. Questa è sempre stata una sua caratteristica. Ma in realtà non c’era bisogno di dirsi tanto. È bastato uno sguardo, l’emozione negli occhi. Era contento e orgoglioso, ne sono sicuro. Proprio come quando vinsi la Coppa Svizzera con l’Ajoie, 58 anni dopo quella conquistata da lui con i biancoblù nel 1962. C’è un filo che ci unisce e che ci unirà per sempre, anche in pista».

Oggi sei meritatamente un titolare dell’Ambrì. Due anni fa, però, il tuo ritorno in Ticino era accompagnato da un po’ di scetticismo. Avevi tantissimo da dimostrare debuttando in National League a quasi 26 anni.

«Devo essere onesto: quando sono ritornato in Leventina, nell’estate del 2020, ho trovato una situazione favorevole. Intendiamoci: ho il merito di averci creduto e di non essermi lasciato scappare l’opportunità, facendo di tutto per raggiungere il mio obiettivo. Ma riconosco di aver trovato un terreno fertile. Eravamo in piena pandemia, i club sportivi erano avvolti nell’incertezza e tendevano a risparmiare. Anche uno come me, in arrivo dalla Swiss League, aveva spazio per mettersi in mostra. Ho sfruttato il momento senza farmelo ripetere due volte. Potevo giocare tanto e questo mi ha permesso di imparare in fretta, accumulando fiducia. All’inizio mi è anche stato concesso di sbagliare e per questo sarò sempre riconoscente a Cereda, Duca e a tutto lo staff».

Lo scorso dicembre hai rinnovato con l’HCAP fino al 2026. È lì che hai capito di avercela fatta?

«Firmare quel contratto quadriennale ha sicuramente rappresentato una svolta. È stato come raccogliere i frutti di tanto impegno. Ero molto contento, mi sentivo ripagato di ogni sacrificio. Allo stesso tempo, però, non l’ho mai considerato un punto d’arrivo. La mia voglia di lavorare non si è esaurita lì, anzi. So di poter fare ancora meglio e di poter crescere ulteriormente, anche se il 17 ottobre compirò 28 anni».

Il tuo percorso è molto simile a quello di Isacco, che ha quasi due anni in più di te. Vederlo imporsi nell’Ambrì Piotta ti ha stimolato? Ti ha dato una spinta?

«Sì, decisamente. Sette anni fa io e mio fratello eravamo compagni in Prima Lega, nel Biasca. In quel periodo qualche domanda sul nostro futuro nell’hockey ce la siamo posta entrambi. Poi, insieme, abbiamo raggiunto la NLB, guidati da Luca Cereda. Dopo due anni con i Ticino Rockets, io sono andato all’Ajoie, mentre lui ha avuto l’occasione di fare il salto nella categoria superiore con il club in cui siamo cresciuti. Dal Giura, ho continuato a seguire le sue prestazioni con l’Ambrì Piotta. Quando lo vedevo giocare, pensavo: ‘‘Cavoli, sta proprio andando benissimo’’. Allo stesso tempo, mi dicevo che avrei potuto e dovuto provarci anch’io. Insomma, Isacco mi ha dato coraggio. Ho spinto ancora di più per cercare di raggiungerlo. Mai con invidia, solo con tanta stima».

A differenza di Isacco, hai vissuto un’esperienza fuori cantone. Quelle due stagioni nell’Ajoie, in un club ambizioso, ti hanno cambiato la testa rispetto a una società formativa come i Rockets?

«Eccome. Prima di trasferirmi ufficialmente nel Giura, ero già andato in prestito all’Ajoie per i playoff del 2018. Sin dal primo impatto ho capito di essere finito in una società dalla mentalità vincente. Tutto veniva svolto in funzione del risultato. Sia nella singola partita, sia nell’intera stagione. Non è un caso se abbiamo vinto la Coppa Svizzera battendo compagini di categoria superiore. Volevamo sempre vincere. E mi piaceva. Ho capito che questa mentalità si può coltivare. Quando giochi in una squadra che punta in alto, devi progredire. Non ti è concesso marciare sul posto. Ho iniziato a lavorare su aspetti del gioco che altrimenti avrei lasciato un po’ in disparte».

A proposito di mentalità. Al tuo fianco hai una persona, la tua compagna, che di mente umana se ne intende, essendo una psicologa. Quanto ti aiuta?

«Elena è la mia roccia. Quando le cose vanno meno bene, oppure ho una giornata no, posso sempre contare su di lei. Mi capisce al volo, non devo neanche chiederle aiuto. Tornare a casa da una persona così è un grande valore aggiunto. Con il suo sostegno e i suoi suggerimenti, in pista riesco a dare tanto di più. Le sono grato».

Ti riporto brutalmente alla quotidianità del campionato. Da difensore, noti che il livello tecnico si è alzato come si pensava?

«Sì, lo percepisco ogni sera. La differenza maggiore sta nella profondità delle squadre. Ora bisogna stare molto attenti contro tutte le quattro linee, perché sono tutte pronte a punirti alla minima sbavatura».

Vi attende il classico «weekend trabocchetto» contro le ultime due della classifica. Come si affrontano Kloten e Langnau?

«Come tutte le altre. È una risposta facile, lo so, ma la sfida sta proprio lì, nel riuscire a giocare queste due partite con lo stesso atteggiamento che ci ha permesso di battere il Rapperswil e lo Zugo settimana scorsa. L’intensità dovrà essere uguale. Se non addirittura superiore, visto che aviatori e tigrotti avranno il coltello tra i denti e non ci faranno regali. Per dire, non mi aspetto che tolgano il portiere all’overtime».

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