Gusto

Federico Palladino: «Porto il Ticino in volo, ma resto con i piedi per terra»

Lo chef stellato dell'Osteria Cuntitt racconta la sfida di portare la cucina ticinese a 10.000 metri con Swiss e il suo dialogo creativo con la Maison Krug tra carote fermentate e champagne d’autore
© Swiss
Mattia Sacchi
22.07.2025 17:15

Ha raccontato il Ticino in un piatto, e ora lo fa anche a diecimila metri d’altezza. Federico Palladino, chef dell’Osteria Enoteca Cuntitt di Castel San Pietro — una stella Michelin, 16 punti Gault&Millau — è il protagonista dell’edizione estiva di Swiss Taste of Switzerland, programma gastronomico che la compagnia di bandiera propone da oltre vent’anni sui voli a lungo raggio dalla Svizzera. Dal 4 giugno e fino a metà settembre 2025, i passeggeri potranno assaporare in volo alcune delle sue creazioni ispirate ai sapori del sud delle Alpi. Un incarico prestigioso, che affianca — senza sovrapporsi — il suo ruolo di ambassador per la Maison Krug, celebrato pochi giorni fa con una serata esclusiva all’Enoteca Cuntitt.

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Chef Palladino, prima Swiss, poi Krug. Due mondi diversi, un solo filo conduttore?
«Direi di sì. In entrambi i casi si lavora su un concetto di qualità non negoziabile. Con Swiss abbiamo progettato i menù molti mesi fa, pensando a come raccontare il Ticino a bordo, con ingredienti riconoscibili ma trattati con tecnica e misura. Con Krug, invece, si parte dal vino, e si costruisce un dialogo. Due approcci diversi, ma la stessa attenzione al dettaglio, alla coerenza, alla verità del gusto».

La collaborazione con Swiss è già iniziata. Che risposta hai avuto finora?
«Ottima. Riceviamo messaggi, foto, commenti da ogni parte del mondo. Vedere persone che assaggiano il tuo piatto in volo e vogliono sapere da dove viene è bellissimo. Swiss ha una rete internazionale enorme, e avere il Ticino a bordo, in tutte le classi, è un segnale forte. Per me è stato un onore accettare l’invito. E anche una sfida tecnica importante».

In che senso è stato complesso?
«Cucinare a terra è una cosa. In quota, tutto cambia. La pressione atmosferica riduce la percezione dei sapori, l’umidità è più bassa, i profumi si attenuano, e le consistenze vanno controllate al millimetro. Il margine d’errore è praticamente nullo. Un piatto pensato per un ristorante può diventare insipido o sbilanciato quando viene rigenerato a bordo. Così abbiamo dovuto semplificare alcune ricette, selezionare solo cotture adatte alla rigenerazione in forni ad aria calda, evitare elementi troppo delicati. E poi c’è tutta la logistica».

Logistica?
«Sì, il tema delle forniture e dei volumi. Swiss serve migliaia di passeggeri ogni giorno: questo significa che, anche volendo lavorare con piccoli produttori locali, bisogna fare i conti con la quantità. Alcuni fornitori non riuscivano a garantire volumi stabili. Per esempio, il formaggio del Gottardo andava benissimo, ma la sua forma tonda non era ideale per il servizio in volo: troppi scarti, troppo ingombro. Lo abbiamo ridisegnato insieme, in forma rettangolare, per ottimizzarlo senza comprometterne la qualità».

Puoi fare qualche esempio dal menu?
«In First Class serviamo una zuppa di carote allo zenzero con scampi confit, seguita da un carré d’agnello glassato all’aglio nero. In Business Class c’è un vitello in crosta di Parmigiano con crema allo zafferano e asparagi verdi, oppure un manzo cotto a bassa temperatura con ravanelli e vinaigrette alla senape. In Premium Economy abbiamo pensato a una piccata di pollo con risotto allo zafferano. Il tutto accompagnato da formaggi locali come il Gottardo e il Tremola Mutschli, e dolci ispirati alla tradizione, come la torta della nonna».

E pochi giorni fa sei tornato sotto i riflettori con Krug. Che tipo di esperienza è stata?
«Un altro tipo di sfida, ma molto stimolante. Krug ci invita ogni anno a lavorare su un ingrediente «universale». Quest’anno era la carota. L’abbiamo esplorata in tutte le forme: fermentata, essiccata, abbinata al mango in un gel, come base per i piatti o nelle tartellette d’ingresso. È un esercizio di libertà creativa, ma con una regola: l’abbinamento con lo champagne deve essere perfetto. E quindi serve precisione, sensibilità, intuizione».

Due collaborazioni internazionali in pochi mesi. Il Ticino è pronto a volare?
«Assolutamente sì. Abbiamo un territorio ricco, una filiera corta di qualità, e una cucina che può essere sia autentica sia contemporanea. Il nostro problema, semmai, è la visibilità. Quando mi hanno scelto per Swiss, la cosa che mi ha fatto più piacere è stata pensare che finalmente il Ticino potesse essere rappresentato su una piattaforma globale, non come folklore, ma come vera cucina d’autore».

Nel frattempo l'Osteria Cuntitt resta il tuo centro. Che tipo di ristorante vuoi continuare a essere?
«Un ristorante di idee, non di mode. Lavoriamo con clienti affezionati, con i produttori del territorio, senza forzare nulla. Non siamo nati per fare scena, ma per costruire un’identità. Se poi arrivano anche i turisti, bene. Ma devono venire per il contenuto, non per la forma. Il nostro lavoro è quello: fare bene, ogni giorno, quello che sappiamo fare».

E se ti chiedessero dove vuoi essere tra cinque anni?
«Qui. Sempre qui. Ma con il Ticino ancora più in alto».

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