Tecnologie in aula

ChatGPT rappresenta una svolta? «Strumento che richiede distanza»

Fa discutere l’utilizzo dei chatbot nel contesto educativo – Lo Stato di New York e le università australiane li hanno vietati – Francesco Mondada, professore all’EPFL: «Cambiare la scuola? Direi che l’accento andrebbe posto piuttosto sull’educazione a queste nuove frontiere»
I chatbot nel contesto educativo fanno discutere.
Paolo Galli
16.01.2023 06:00

C’è chi ne parla come della prossima rivoluzione digitale e chi minimizza. Chi lo vede come uno strumento, un’opportunità, e chi già lo demonizza. Stiamo parlando di ChatGPT. È l’argomento del momento, in particolare se declinato in ambito educativo. Alcune scuole ne hanno infatti vietato l’utilizzo, altre invece invitano i propri studenti a farne (buon) uso. E Elon Musk - che dello sviluppatore OpenAI fu cofondatore - si è inserito nella discussione sottolineando come la crescita di ChatGPT possa corrispondere alla fine del sistema basato sui compiti a casa. «It’s a new world. Goodbye homework!», il suo tweet.

Un passo in avanti

A Musk non è andata giù la decisione dello Stato di New York di bloccare l’accesso al servizio. Uno stop motivato con la preoccupazione «per l’impatto negativo sull’apprendimento degli studenti e per la sicurezza e l’accuratezza dei contenuti». Su per giù la stessa giustificazione avanzata dalle otto università più importanti d’Australia, le quali si sono riunite per stabilire che gli esami potranno essere sostenuti solo con carta e penna. Siamo sicuri che queste decisioni - e relative motivazioni - siano adeguate ai tempi che stiamo vivendo? Ne abbiamo parlato con Francesco Mondada, professore di robotica all’EPFL, dove è pure direttore del Center for Learning Sciences. Lo scorso dicembre, lo scienziato ticinese è stato insignito del prestigioso Polytechnik-Preis, premio che va a chi si è distinto nel campo della didattica delle scienze e della tecnologia. Lui stesso ammette di aver utilizzato ChatGPT per preparare un esame. «E l’ho trovato molto utile. Ho posto al sistema alcune mie domande d’esame per ottenere un’immagine delle informazioni che circolano in Rete su alcune tematiche, ottenendo risultati più eleganti rispetto a quelli forniti dai tipici motori di ricerca. L’aspetto interessante, in questo senso, è il dinamismo della ricerca, l’opportunità di non fermarsi al primo gradino, perfezionando la richiesta di risposte sempre più precise. Cercavo anche una sorta di ispirazione, idee di applicazione di alcuni elementi insegnati nel mio corso. Le risposte erano da prendere con le pinze, certo. Anche rispetto alle mie domande d’esame, a volte ho trovato bellissime risposte sbagliate, risposte che sembravano vere». Ecco, per Mondada il servizio si è rivelato un estrattore «di luoghi comuni», ma soprattutto cartina al tornasole della comprensione di alcuni elementi, una comprensione rivelatasi «a volte grossolana». E per gli studenti? «Ha un certo potenziale. Penso a uno studente che non ha capito fino in fondo un concetto e vuole quindi perfezionare la comprensione dello stesso, ponendo più domande e chiedendo diverse spiegazioni. Può anche utilizzare questo strumento per allenarsi a un esame, chiedendo di ricevere possibili domande. È insomma considerabile come un passo in avanti rispetto ai tipici motori di ricerca o a Wikipedia». Elementi considerati come innovativi nella storia della tecnologia, «pur con tutte le imperfezioni del caso».

Necessario uno spirito critico

Be’, ma allora sorge spontanea una riflessione: queste funzioni non sono normalmente responsabilità della rete umana che connette docenti e studenti? «Va detto che un buon professore non spiega una cosa in un solo modo, bensì da diversi angoli, permettendo ai diversi tipi di studenti di capire. E poi oggi gli studenti hanno altre grandi opportunità, che vanno già ben oltre i chatbot: hanno per esempio a disposizione conferenze di esperti e professori internazionali, sui più svariati temi. Qui invece parliamo di risposte più approssimative, a volte sbagliate. Ma questa è la realtà di internet, lo specchio dei dati a disposizione. Porrei quindi l’accento sull’educazione a questi nuovi strumenti, che sono molto interessanti dal punto di vista della creatività, che possono essere anche stimolanti, ma che chiedono uno spirito critico sempre più spinto. La massa di informazioni a nostra disposizione in Rete non è ben controllata, richiede distanza e verifiche». E sulla possibilità di sfruttare queste tecnologie per imbrogliare, per andare oltre, al punto da ipotizzare l’inutilità dei compiti a casa, Mondada è chiaro: «Da sempre a casa ci sono i fratelli e i genitori. Spesso sono loro a fare i compiti al posto degli allievi, e molto meglio rispetto a ChatGPT. La differenza qui è che si tratta di un copia-incolla, roba di pochi secondi. Ma rimane un surrogato, senza il valore di un rapporto umano. Non è il caso di cambiare la scuola per un chatbot, la discussione deve essere più profonda. Il tema è semplicemente l’accesso all’informazione».

Per i bambini si tratta di un modo molto fisico per cominciare a capire cosa sono le macchine digitali. L’educazione in questo senso è fondamentale
Francesco Mondada, professore EPFL

L'integrazione

Certo, ma anche l’integrazione delle nuove tecnologie nella nostra vita, e quindi anche nelle nostre scuole. L’intelligenza artificiale bussa alla porta. Anzi, ha già avanzato il primo passo oltre la soglia. «L’intelligenza artificiale sta portando elementi interessanti in vari ambiti, anche in quello scolastico. Proprio al Politecnico di Losanna è stata per esempio creata un’applicazione che permette di valutare la possibile disgrafia nei giovani alunni; una diagnosi completa, rapida e sotto il controllo del maestro. La componente umana rimane comunque imprescindibile. Nel campo dell’intelligenza artificiale, il fenomeno ChatGPT è qualcosa di piuttosto raro, un’eccezione: solitamente l’AI si applica a situazioni più specifiche, meno “universali”, e con risposte meno vaghe». Francesco Mondada sottolinea, tornando al discorso scolastico, l’importanza dei robot fisici, non solo virtuali. «Per i bambini si tratta di un modo molto fisico per cominciare a capire cosa sono le macchine digitali. L’educazione in questo senso è fondamentale. Lo si capisce anche dalle discussioni che stanno nascendo attorno a ChatGPT: c’è sempre più necessità di un’educazione agli strumenti digitali, a nuovi elementi che sono attorno a noi e che possono essere di enorme aiuto ma anche deleteri se non capiti o mal utilizzati».

Sta facendo discutere

Lo stesso EPFL, in collaborazione con il Dipartimento formazione e apprendimento della SUPSI, lavora su elementi relativi al pensiero computazionale. «Oggi ci troviamo di fronte a nuovi metodi di risoluzione dei problemi. Finora questo era solo un riflesso matematico, geometrico e creativo delle nostre capacità. Ma si è andati oltre, e ora ci sono agenti digitali esterni che ci aiutano nella risoluzione dei problemi e nello sviluppo della creatività. Ma qual è il posto di questi agenti? Per me un posto essenziale a livello educativo, ma bisogna capire come portarli all’interno di una scuola, che è fatta da un dipartimento, da una struttura, da insegnanti, che necessitano di un aiuto in questo senso. Lo si capisce con ChatGPT: alcuni insegnanti si trovano di fronte a un problema che nella maggior parte dei casi non conoscono. Il digitale avanza a una velocità incredibile, specie se confrontato con un sistema educativo che fatica a tenere il passo». Mondada conclude: «ChatGPT per ora è un “fenomeno da baraccone”, impressiona perché genera testi inediti, perché è davvero un passo oltre ciò che già utilizzavamo, ma dal mio punto di vista l’elemento più interessante è che sta facendo riflettere. Notiamo finalmente l’impatto del digitale sulla società, alla quale dobbiamo dare gli strumenti di base per gestirlo sul lungo termine. Non si tratta di dare la regoletta per sopravvivere alle prossime due settimane, per non cadere nell’imbroglio escogitato la settimana prima, bensì di guardare oltre, cercando di capirne i meccanismi tecnici e sociali, e di porsi le giuste domande».

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