Digitale

Il mondo tech si interroga su nuovi equilibri e futuro

I problemi del social network appena comprato da Elon Musk stanno lanciando una piattaforma creata nel 2016 e basata sull’open source – Ma la libertà di espressione rimane lontana – Il settore è in forte crisi
Mastodon è la novità del momento, ma durerà? © REUTERS
Stefano Olivari
14.11.2022 19:45

Stanchi di Twitter e di tutti i social network in cui non si distingue più la pubblicità dal contenuto che cerchiamo? Come alternativa adesso c’è Mastodon, l’ennesima piattaforma del momento nonostante esista dal 2016 e non sia mai di fatto uscita dal circuito degli appassionati di tecnologia: anche adesso, nonostante la grande pubblicità gratuita, i suoi utenti sono poco più di 6,6 milioni, dei quali 700.000 nuovi solo nell’ultima settimana, contro i 238 dell’uccellino azzurro da poco acquistato da Elon Musk. Ci si chiede quindi se Twitter oltre a un futuro possa avere anche un concorrente, nel mercato del microblogging.

Singoli contro community

La caratteristica principale di Mastodon, più importante di tutte le altre messe insieme, è che il software su cui si basa è libero e quindi modificabile da chiunque sappia farlo. Quindi open source contro codici e algoritmi proprietari, quasi nessuna pubblicità o tracciamento (ufficiale) degli utenti, con una conseguenza di grande portata: gli utenti hanno anche la possibilità di creare nodi indipendenti, definiti «istanze», che in tutto e per tutto sono mini-social network: mini-Mastodon o mini-Twitter, se vogliamo. Queste reti per così dire private sono quindi sia indipendenti sia federate all’interno della piattaforma creata dal tedesco Eugen Rochko. Senza andare sui massimi sistemi, si può dire che Twitter è fondato sulla somma di tanti singoli, mentre Mastodon riprende e amplia il concetto di community. Si postano link, foto, video, si può condividere tutto con una cerchia di iscritti o con il resto del mondo.

Business

Mastodon, che ha come simbolo un animale con la proboscide simile a un mammut, usa protocolli condivisi con altre piattaforme, ed è gratuito oltre che decentralizzato. Chi ci guadagna quindi dall’invio di milioni di toots (termine che indica il suono del clacson, l’equivalente dei tweet) da massimo 500 caratteri contro i 280 di Twitter? Apparentemente nessuno: le attività di Mastodon sono finanziate con donazioni o crowdfunding, nel 2021 circa 55.000 dollari e quest’anno poco di più. E si basano su un fediverse, cioè su una rete formata da server diversi e tecnologia comune, quella di Mastodon. Non c’è pubblicità, ma nelle singole istanze potrebbe esserci, e al momento non esiste un modello di business: gli ideali del fondatore sono nobili, come quelli di quasi tutti i fondatori (oggi il «Don’t be evil» di Google fa ridere), e sarebbero certificati dalla impossibilità di «vendere» Mastodon. Che non è un’azienda, ma un software e per giunta aperto. Quanto ai server, ognuno ha proprie regole e costi: si può migrare mantenendo gli iscritti, ma potrebbe non essere sempre gratis. In ogni caso anche per le singole istanze (ce ne sono circa 140.000) la monetizzazione diretta è difficile. In termini di mercato si può dire che Mastodon si ponga come un Twitter di sinistra, viste le idee di Rochko e la lotta contro Trump che avrebbe per il suo Truth clonato il codice di Mastodon. Non è comunque vero che Mastodon sia privo di censura, anzi: i suoi amministratori possono cancellare qualsiasi server «indipendente» e qualsiasi account senza fornire spiegazioni.

Bancarotta Twitter

È presto per dire se Mastodon abbia un futuro o se sarà una moda passeggera in stile Clubhouse, ma certo è che Twitter sta vivendo male le prime settimane sotto il controllo di Musk, che nei giorni scorsi ha addirittura ipotizzato il rischio di bancarotta. Il sospetto è che lo abbia fatto per far digerire meglio il licenziamento di metà dei 7.500 dipendenti, la certezza è che il nuovo Twitter ancora non sia partito, se non con il mezzo fallimento delle spunte blu a pagamento. Musk nasconde i suoi veri piani e si comporta come un influencer che ogni giorno chieda attenzione, ma la sua vita dimostra che non va sottovaluto. Anche perché l’idea centrale, svincolarsi dalla pubblicità e avere almeno metà del fatturato dai microbbonamenti, ha un fondamento: dividere chi scrive, certificandone (per 8 dollari al mese, non con un esame) che sta facendo sul serio, da chi legge e sul web non spenderebbe nemmeno un centesimo.

Crisi social

Tutti vedono i numeri borsistici ed economici: per il mondo tech il 2022 è stato finora tragico, più che per altri settori. E per i social network in particolare è andata anche peggio: se Mark Zuckerberg ha deciso di puntare tutte le sue carte sul Metaverso è perché ritiene senza più sviluppi possibili l’era del vecchio Facebook dove si trovava e si trova di tutto un po’. Certo una piattaforma da 2 miliardi di utenti non è finita e gli 11.000 licenziati nei giorni scorsi sono 4.000 di meno delle nuove assunzioni fatte all’inizio di quest’anno, ma il tracciamento degli utenti è sempre più difficile, e il futuro monetizzabile sarà quello fuori dal mondo social, con utenti sempre più consapevoli e frammentati. Le azioni Meta sono calate più del doppio rispetto a quelle di Google, Microsoft e Amazon, e il mercato pubblicitario sta cominciando a pensare che in fondo il social network non venda nulla, se non l’esibizionismo di chi ci scrive.

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