In Patagonia da costa a costa
Itinerario
Ottobre-Novembre 2024
- 1° giorno Partenza da Milano con volo di linea per Buenos Aires
- 2° giorno Arrivo a Buenos Aires
- 3° giorno Buenos Aires
- 4° giorno Buenos Aires
- 5° giorno Trelew e visita alla pinguinera di Punta Tombo
- 6° giorno Alla scoperta della Penisola di Valdes
- 7° giorno Pianure patagoniche e Parco Nazionale Los Alerces
- 8° giorno Partenza verso La Junta lungo la Carretera Austral
- 9° giorno Parco Nazionale Queulat, ghiacciaio sospeso, Coyhaique
- 10° giorno Dal Cile rientriamo in Argentina costeggiando il Lago General Carrera
- 11° giorno Ruta Nazionale 40, la Cueva de las Manos Pintadas
- 12° giorno Trekking lungo il canyon del fiume Oro
- 13° giorno Partenza in direzione El Chalten
- 14° giorno Fitz Roy e il Cerro Torre. Nel pomeriggio partenza per El Calafate
- 15° giorno Il Lago Argentino e il Ghiacciaio Perito Moreno
- 16° giorno Parco Nazionale Torres del Paine
- 17° giorno Ritorniamo in Argentina e volo per Buenos Aires
- 18° giorno Partenza per il rientro a Milano
- 19° giorno Arrivo a Milano
Durata del viaggio: 19 giorni
Operatore turistico: Kel12
Il viaggio che ci apprestiamo a intraprendere in Patagonia, nel cono sud dell’America Latina durante la tarda primavera locale, ci porta in un angolo mitico del pianeta, sempre descritto come regione ai limiti dell’umano, in contrapposizione alle terre della civiltà. Non a caso un cartello stradale in cui ci imbattiamo indica: «Fin del mundo». Il nostro itinerario ci porta dalla costa atlantica a quella lungo il Pacifico, sempre a cavallo tra gli immensi paesaggi della steppa argentina e quelli verdissimi della Patagonia cilena, schiacciata tra le onde del mare e le enormi distese di ghiaccio della Cordigliera, spina dorsale di questo territorio. Il percorso si snoda lungo oltre 4 mila chilometri, sempre via terra, su strade spesso sterrate. Ci conduce quindi a scoprire sia i parchi nazionali più noti e prestigiosi, nonché altri meno conosciuti, attraversando paesaggi imponenti e incontaminati ricchi di fiumi, laghi, cascate, ghiacciai, vette vertiginose sferzate da vento e nuvole, sia sconfinate distese desertiche popolate da molti animali da pascolo e selvatici, ma da pochissimi esseri umani: meno di un abitante per chilometro quadrato. Come avvenne in tutte le Americhe gli indigeni furono quasi eliminati da guerre ed epidemie portate dall’uomo bianco. Quei pochi che sopravvissero furono sfruttati come gauchos impiegati negli allevamenti di pecore di proprietà dei coloni. Il territorio venne così organizzato per rispondere alla domanda internazionale di lana. Oggi su molte «estancias» (fattorie) con territori vastissimi sono stati scoperti giacimenti di petrolio e di gas naturale, che naturalmente vengono sfruttati da società straniere.
La penisola di Valdés
Da Buenos Aires voliamo fino a Trelew, un territorio colonizzato a fine Ottocento da gallesi, dove incontriamo Umberto, che sarà la nostra guida per le due settimane successive alla scoperta della Patagonia. Simpatico, dall’occhio vispo, è figlio di un immigrato italiano, uno dei tanti, che giunse in Argentina nel 1947. Dopo varie esperienze nel settore edilizio, negli anni Settanta intuì le potenzialità turistiche della regione e creò un’agenzia specializzata in itinerari patagonici, ora condotta dai figli.
A Trelew nei primi anni del Novecento il mitico Butch Cassidy, il fuorilegge allora più ricercato degli Stati Uniti per le sue rapine a treni e banche, soggiornò in una locanda del centro: la sua camera è un cimelio della città. Riparò in Argentina, per sfuggire alla giustizia a stelle e strisce, assieme al suo compare Sundance Kid e all’avvenente Etta Place: si mormora che conducessero un «ménage à trois». Come racconta il noto viaggiatore e romanziere Bruce Chatwin «ottennero dal governo una concessione di terre», dove abitarono per alcuni anni per poi scomparire misteriosamente e definitivamente nel nulla. Questa storia apre un altro interessante capitolo sulla Patagonia, quello di avere accolto personaggi particolari e misteriosi attratti dalla «fin del mundo». Personaggi dal fascino letterario, che hanno suscitato la curiosità di numerosi scrittori come Bruce Chatwin, Paul Theroux, Luis Sepúlveda e Laura Pariani. Ma in Patagonia si nascosero pure criminali di guerra in fuga come Eric Priebke, il macellaio delle Fosse Ardeatine, che, macabra ironia, gestiva una macelleria.
I primi due giorni del nostro viaggio sono dedicati a una sorta di safari alla scoperta di animali dei mari dell’estremo sud: balene, delfini, pinguini, leoni ed elefanti marini, una miriade di uccelli. A Punta Tambo, 120 km a sud di Trelew, si visita una delle «pinguinere» più popolate dell’America latina con centinaia di migliaia di piccoli ospiti (pinguini di Magellano) alti una cinquantina di centimetri dal colore bianco e nero. I maschi giungono ogni anno all’inizio di settembre sulle spiagge dove sono nati, preparano il nido sotto terra o tra le radici dei cespugli in riva al mare, in attesa delle femmine che giungono qualche settimana più tardi per accoppiarsi. In marzo, dopo aver svezzato i piccoli emigrano poi verso nord. Discrete passerelle in legno permettono ai turisti di passeggiare senza disturbare i simpatici abitanti del luogo.
Di ritorno a Trelew ci trasferiamo nella cittadina balneare di Puerto Madryn, dove pernottiamo, per poi inoltrarci nella penisola di Valdés, che lungo i suoi 400 chilometri di coste vede transitare da giugno a dicembre migliaia di esemplari di balene franche australi, una specie molto agile nonostante raggiunga un peso di 50 tonnellate e una lunghezza fino a 18 metri. Questi splendidi animali, che si possono avvicinare a pochi metri di distanza durante una gita in barca, sono diventati un’attrazione turistica talmente importante per la regione da indurre il governo argentino a considerarli «monumenti nazionali» e come tali intoccabili. Non avevo mai avuto l’opportunità di osservare una balena tanto da vicino, così come pure gli elefanti marini, pigramente stravaccati sulla spiaggia di fronte alla minuscola Isla Escondida.
Dall’Atlantico al Pacifico
Quella che ci aspetta è una lunga tappa di quasi 700 chilometri per attraversare in gran parte, dall’Atlantico fin quasi al Pacifico, il cono sud dell’America latina. Per un gran tratto il paesaggio è monotono e desertico, caratterizzato da cespugli che, per proteggersi dai forti venti caratteristici del clima di questa regione, diventano sempre più bassi man mano che la strada avanza.
Questa regione è recentemente diventata un Eldorado per i paleontologi. Prima di essere desertico questo territorio era verde e rigoglioso e i suoi immensi spazi erano popolati da animali preistorici. Nel corso degli ultimi decenni, come documenta bene un museo a Trelew, sono infatti riaffiorati i resti di decine di giganteschi dinosauri: il più grande finora rinvenuto è un esemplare di tirannosauro di 95 milioni di anni fa lungo 35 metri, alto 10 e si pensa raggiungesse un peso di 80 tonnellate. A ricordare quei tempi, secondo gli studiosi, è rimasta solo l’araucaria, una pianta che incontreremo sulle Ande, ma forse anche, pensiamo noi, l’armadillo con il suo piccolo manto a squame, che osserviamo spesso ai margini della strada. Avvicinandosi alla Cordigliera delle Ande il paesaggio diventa più roccioso e quindi più spettacolare, soprattutto nella Valle de los Altares con colline dalla cima pianeggiante, come se fossero state tagliate. Le pareti di roccia scavate per realizzare la strada raccontano, attraverso le loro stratificazioni, milioni di anni di evoluzione. Giunti alle preAnde la presenza dei primi alberi introduce ai paesaggi montani con le cime innevate. Pernottiamo a Esquel.
Verso il Cile, sulla Carretera Austral
Il nostro viaggio continua per 300 chilometri fino alla Junta in Cile. Prima di raggiungere la frontiera una deviazione ci porta al Parco Nacional Los Alerces, famoso per le sue omonime piante millenarie, simili a sequoie, che vantano fino a 4 mila anni di esistenza.
Proseguiamo fino al confine, dove le pratiche doganali sono lentissime. Siamo in primavera inoltrata, epoca di fioriture. Prima della dogana ci imbattiamo in una vasta coltivazione di tulipani: un vero tripudio di colori con le montagne innevate sullo sfondo. La strada che porta in Cile è invece una festa del giallo con ginestre altissime che creano un effetto galleria. Giunti a Villa Santa Lucia ci immettiamo su una delle due strade mitiche percorse durante il nostro viaggio: la Carretera Austral (Ruta 7), che si estende lungo 1'240 chilometri, di cui ne percorreremo circa 600. La Carretera, definita dalla guida Lonely Planet «il percorso panoramico più impervio e spettacolare del Cile», attraversa i movimentati paesaggi di questa regione simile a un arcipelago disseminato di fiordi, vulcani, ghiacciai, vette tra le più elevate della Patagonia, cascate, fiumi, laghi tra i più vasti dell’America Latina. Questa opera colossale fu realizzata durante gli anni bui della dittatura cilena (in un primo tempo veniva chiamata Carretera Augusto Pinochet) per collegare queste terre discoste, difficilmente raggiungibili e scarsamente abitate: circa 100 mila residenti, di cui la metà concentrati nel capoluogo. La percorriamo senza incrociare automobili per ore e attraversando rari villaggi fuori dal mondo, costituiti da una chiesetta, dal municipio e da poche case, che espongono orgogliosamente la bandiera cilena. Pernottiamo a La Junta, uno di questi sporadici paesini, nato assieme alla Carretera.
Il giorno seguente ci attende una tappa di 350 chilometri fino a Coyhaique, capoluogo della regione. Lungo il tragitto attraversiamo il Parque Nacional Queulat, famoso per il cosiddetto «ghiacciaio sospeso», incastrato tra due montagne. Lo si ammira ai bordi di un belvedere situato sulla spiaggia di un laghetto andino, che si raggiunge in 20 minuti a piedi dalla Carretera attraversando un bosco magico con muschi multicolori, felci giganti e le immense foglie del pangue (un'erba gigantesca), ampie quanto un uomo a braccia aperte.
Proseguiamo il nostro tragitto costeggiando il fiordo Puyuhuapi, famoso per le sue acque termali. Prima di giungere a Coyhaique i margini della strada si tingono del rosso dei fiori della Notros, una pianta locale.
La tappa successiva, di quasi 500 chilometri, attraversa paesaggi spettacolari, che però non possiamo apprezzare a causa della meteo avversa. Lungo la Cordigliera il tempo è ballerino: cadono oltre 3 metri di pioggia all’anno. Sul passo del Cerro Castillo ci imbattiamo addirittura in una bufera di neve. Costeggiamo il lago General Carrera, secondo bacino più vasto dell’America Latina. Giunti a El Maiten abbandoniamo la Carretera Austral per tornare in Argentina, sempre lungo il lago. Pernottiamo a Los Antiguos.
Ritorno in Argentina lungo la Ruta 40
Sessanta chilometri ci separano dalla Ruta Nacional 40: seconda strada mitica del nostro viaggio. Costruita nel 1935, ancora in parte sterrata, attraversa per 5 mila chilometri l’Argentina, dall’estremo nord al «Finis Terrae». Percorrerla è il modo migliore per conoscere la vastissima Patagonia argentina. Un territorio di cui il vento è interprete assoluto: nella lingua dei nativi esistono trenta parole per descriverlo, così come avviene in Finlandia per la neve. Il paesaggio è desertico e monotono per centinaia, migliaia di chilometri: «Nessun suono tranne quello del vento che sibila tra i cespugli e l’erba morta», scrive il già citato Bruce Chatwin. E poi prosegue, «Darwin tentò senza riuscirvi di spiegare perché, più di tutte le meraviglie da lui viste, questo arido deserto aveva colpito tanto la sua mente». La risposta, conclude Chatwin, la diede forse lo scrittore e naturalista inglese W.H.Hudson: «Chi percorre questo deserto scopre in se stesso una calma primitiva che è forse la stessa cosa della Pace di Dio».
Las Cuevas de las manos pintadas
La prima tappa lungo la Ruta Nacional 40 ci porta alle Cuevas de las manos pintadas, che figurano tra le pitture rupestri più importanti dell’America Latina. Sulle pareti rocciose di un vasto canyon, che contrasta con il deserto circostante, sono dipinte in diversi colori centinaia di mani in negativo, sovrapposte le une alle altre, che si alternano con scene di caccia e con figure umane e animali. Le più antiche risalgono a 9 mila 500 anni avanti Cristo.
Proseguiamo fino a Lago Posadas, uno dei rari minuscoli villaggi disseminati nel deserto, dove pernottiamo in un’accogliente e raffinata struttura alberghiera (hotel Rio Tarde Casa Patagonica). Il giorno seguente lo dedichiamo alla visita di questa splendida regione, praticamente disabitata e lontana dai circuiti turistici. Passeggiamo lungo le rive del lago Posadas, le cui acque di un blu intenso contrastano con quelle turchesi di un laghetto adiacente, separato solo da una lingua di terra. Osserviamo dall’alto l’imponente canyon scavato dal fiume Oro e scopriamo un luogo magico, soprannominato da Umberto, la nostra guida, «Colosseo andino»: un enorme spazio circolare delimitato da alte rocce con al centro una vasta area bianca come la neve generata dal salnitro che affiora in superficie.
Con un altra lunga tappa di oltre 600 chilometri lungo la Ruta Nacional 40 ci spostiamo fino a El Chalten, una disordinata cittadina nata solo quarant’anni fa per accogliere i turisti attratti dalle meraviglie della Codigliera andina. Lungo il percorso il vento è incessante e provoca una strana foschia sollevando la sabbia del deserto. Ai bordi della strada chilometri di filo spinato delimitano le proprietà delle vastissime estancias (fattorie), dedite all’allevamento di pecore. Ma l’animale più presente è il guanaco, una specie simile al lama, che pascola liberamente nel deserto alla ricerca di qualcosa di cui nutrirsi. Molti di loro, per passare da una proprietà all’altra si impigliano nei fili spinati e muoiono dopo una lenta agonia: passando in automobile, si notano i loro scheletri abbandonati. Lungo il percorso raramente si intravvede la presenza umana di un gaucho a cavallo, di un villaggio, di una locanda con benzina.
Le montagne più insidiose al mondo
Giungiamo a El Chalten in serata, ma gli impressionanti picchi di guglie granitiche del Cerro Torre e del Fitz Roy, come spesso accade, sono avvolti nelle nuvole: niente spettacolo, dunque. Sia per il rigido clima (pioggia, neve, vento che può superare i 100 chilometri orari), sia per le guglie ribelli e i torrioni ghiacciati, queste vette sono considerate dagli alpinisti tra le più insidiose al mondo, nonostante superino di poco i 3 mila metri di quota. Il mattino seguente le nubi persistono. Rinunciamo quindi a salire al Mirador de los condores per ammirare le montagne e ci consoliamo con una gita alla scoperta di laghetti andini al confine con il Cile. Nel pomeriggio la Ruta Nacional 40 ci condurrà fino al El Calafate, una cittadina turistica situata al centro del Parco Nacional de los glaciares.
Al Parco Nacional de los glaciares
Il mattino seguente una crociera di alcune ore sul lago Argentino, navigando tra azzurri iceberg, ci porta a scoprire due immensi ghiacciai: Upsala e Spegazzini. Il primo lo si può osservare solo da una distanza di 15 chilometri per ragioni di sicurezza. Accade infatti che si stacchino massi di ghiaccio tanto voluminosi da creare un piccolo tsunami pericoloso per le imbarcazioni. Allo Spegazzini ci si può invece avvicinare fino a 300 metri ed è spettacolare con le sue gradazioni del ghiaccio azzurro, che contrastano con il verde dell’acqua e il grigio del cielo. Il pomeriggio è invece destinato alla visita del Perito Moreno, uno dei ghiacciai più spettacolari al mondo. Un groviglio di blocchi di ghiaccio, crepacci e pinnacoli si protende a vista d’occhio per 30 chilometri fino alle montagne sullo sfondo. Il silenzio del luogo è spesso interrotto dal fragore di boati provocati dal contatto con le acque del lago di pesanti blocchi, che si staccano dal fronte del ghiacciaio altro 60 metri e lungo 5 chilometri. Una passeggiata di circa un’ora su passerelle in acciaio permettere di assistere in tutta sicurezza allo spettacolo di uno dei rarissimi ghiacciai al mondo tuttora in espansione.
Il Parque Nacional Torre del Paine
Il nostro viaggio si conclude al Parque Nacional Torre del Paine, che si trova in Cile a una sessantina di chilometri via aria dal Parque del los Glaciares. Per raggiungerlo dobbiamo percorrere quasi 400 chilometri. Scopriamo l’ennesimo paesaggio andino incantato con montagne innevate, laghetti glaciali, fiumi, cascate, ma anche foreste e praterie da pascolo che fanno da cornice a sua maestà il Paine, costituito da imponenti monoliti in granito erosi dalle piogge, dal ghiaccio e dal vento. Già, ancora il vento che qui «è qualcosa di mostruoso e di inimmaginabile – ha scritto Guido Mondino, uno scalatore italiano che nel ’56 ha condotto una spedizione sul Paine –. È una forza imprevedibile e incontrollabile. È qualcosa che può far impazzire».
Per saperne di più
- Argentina, Lonely Planet, Torino 2012
- Argentina Uruguay, Clup Guide, Torino 2001
- Cile, Rough Guides, Feltrinelli 2020
- Cile e Isola di Pasqua, Lonely Planet, Torino 2015
- Cile, Meridiani N.240, Torino 2017
- Patagonia, Time Out, Milano 2006
- Patagonia-Terra del Fuoco, Meridiani N.143, Torino 2005
- Luis Sepulveda, Patagonia Express, Milano 2023
- Bruce Chatwin, In Patagonia, Adelphi
- Bruce Chatwin, Ritorno in Patagonia, Adelphi
- Laura Pariani, Patagonia Blues, Effigie 2006