La tecnologia

Addio per sempre, care vecchie bobine: oggi nei rulli scorrono soltanto i bit

Si dice film, ma della pellicola ormai è rimasto soltanto il ricordo, il romantico protagonista di Nuovo cinema Paradiso non esiste più Il proiezionista è un tecnico digitale, lo spettacolo inizia e finisce premendo un pulsante - La strana storia delle tre «Scatole nere» in piazza Grande
Elena Gugliuzza, co-responsabile del settore Immagine e suono del Locarno Film Festival; sullo sfondo, la cabina di proiezione di Piazza Grande, che dal 1971 è stata cambiata tre volte ©LFF/Samuel Golay
Jona Mantovan
12.08.2023 06:00

Si chiama Locarno Film Festival. Film, come pellicola (in inglese). Perché per oltre cento anni questo era. Una pellicola fotografica. Di solito della larghezza di 35 millimetri, quattro volte più grandi dei mitici Super8 delle piccole cineprese amatoriali domestiche che all'epoca erano alla portata di tutti. In questo modo era possibile memorizzare e riprodurre i fotogrammi, 24 scatti al secondo, per trasmettere al pubblico la magia e le emozioni del cinema.

Era. Perché la tecnologia digitale - nel frattempo - ha fatto passi da gigante, e oggi tutti i titoli del Festival potrebbero starci tranquillamente su una pennetta nel taschino del proiezionista. Magari non una schedina delle dimensioni di un portachiavi, ma un dispositivo più grande in vendita per una manciata di franchi in un qualsiasi negozio di elettronica, sì. Anche se, ovviamente, il Locarno Film Festival può contare su un equipaggiamento decisamente più professionale. In ogni caso, però, il concetto è quello. Addio al proiezionista alla Nuovo cinema Paradiso. Che trafficava con proiettori meccanici dietro i vetri della mitica «cabina».

Oggi, l’indimenticabile Alfredo interpretato da Philippe Noiret non avrebbe un lavoro. O quasi. «Questa è l’edizione con il numero più basso di bobine cinematografiche mai avuta nella storia di Locarno», dice infatti Elena Gugliuzza, che insieme con Patricia Boillat coordina il settore, cruciale, «Immagine e suono» della kermesse.

«In questa 76. edizione, vado a memoria, abbiamo soltanto dieci copie su 35 millimetri: sei della retrospettiva, una in piazza Grande (La Città delle Donne) e tre nella sezione Histoire(s) du cinéma (Gummo, Black Hawk Down, Good Will Hunting). Il proiezionista alla “Cinema Paradiso” è un mestiere ormai completamente cambiato negli ultimi dieci anni, dall’introduzione del digitale avvenuta a fine 2010 e fino al 2015. È un mestiere diverso».

L’avvento della tecnologia ha fatto sì che per le sale, oggi, si usino proiettori digitali ad alta definizione. I quali offrono un’immagine nitida e dettagliata. Niente più cambi di bobine o regolazioni manuali della messa a fuoco. «Il ruolo del proiezionista è diventato molto più tecnico», dice la 49.enne, che precisa come il server del Festival, il grande archivio informatico dove sono memorizzati i dati digitali dei film, ha una capacità di una trentina di terabyte. Tanto per dare un'idea, un lungometraggio in formato digitale professionale e in alta definizione può arrivare a pesare poco meno di 200 gigabyte.

Quella di quest’anno è l’edizione con meno “pizze’ in assoluto: sono solo sei, quattro della retrospettiva
Elena Gugliuzza, 49 anni, co-responsabile settore Suono e immagine del Locarno Film Festival

Il deposito è su un server

«Il proiezionista, oggigiorno, dev’essere in grado di lavorare su complessi sistemi digitali. In pratica, gestisce un server, un grande archivio di documenti elettronici. È quasi un lavoro da informatico, in un certo senso. Ma, allo stesso tempo, se non hai la conoscenza di quello che è il film, di quello che è il modo di presentare l’opera al pubblico, puoi avere tutte le conoscenze tecnologiche, ma non hai quel tocco in più di visione su come debbano funzionare le cose. Per esempio, il formato d’immagine deve essere quello corretto. Oppure, le impostazioni del suono, un mondo complesso di suo. Il supporto semplifica certi processi, ma non toglie il fatto che le persone debbano conoscere e amare quello che stanno facendo».

Il reparto ‘cuore’ del Festival è composto da una sessantina di persone. Una quindicina tra queste sono proprio i proiezionisti, 19 su turni che devono coprire le lunghe giornate della manifestazione. «Abbiamo 13 siti, inclusa la piazza. Poi ci sono i tecnici, gli installatori, le persone che si preoccupano di far arrivare i film e chi verifica che il materiale sia a posto. Partiamo da uno zoccolo duro di 15 persone. Un gruppo che, a mano a mano, nel corso dell’anno, cresce fino a 60». Gugliuzza sottolinea come la vecchia scuola di chi conosce il cinema su celluloide sia merce rara.

«Certo, c’è chi sa ancora manipolare il 35 millimetri. Sono persone ricercatissime e che svolgono il lavoro in tutti i festival del mondo. Anche i nostri professionisti operano a livello internazionale, sono eccellenze», sottolinea rimirando la piazza Grande e, ovviamente, la cabina.

Si prende qualche istante per raccogliere i pensieri e per parlare della scatola nera. La cabina di proiezione emblema del Festival. «Sì, noi la chiamiamo proprio così. La proiezione in piazza Grande esiste dal 1971, e parte da un progetto originale di Livio Vacchini. Negli anni, le cose sono cambiate parecchio, anche perché lo schermo si è ingrandito. La cabina che vedete attualmente, infatti, è la terza di questa particolare serie». La tecnologia all’interno? «Quella più avanzata. Tutto ciò che di meglio può offrire oggi il settore».

Uno degli elementi che ci fa capire, nelle vesti di spettatori, che stiamo guardando un film su pellicola è il famoso cambio di bobina fra un proiettore e l’altro. A un certo punto compare una sorta di pallino lampeggiante, in genere in alto a destra nell’immagine, che indica il cambio. Se una volta scorto si lascia perdere lo schermo e ci si gira verso la luce del proiettore, si potrà notare che questa si spegnerà da una finestrella per poi accendersi in quella vicina

Digitale sempre stabile

«Oltre ad essere il fulcro della proiezione del film, la cabina ‘Black Box al cubo’ è anche regia delle serate di presentazione, dei veri e propri spettacoli prima della proiezione del film. Una delle mie funzioni, oltre a gestire le copie che passano nel resto delle sale del festival, è di fare la regia dello spettacolo di presentazione prima di ogni proiezione in Piazza Grande», precisa la nostra interlocutrice. «Una ‘scatola nera’ che quest’anno compie 15 anni. È stata realizzata per il 60° del Festival ed è una versione migliorata rispetto alle prime due. È molto più grande e più confortevole. E, anche in questo caso, permette di avere sia la proiezione digitale sia la proiezione in 35 millimetri, oltre allo spazio per una regia audio/video molto grande e complessa».

Dietro le quinte di una serata sotto le stelle, all’interno della cabina (ovviamente dotata di aria condizionata dato che non ci sono aperture verso l’esterno), un gruppo di cinque persone armeggia tra pulsanti, computer e apparecchi più disparati. Dai proiettori ai server, dagli schermi di controllo alle manopole per convogliare i segnali. «Ogni volta è una serata speciale e particolare, però sappiamo molto bene come gestire l’emozione. C’è un lavoro di preparazione a monte davvero enorme, affinché ci siano tutte le condizioni per far funzionare le cose. Siamo un gruppo ormai affiatato e riusciamo a intenderci anche con solo uno sguardo».

Il film di giovedì sera, «La città delle donne», fra l’altro, era uno dei pochi in 35 millimetri proiettato in Piazza Grande. Ma il pubblico comune, quanto si accorge della differenza tra digitale e ‘artigianale’, inteso come il proiezionista alla vecchia maniera che trafficava con le ‘pizze’? Perché, in fin dei conti, l’importante sono le emozioni. Senza considerare che, dal punto di vista ecologico, il digitale è meno inquinante (almeno per l’impatto diretto, basti pensare solo al trasporto) e più sicuro (difficile immaginare un incendio causato da una pennetta inceppata—anche se questo non è il caso del Festival, che può contare su un'infrastruttura di livello professionale). Al punto che questa tecnologia è stata adottata ovunque nel mondo. E da tutti, in pratica. «Un DCP, acronimo di Digital Cinema Package, ha il vantaggio che è sempre stabile, lo posso passare cento volte in sala ma sarà sempre perfetto. La pellicola ha una parte organica: graffi, polvere, elementi fisici sulla superficie dell’immagine».

Il cambio di bobina

E così, mentre la prima cabina di proiezione in Piazza Grande (composta da due vasche di una piscina incollate tra loro) fa bella mostra di sé come attrazione al Parco Robinson, la seconda è diventata la sede dell’esperienza in realtà virtuale, a pochi passi dalla terza generazione, chiamata appunto «Black Box al cubo».

Gugliuzza conclude sottolineando anche un trucco per capire se stiamo assistendo effettivamente a una proiezione con materiale a 35 millimetri: «Uno degli elementi che ci fa capire, nelle vesti di spettatori, che stiamo guardando un film su pellicola è il famoso cambio di bobina fra un proiettore e l’altro. A un certo punto compare una sorta di pallino lampeggiante, in genere in alto a destra nell’immagine, che indica il cambio. Se una volta scorto si lascia perdere lo schermo e ci si gira verso la luce del proiettore, si potrà notare che questa si spegnerà da una finestrella per poi accendersi in quella vicina».

Un avvenimento sempre meno frequente, grazie ai proiettori digitali in alta definizione.

I numeri

Quasi 200 titoli e 350 appuntamenti

Il cuore del Festival — Un settore cruciale del Locarno Film Festival è denominato Immagine e suono. È composto da un massimo di sessanta persone, cifra che si raggiunge nel corso della manifestazione. Di queste, 19 sono proiezionisti che si dividono i 175 titoli nelle circa 350 proiezioni su tredici siti differenti.

«Anomalia» retrospettiva — Di solito è proprio la retrospettiva a bilanciare lo scarso numero di pellicole. Quest’anno, però, punta ai titoli appena restaurati del cinema messicano classico. E, di conseguenza, sono tutti materiali «moderni» e digitali.

NOTA DI REDAZIONE: una prima versione di quest'articolo conteneva un numero sbagliato di titoli su pellicola (sei invece di dieci, registrati anche nell'intervista filmata). Il numero di proiezionisti (19) era stato confuso con quello dei siti di proiezione (13). In questa nuova stesura, poi, sono stati aggiunti ulteriori dettagli sul server del Festival, come pure sulle dimensioni di un lungometraggio DCP, dal 'peso' variabile tra i 150 e i 180 gb.

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